Finalmente. La notizia tanto attesa dagli interisti veri (autoproclamatosi tali), quelli dello slogan «Uno juventino mai sulla nostra panchina!», è finalmente giunta. Antonio Conte, colui che ha riportato dopo 11 anni il tricolore sulla sponda nerazzurra del Naviglio, si separa dal nostro club (sempre che i suddetti ci concedano il permesso di utilizzare l'aggettivo "nostro").
Un rapporto difficile già agli albori, come è naturale che sia, che ha lasciato piano piano il passo ad un amore che è cresciuto e che ha raggiunto la sua apoteosi con il diciannovesimo, pur con tutti gli spigoli. O meglio, il punto massimo finora. Non sapremo mai come sarebbe andata. Avremmo potuto vivere tante avventure ancora insieme, provando a inseguire la seconda stella e a tornare tra le top 16 del continente, ma il tecnico salentino è così, prendere o lasciare. Non accetta ridimensionamenti, non accetta passi indietro o stasi: lui vuole sempre di più e se ciò non è possibile, saluta e tanti ringraziamenti. Prima di esprimere in poche righe il mio pensiero sulla questione, volevo dunque complimentarmi con chi non aspettava altro. Con chi adesso crede che sarà tutto rose e fiori. Con chi adesso dimenticherà subito quello che abbiamo vinto (ve ne siete accorti o no che siamo Campioni d'Italia?) e comincerà a straparlare dicendo che è colpa di Conte se ci troviamo in questa situazione (che ancora non abbiamo capito quanto drammatica sia, ma è ovvio, stiamo parlando di Inter, signori, volete non farne una tragedia proprio alla luce di quanto appena avvenuto?). I #conteout potranno finalmente brindare, almeno fino al prossimo motivo di contestazione, di anticonformismo (a modo loro) e di chissà che altro.

Veniamo al caso specifico.
Premessa: la decisione non mi stupisce affatto. Io adoro Antonio Conte, proverò sempre uno smisurato affetto per quello che ha fatto in questi due anni e gli sarò sempre grato per avermi riacceso la passione e l'orgoglio neroazzurro dopo anni di delusioni e di risultati non all'altezza del blasone della squadra. Peccato che caratterialmente non abbia mezze misure. Lo dissi in tempi non sospetti: vincere lo scudetto non implicherebbe una permanenza automatica. E così è stato. Io aggiungo: purtroppo. Purtroppo, perché avevamo raggiunto un livello di entusiasmo importante, con lui trascinante e con un collettivo capace di seguirlo ovunque. Mi piaceva davvero questa Inter e mi duole doverne già parlare al passato. La situazione è sotto gli occhi di tutti: la società, per mille motivi, non può permettersi grossi investimenti e cifre folli. Addirittura, sembrerebbe sia necessario il sacrificio di uno dei big. Adesso, onestamente, Conte avrebbe anche potuto accettare la sfida, richiedendo perlomeno di non toccare lo schieramento titolare e rinunciando alla campagna acquisti. Credo che, anche solamente con la rosa attuale, avremmo tutte le carte in regola per poterci giocare il titolo anche l'anno prossimo. Lui, però, è inamovibile in questo senso. Lo ha dimostrato nel 2014 con la Juve e parzialmente l'anno scorso. Quando non ottiene quello che chiede, non ci sta. Vuole una squadra su misura, e i risultati gli danno ragione. Per questo se lo può permettere, cari i miei detrattori. La situazione, però, è quella che è. La pandemia ha influito sui conti di tutta Europa. Chi più, chi meno, sta rinunciando a qualcosa. Ecco perché non mi trovo d'accordo con la scelta dell'ex Chelsea: chi sarà disposto ad accettare le sue condizioni? Fatto sta che il dado è stato tratto e ora non resta che guardare al futuro. E va fatto immediatamente. Perché Conte è un pezzo di storia, ma per noi esiste sempre e solo l'Inter. Nel bene e nel male. Sempre e comunque.

