Nel 1999 Marcello Lippi approda sulla panchina interista da grande ex juventino, così come quest'anno ha fatto Antonio Conte.
Entrambi sono stati accolti da insulti, sia dai nuovi tifosi sia dagli ex. Ma la loro parabola è diversa.

Lippi giunge all'Inter nell'estate '99, pochi mesi dopo essere stato esonerato dalla guida della Juventus e, soprattutto, un anno e mezzo dopo il famigerato 26 aprile 1998, quello di Iuliano Ronaldo. Sappiamo tutti come quella gara fece da spartiacque nei rapporti già tesi tra i due ambienti, e Lippi, all'epoca del fatto, non contribuì certo a distenderli. Giustamente, dato che era parte in causa.
In quell'incandescente dopo partita volarono insulti di ogni genere tra addetti ai lavori delle due società e anche il viareggino non risparmiò loro qualche invettiva. Famoso è rimasto il suo "Ci hanno tirato addosso tanta merda che la metà bastava", ovviamente rivolto ai nerazzurri.
E anche alla vigilia della sfida del campionato successivo, quella del 25 ottobre 1998, abbondarono le reciproche stilettate.
Insomma, il futuro allenatore campione del mondo incarnava perfettamente l'orgoglio bianconero, proprio come fosse un tifoso, e il suo popolo lo adorava perché il condottiero metteva sempre la faccia per difendere, anche a muso duro con la stampa, la propria squadra.
Dall'altra parte invece, per gli interisti, egli rappresentava, dopo Moggi, il nemico per eccellenza, la rappresentazione dell'arroganza al potere. Arrogante e vincente con la squadra sbagliata, nell'anno sbagliato poi, il 1998. Così, quando Moratti lo portò sotto la Madonnina, molti nerazzurri (e non solo tifosi) rimasero sbigottiti.
Ma come si fa a mettersi in casa il nemico numero uno? Se lo chiesero tutti, e già questo bastò per scatenare la protesta dei sostenitori. Come se non bastasse, Lippi ci mise del proprio per non farsi particolarmente amare da loro: pretese l'addio dall'Inter dei vecchi cuori nerazzurri Bergomi, Simeone e Pagliuca, per sostituirli con Peruzzi, Vieri e Jugovic, tre suoi fedelissimi bianconeri, ritrovando anche Paulo Sousa, e andò ai ferri corti con Baggio. Djorkaeff addirittura chiese a Moratti di essere ceduto per non venire allenato dal nuovo tecnico.
Anche il mitico Mazzola lasciò l'incarico dirigenziale in seno alla società, in segno di protesta per la scelta di Moratti.
D'altra parte nemmeno Lippi avrebbe voluto lavorare con il leggendario Baffo.
In pratica juventinizzò l'Inter dopo averla deinteristizzata.
Il tutto in un ambiente già in subbuglio per la pessima stagione precedente, la 98/99, quella dei quattro allenatori cambiati e delle dimissioni di Moratti da Presidente. Un contesto societario debole e difficile al quale Lippi non era abituato.
La partenza fu positiva, poi le cose andarono a sprazzi fino all'esonero di inizio stagione successiva, la 2000/01, e comunque pagò costanetemente cara la sua storia con la Signora, soprattutto sempre gli venne rinfacciato quel 26 aprile 1998. La scintilla non scoccò mai e venne visto perennemente come un nemico interno.

Vent'anni dopo le cose sono differenti. Vero è che anche Conte fa parte del 26 aprile 1998, essendo stato il capitano di quella Juventus, vero anche che esultò smodatamente il 5 maggio 2002 rappresentando in toto lo spirito battagliero tipico dei bianconeri, per di più in un giorno amarissimo per l'Inter, tutto questo addirittura ancora più in stile ultrà rispetto al Marcello, e infatti nel corso della sua carriera, anche da allenatore a Torino, non gli sono mai stati risparmiate offese da parte della tifoseria interista. È comunque un cuore gobbo, ecco. E qualche frecciatina ai nerazzurri l'ha tirata anch'egli, di tanto in tanto.
Ma la differenza di contesto rende il suo approdo ad Appiano Gentile molto più digeribile di quello di Lippi nel 1999.
Intanto non è reduce da nessuno scandalo recente tra le due società, il 1998 è ormai lontano e Conte aveva già lasciato la Juventus nel 2006, anno di Calciopoli. Non è quindi visto come il simbolo di una specifica contesa tra le due società. Poi non ha intaccato le fondamenta storiche della storia dell'interista, come fece Lippi mettendo tutti e tutto in discussione, forse nemmeno a torto, ma tant'è.
Di Conte non si può dire che abbia reso il Biscione bianconero, l'altro tentò in ogni modo di farlo.
Oltre a lui di ex grande juventino c'è solo Marotta, però già presente da un anno. Inoltre ritrova Oriali, bandiera nerazzurra come fu all'epoca Mazzola, con cui il tecnico leccese ha già lavorato in Nazionale allacciando con lui buoni rapporti.
Non ha preteso l'addio di nomi storici, non ha voluto sostituire la zebra con il serpente sullo stemma, in pratica. Si è posto con più pacatezza, nonostante un carattere risoluto.

Ecco perché, complice anche il maggior carisma di Antonio rispetto a Marcello, che porta gli altri istintivamente a seguirlo di più e che, pur essendo entrambe vecchie bandiere nemiche per eccellenza dei nerazzurri, oggi, nel 2019, dopo gli iniziali mugugni, non si è abbattuto sull'Inter il maremoto del 1999. Si può dire quindi che a Milano, mentre Lippi è rimasto juventino a vita, Conte è stato (parzialmente) adottato come nuovo interista. E anche lui ha detto che lo è, del resto, e che resterà tale.
Lippi non s'era mai sognato di usare frasi simili per farsi benvolere, il suo ex capitano sì. Il quale, ricordiamo, già qualche anno fa, in panchina a Torino, disse sibillinamente che, qualora un giorno avesse mai allenato l'Inter, ne sarebbe diventato il primo tifoso.

Detto fatto. Certo, poi sulla sponda opposta del Piave le cose non cambiano: la prima volta che Lippi tornò al Delle Alpi da avversario, il 12 dicembre 1999, venne accolto da cori e striscioni infamanti, anche contro la famiglia, per punire il suo tradimento. Sicuramente sarà lo stesso con Conte allo Stadium o anche già domenica nel settore ospiti di San Siro. Ma questa è un'altra storia.