Il primo round di coppe europee 2018 ci lascia con un panorama desolante di mediocrità, che danno la stessa immagine desolante del paese in generale: una generale mediocrità priva di idee e di valori che ci porta a scivolare sempre più in basso nelle graduatorie continentali. Surclassati da inglesi, rumeni, tedeschi, ucraini, per non parlare degli spagnoli, che si impongono regolarmente sia in casa loro che in casa nostra. Ma la cosa più preoccupante è una disarmante auto- referenzialità che ci porta ad esultare per il gioco e la forza di squadre come Napoli e Lazio, per non dire di una deludentissima Juve e di una Roma sulle gambe, che fanno assomigliare il calcio italiano ai più entusiasmanti duelli del calcio scozzese tra Rangers, Celtic e Aberdeen. Siamo tecnicamente e atleticamente un passo dietro a chiunque, prendiamo lezioni di calcio ad ogni latitudine: funamboli di colore e angeli biondi ci mostrano le loro esultanze mentre noi calcoliamo il valore astronomico dei nostri "campioni", che rimangono stranamente tra i migliori del mondo. Sarà come diceva Capello "il campionato italiano non è allenante" o ci sono problemi diversi? Stiamo diventando come gli inglesi, che pensano di essere i migliori del mondo e non vincono dal 1966? Fa eccezione l'Atalanta, ma stiamo attenti anche qui a non gridare al miracolo: se non sbaglio il tanto vituperato Mondonico arrivò in semifinale di Coppe delle Coppe con una squadra di serie B. Come dalla serie B rinacque il Milan imbattibile di Franco Baresi e Silvio Berlusconi. Altri tempi, altra Italia. "Consolamose coll'aglietto" insegnava la filosofia popolare nella Roma del dopoguerra. Ora siamo nell'epoca del pensiero positivo: ma basta davvero sentirsi i migliori del mondo per esserlo?