Se Pioli, o chiunque altro in società, ha commesso errori, direi che non li ha fatti ieri, ma in qualche momento recente o remoto della stagione, il momento nel quale si è deciso di fare, diciamo così, un ipotetico X in luogo di un altrettanto ipotetico Y. L'obiettivo del match contro la Stella Rossa, quindi, era solo quello di salvare la ghirba o le terga, se non addirittura la faccia, non certo di dare il proverbiale segnale forte alle rivali in campionato. I rossoneri, in realtà, non erano in grado di dare neanche un segnale debole, ma solo di stringere i denti di fronte alle difficoltà. Lo hanno fatto e, di riffa o di raffa, a mozzichi a raschi, picchia e mena, sono approdati al sorteggio di Nyon, nel corso del quale il Milan è stato accoppiato al peggiore cagnaccio presente nell'urna: il Manchester United. Il Diavolo rossonero scenderà in un inferno ideale, una specie di mondo cyber-punk in cui sarà gettato nella gabbia dei lottatori. Vi troverà i diavoli britannici, i c.d. Red Devils, nati 20 anni prima come dopolavoro ferroviario di Newton Heath. Meglio loro del Molde o dello Slavia, in un certo senso, perché il Milan di oggi rischierebbe di uscire anche con tali squadre, mentre un Milan in ripresa potrebbe eliminare i britannici, stante che il Man-U è secondo in Premier League come il Milan lo è tuttora nel suo campionato. Incontrando il Manchester United, il Milan torna nel suo mondo tradizionale, obbligato a dimostrare che la sua crescita non è stato un bluff. Sarà una sfida per la società, la squadra e il tecnico.

Raggiunto il dignitoso traguardo degli ottavi di finale, un minimo di applauso va riservato sia al tecnico che alla squadra, che sono sfuggite all'agguato della Stella Rossa di Belgrado, un avversario non eccelso, ma che da mesi rende al massimo e sta dando vita a una striscia di risultati positiva. Anzi, a volte è più meritorio fare risultato giocando male che farlo giocando bene. Giocando bene, l'esito positivo dovrebbe essere nell'ordine delle cose. A fine partita, comunque, Pioli ha detto cose significative, oltre che in sé corrette, ovvero che il Milan tiene alla coppa, ma bisogna tenere conto che il prosieguo dell'Europa League è ancora molto lungo e che questa manifestazione dà un posto in Champions solo in caso di vittoria. Traducendo in parole povere, Pioli ha affermato che:

1) come tecnico, gli piacerebbe inserire nel CV una vittoria in Europa League o comunque un piazzamento prestigioso, pertanto non ha peccato di snobismo nei confronti della coppa e della Stella Rossa;
2) l'obiettivo principale per il quale sarà valutato (ed eventualmente confermato...) dalla società è, tuttavia, la qualificazione in Champions;
3) ai fini della qualificazione in Champions, il 4° posto varrà quanto lo scudetto, mentre un'eventuale finale di EL non varrà una cicca;
4) alcune sue scelte tattiche o di formazione nei sedicesimi, quindi, anche se sbagliate, devono essere imputate alle priorità impostegli dalla società, la quale dovrebbe condividere le responsabilità per la mission affidata al tecnico.

Il ragionamento ha una sua logica, ma anche tenendo conto delle direttive della società, si può obiettare che un eventuale successo a Belgrado, magari con più di un gol di scarto, avrebbe offerto qualche chance di affrontare il derby almeno con entusiasmo. Avrebbe consentito anche di giocare il match di ieri senza accumulare tossine psicologiche in vista della Roma, bensì solo una normale stanchezza muscolare. Si può anche obiettare che, se è vero che un'eliminazione nei prossimi turni lascerebbe i rossoneri con un pugno di mosche in mano, è altrettanto vero che l'eliminazione nei sedicesimi avrebbe potuto in parte vanificare un'eventuale ripresa della squadra, ripresa da ritenersi non impossibile, visto che mancano ancora quasi 3 mesi alla fine della stagione. Insomma, non avrebbe avuto senso lasciarsi sfuggire delle chance a fine febbraio. Non solo, ma una compagine che fosse uscita contro la Stella Rossa attuale avrebbe davvero potuto deprimersi al punto da crollare anche in campionato. I fattori psicologici hanno sempre un'influenza da non trascurare. Un'eliminazione a opera del Manchester, negli ottavi e non nei sedicesimi per giunta, potrebbe essere più digeribile.

