Stamattina, svegliandomi più presto del solito probabilmente ancora carico di adrenalina per la sofferta e importantissima vittoria di ieri sera, ho avuto una sensazione strana, quasi di leggerezza, come se un peso enorme sopportato dieci lunghi anni, piano piano incominciasse ad alleggerirsi, a scomparire.

Quella di ieri con l’Atalanta non è stata la migliore Inter dell’anno, è stata un'Inter che però ha saputo soffrire, che ha accettato di essere inferiore sotto il punto di vista della personalità, del coraggio, del palleggio, del pressing, del tempismo sulle seconde palle; è stata un’Inter matura, concentrata, ha rispettato l’avversario e la sua forza, ha messo in campo quelle qualità che servono per raggiungere traguardi importanti, per alzare trofei. Ho visto un’Inter che per certi versi, con le dovute proporzioni, mi ha ricordato quella di Mourinho al Camp Nou e quella del Trap nei derby giocati tra la fine degli anni 80’ e l’inizio degli anni 90’ contro il Milan di Arrigo Sacchi.

Me li ricordo bene quei derby, ero uno sbarbato e andavo allo stadio con gli amici super interisti di mio padre. Due derby in particolare ricordo, il primo datato 11 dicembre 1988 vinto uno a zero con goal di Aldo Serena e il secondo del 18 novembre 1990 vinto, sempre uno a zero, con marcatore l’amatissimo Nicola Berti. Erano partite in cui superavamo la metà campo cinque volte a tempo, e lo facevamo in contropiede con Berti e con il grandissimo Lothar Matthaus, o con il lancio lungo per la testa di Serena. Per il resto, era dominio rossonero, con Riccardo Ferri a modellare le caviglie di Van Basten, Andy Brehme a sudare sette camicie per non far crossare Donadoni, e Walter Zenga a volare a destra e sinistra per fermare i colpi dell’artiglieria milanista.
Intendiamoci, questa Inter come singoli è inferiore sia a quella del Trap che a quella di Mourinho, e l’Atalanta di Gasperini ha Toloi, Freuler e Zapata, non Baresi, Rijkaard e Gullit, ma ci sono delle analogie tra le diverse Inter di cui sto parlando.
Anche l’Inter del Trap, come questa, veniva da nove anni in cui aveva visto vincere gli altri, nei quali non era riuscita a mettere in bacheca neanche una coppa Italia, mentre l’Inter di Mourinho, come quella attuale, aveva tra i principali antagonisti in Italia il Milan. Tutte e tre le Inter in questione hanno una cosa in comune: l’interismo, il senso di appartenenza di tutti, un solo obiettivo: VINCERE.

Due parole finali le spendo per il portiere e capitano di oggi, Samir Handanovic. Samir è un uomo silenzioso, pacato, educato. Fino ad un anno fa, prima che la pandemia lo vietasse, ero seduto ogni domenica dietro la sua porta, sui seggiolini blu del primo anello di San Siro, e lui non mancava mai di girarsi con il braccio alzato per salutarci al grido “Samir”. Se vinceremo questo scudetto sarà anche grazie a lui, alle tre parate miracolose fatte poche settimane fa nel derby e alla prodigiosa parata in stile hockey fatta ieri sera sul colpo di testa di Zapata.
Ne mancano 12. AMALA!!!