Ed è questo il vero nodo: sto leggendo notizie che suggeriscono la cessione di Hakimi, altri di Brozovic, altri ancora persino di Lautaro Martinez. Attenzione, Conte ha fatto una scelta coerente col suo modo di essere, ma chiariamoci bene: noi non vogliamo presi in giro. La crisi esiste, ne prendiamo atto, ma non possiamo smantellare la squadra più forte del Paese (come dimostrato ampiamente quest’anno) senza trovare una soluzione. Eh sì, non venite a dirmi che non è così: cedere anche uno solo dei “titolarissimi” significherebbe fare un passo indietro più di quanto non sia già stato fatto con l’interruzione del rapporto con l’allenatore. Io preferisco non fare mercato in entrata, rinunciare ad ingaggi pesanti (Vidal e Sanchez su tutti) e tenermi in blocco la rosa attualmente disponibile. Non cresceremo, probabilmente, perché senza qualche tassello in Europa non abbiamo possibilità di fare strada, ma resteremmo validi contendenti per il tricolore. Dunque, le strategie devono tenere in considerazione i conti e su questo nulla da obiettare. L’aspetto sportivo, però, non è secondario. Allora tutte quelle belle parole sul calcio, sulla bellezza e l’unicità di questo sport, su quanto sia importante la competizione dove sono andate a finire? Va beh, tanto basta che aggiungiamo quattro squadre di Serie C in Coppa Italia ed è tutto ok… ma questa è un’altra storia.

In conclusione, chi raccoglierà la pesante eredità di Conte?
I candidati ideali sarebbero stati Allegri e Simeone: il primo è sfumato (ormai pare certo il ritorno in bianconero), il secondo era praticamente impossibile in partenza tanto per l’ingaggio, quanto perché la vittoria del titolo in Spagna lo ha reso ancor più leggendario agli occhi dell’Atletico Madrid di quanto non lo sia già.  Un altro nome accostato era quello di Sarri, che mi avrebbe convinto a metà: sa far giocare bene le sue squadre (così ci saremmo tolti di dosso le critiche infondate sulla mancata estetica delle nostre giocate) ma avrebbe avuto tra le mani una squadra che parte da una base tattica (e non solo) diametralmente opposta al suo credo. Sarebbe occorsa una rivoluzione e già sappiamo che la pazienza non sarebbe stata di casa e un’altra annata stile Juve (nonostante il successo in Serie A) non credo sarebbe stata gradita all’ex tecnico partenopeo. Con una battuta, mi verrebbe da dire: ma perché Mourinho non ha aspettato prima di dire sì alla Roma? Ci avremmo fatto un pensierino, magari. Ma forse è meglio così, per non intaccare il mito del Triplete. E a proposito del 2010, per qualche ora ho cullato un’idea affascinante ma forse azzardata: Esteban Cambiasso. Già da calciatore era una sorta di allenatore in campo, e avrebbe rappresentato l'elemento giusto sotto tanti profili. Interista (e dunque sarebbero stati scongiurati i mugugni dei più), giovane, economicamente non ingombrante in quanto per lui avrebbe potuto essere la prima esperienza da tecnico, non avrebbe avanzato richieste impossibili e dunque la società avrebbe potuto lavorare tranquillamente e, infine, non avrebbe toccato molto del lavoro fino qui svolto, dando continuità e provando a dare il suo contributo senza fretta. Lo so, sarebbe una sorta di esperimento alla Pirlo con la Juventus, ma credo fermamente che dopo una notizia del genere sarebbe stato bellissimo riabbracciare un eroe del più grande risultato della storia del calcio italiano.

La scelta, invece, sembra essere ricaduta su Simone Inzaghi: a livello tattico è una decisione importante, perché non dovrebbe spostare gli equilibri. Inoltre, con la Lazio ha dimostrato di saper vincere e convincere. Certo, il salto non è da poco, e servirà dargli tempo. Poi, se volesse portare Milinkovic-Savic a Milano… io lo accoglierei ancor più volentieri. Adesso, però, sono triste. Lo ammetto. Finisce un’epoca durata due anni (proprio come Mou…) e, in attesa del nuovo corso, non mi resta che fidarmi della società, che finora ha fatto benissimo e ha riportato l’Inter al top.
Io ci credo ancora, ma adesso tocca a voi il compito di farmi innamorare di nuovo. Già, perché la ferita esiste, non lo nego, ma come tutte le coppie durature è solo una crisi passeggera.
Ti amo, Inter, non dimenticarlo mai.
Anche adesso.
Anche domani.

 

Indaco32