Al di là della dialettica sui contenuti, le dichiarazioni di Pioli devono essere considerate un segnale di  lucidità. Il tecnico, in altri termini, ha compreso che varie cose potevano essere fatte diversamente e meglio, ma sta cercando di voltare pagina per rimettere il vagone sui binari, sempre tenendo conto dell'obiettivo principale ovvero la qualificazione in Champions.
Pioli ha tentato qualche variante che non ha, comunque, prodotto i suoi effetti. Nella prima fase della partita, ho cercato di capire a lungo cosa avesse chiesto Pioli ai suoi. Lo schieramento era un 4-2-3-1 con 2 mediani (Meité e Kessie), 1'uomo di raccordo (Krunic), 2 esterni (Casti a destra e Chala riciclato a sinistra), con il solo povero Leao in attacco. Poi, appena iniziato il match, il Milan ha dato l'impressione di volersi difendere con 9 uomini disposti in due file di fronte a Donnarumma. E' stato, però, solo un fuoco di paglia, perché la squadra si è ritrovata con un numero sempre diverso di uomini a protezione di Gigio, oltretutto disposti (o forse scompaginati di continuo dagli avversari) in maniera sempre diversa. Calabria, in serata no, spingeva poco, Dalot spingeva poco e male. Dal canto suo, Chala era costretto a fare il terzino per coprire i mancati ritorni del portoghese o i suoi smarrimenti nel vasto pelago verde di San Siro. E se il Milan passava in vantaggio con un rigore giusto trasformato da Kessie, Ben Nabouhane coglieva Romagnoli in posizione da libero nella marcatura a uomo e pareggiava, anche se era difficile dire quanto fosse colpa del difensore o dei suoi compagni. Dalot, sciagurato, calciava sul portiere un rigore in movimento.

Pioli, con lucidità, capiva che il Milan aveva regalato ormai una partita e mezza ai rivali e nella ripresa rimetteva in campo, a scaglioni, quasi tutti i titolari. La Stella Rossa, però, aveva il morale alle stelle e ci credeva, a conferma che i fattori psicologici non vanno affatto sottovalutati. Il Milan manovrava in maniera più razionale, anche se Rebic era in versione Mr. Hyde e si ostinava a vanificare molte azioni a furia di colpi di tacco o giocate cervellotiche. Rebic sbagliava anche 2 eccellenti occasioni, fra l'altro. I giocatori della Stella Rossa si incrociavano di continuo, costringendo gli avversari a coperture che sarebbero state naturali per una squadra reattiva, ma diventavano affannose per una senza cambio di passo. Lo sciagurato Gobeljic, autore del fallo da rigore nella prima parte, sbagliava un gol a porta vuota dopo un salvataggio miracoloso di Donnarumma e, per buona misura, si faceva espellere. Le gambe dei rossoneri, però, oltre a essere lente, tremavano anche dalla paura e trovavano sicurezza solo nei minuti finali, quando si producevano in un possesso palla alto, la soluzione migliore in questi casi. Stankovic protestava come un ossesso per un calcio d'angolo che l'arbitro Manzano non aveva fatto battere ai serbi, ma si era oltre il recupero e, quindi, pretendeva troppo, specie dopo aver pareggiato all'andata su un calcio d'angolo allo scadere che non c'era.

Tirando le somme, per quanto nella ripresa il Milan non abbia fatto sfracelli, man mano che entravano i titolari, la squadra manovrava meglio, anche se ha continuato a soffrire il movimento incrociato in avanti della Stella Rossa che, come si è sottolineato, ha messo a nudo la mancanza di reattività dei rossoneri. Nel secondo tempo, comunque, i serbi hanno avuto un'occasione sola, sia pure clamorosa, mentre il Milan, anche se appannato, ne ha avute di più, compreso il gol annullato per un leggero fuorigioco di Ibra. Il Milan, inoltre, ha prodotto nel finale un possesso di palla alto accettabile con il quale ha allentato la pressione avversaria. Peraltro, va ribadito che Pioli ha avuto il coraggio di tornare sui suoi passi e rimettere in campo la squadra titolare. E' un segnale di lucidità, come quello mostrato quando ha sostituito Ibra nel derby, che non va sottovalutato.

Ora, in un certo senso, comincia un'altra stagione, quella che conta di più.