C'era una volta l'Ancièn Regime, la monarchia assoluta ed incipriata imperniata sul suo sistema politico, economico e sociale immutato ed immutabile nei secoli dei secoli. 
Re Luigi XVI regna per diritto divino e, come i monarchi medievali, il suo potere è considerato superiore ad ogni umana volontà e ad ogni diritto. Al suo fianco, le classi sociali dell'Aristocrazia e del Clero dominano incontrastate la nazione, mediante la perpetuazione di privilegi e benefici plurisecolari. 
Sul finire degli Anni Ottanta del Diciottesimo secolo, il sistema implode: le finanze del Regno di Francia sono ormai alla bancarotta, con i ceti benestanti che si rifiutano di sostenere ulteriormente le spese e lo stile di vita dissoluto della corte e delle classi dominanti, mentre il Terzo Stato, imbevuto d'idee figlie dell'Illuminismo, si accinge a prendere il potere autodichiarando se stesso Assemblea Nazionale. E' un affronto di storico clamore, proprio in faccia al Re: è il simbolo dei tempi che stanno cambiando, la scintilla che scatena l'incendio. La rivolta diviene subito Rivoluzione e trionfa sul potere assoluto, delineando le sorti di una Nazione.
E, per la Francia così come per tutti i popoli d’Europa, niente sarà più come prima: esiste una Storia prima ed una Storia dopo la Rivoluzione Francese.
La popolazione parigina insorge, riversandosi nelle strade, assedia la Bastiglia, il tetro carcere simbolo dell’Ancièn Régime, e la espugna. La principale conseguenza a livello sociale della rivoluzione è l'affermazione di principi fondamentali per lo sviluppo del pensiero moderno, racchiusi nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino: i fatti parigini hanno un eco clamoroso in tutto il Vecchio Continente, scuotendo dalle fondamenta l'intero sistema di potere sociale, politico ed economico, ispirando i movimenti liberali ed i moti indipendentisti per i decenni a seguire.
Sarà Napoleone Bonaparte a esportare gli ideali rivoluzionari in tutta Europa, con le armi e con una nuova concezione del diritto. 

C'era una volta la Juventus, la squadra degli italiani per definizione, conosciuta appunto come "la Fidanzata d'Italia", che domina la scena del calcio italiano per acclamazione mediatica e popolare pressochè indiscussa ed indiscutibile. Giovanni Agnelli, l'Avvocato con la A maiuscola, patriarca della Famiglia Industriale italiana per eccellenza, simbolo fulgente di quel capitalismo italiano fatto un po' così, elegante nei modi e spregiudicato nelle azioni, quasi nobile per discendenza ed ostile a mischiare il proprio sangue: come qualcuno dirà in seguito, liberista nei profitti e statalista nelle perdite. Quel capitalismo che, come le monarchie dell'Antico Regime, ha contribuito a ricostruire la Nazione ma, subito dopo, si è attestato sulle proprie posizioni reazionarie, a difesa dei risultati acquisiti, sordo rispetto a qualsiasi voce esterna, che fosse di stimolo o di protesta.
La Lega e la Federazione, finanche la Nazionale, paiono quasi emanazioni azzurre della Sacra Reggia bianconera: come per imposizione divina, tutti i prodotti migliori del mondo calcistico italiano sono destinati con corsia preferenziale e diritto di precedenza alla casa juventina senza possibilità di deviazione. I presidenti dei club minori, come buoni vassalli medievali, preservano i propri frutti migliori per immolarli sull'altare bianconero: così era e così sarebbe stato per sempre.

Ma sul finire degli Anni Ottanta del Ventesimo Secolo, anche questo sistema implode. Arriva sulla scena un personaggio nuovo, un ricco borghese "che si è fatto da solo": viene dal commercio, dalla nuova industria delle telecomunicazioni, non ha i tratti nobili e la erre moscia d'antica nobiltà, arriva in elicottero ed è animato da ideali rivoluzionari rispetto all'economia ed al calcio. Per lui, è tutto un immenso spettacolo, uno show su cui investire tanto denaro per ricavare gioie umane e profitti: più aumenta il livello dello spettacolo, più aumenta il livello dei profitti. Irrompe sulla scena Silvio Berlusconi, che autodichiara se stesso come nuovo padrone del calcio italiano, tra lo stupore misto a scherno della critica e del pubblico nazionale.
Anche Roberto Donadoni, come Cabrini e Scirea prima di lui, sembra destinato a percorrere la lunga via che collega Bergamo a Torino, dall'Atalanta di Bortolotti alla Juventus degli Agnelli: come era e come sempre sarebbe stato. L'affare è praticamente concluso prima di essere imbastito, col giocatore atteso nella sede bianconera per la firma di rito: Berlusconi interviene a gamba tesa, invita il presidente orobico nella propria villa ad Arcore e riesce a convincerlo a tradire gli antichi protocolli e cedere Donadoni al Milan. Nel modo più rivoluzionario tra i modi più tradizionali: mettendo sul tavolo serietà, competenza, progettualità ed una montagna di soldi. Dopo quella cena e quel trasferimento, le cose cambiano per sempre per il calcio italiano ed europeo: Agnelli non la prende benissimo, perché ha capito che Berlusconi è un pericolo sportivo per la Juventus, il primo vero pericolo da decenni. Boniperti, allo stesso tempo, va su tutte le furie quando le comunicazioni con Bergamo s'interrompono.

La storia cambia d'un tratto. 
Sarà Arrigo Sacchi a seminare l'Europa e il Mondo con gli ideali del calcio berlusconiano, ponendo il Milan come standard assoluto di qualità e spettacolo per decenni, costruendo le fondamenta di un impero immortale nato sulle ceneri di un Vecchio Regime ormai decadente. Pressing, intensità, fuorigioco, dominio del gioco: esiste un calcio prima ed un calcio dopo il Milan di Sacchi.

E proprio come, in seguito alla fine dell'epopea napoleonica, la Restaurazione riposiziona in modo anacronistico gli antichi sovrani sui troni d'Europa, così la fine della grandeur Berlusconiana rimette al centro del calcio italiano gli antichi potentati bianconeri. Ma il Congresso di Vienna, è noto, si concretizza in un tentativo, posticcio e reazionario, di bloccare il corso naturale della Storia: i suoi effetti si esauriscono in pochi anni, mentre gli ideali Rivoluzionari stanno costruendo l'Europa del futuro.
Allo stesso modo, oggi, è giunto il momento di porre fine alla Restaurazione Bianconera, iniziata con l'avvento di Conte ed il non-gol di Muntari, concretizzatasi in nove campionati vinti, giunta al capolinea col tentativo di porre Pirlo al comando di un nuovo corso.
Che non ci sarà, perché il vento della storia è ormai cambiato per sempre. Le fondamenta sono state costruite, non c'è vento che può spazzarle via.

Qualcuno se la prenderà per questo racconto: lo so. Qualcuno farà degli appunti di carattere storico e storiografico: ci sono forzature ed inesattezze, lo so. E' solo un romanzo storico, anzi: una storia calcistica romanzata. 
Non prendetela troppo sul serio.