Ogni mattina, come sempre, mi godo la mia consueta rassegna stampa personale, e l’occhio ancora assonnato mi cade su una notizia dal titolo roboante: la Coppa Italia viene riformata. Non ci credo, penso. Finalmente, dopo tantissimo tempo in cui abbiamo sperato in una rivoluzione della bistrattata competizione, è arrivato il fatidico momento. Mi dico: non ti illudere, di sicuro non l’avranno trasformata nella novella FA Cup, però sicuramente ci sarà qualche gustosa prelibatezza in arrivo per noi amanti del calcio vero. Ci sarà in serbo qualcosa di brillante, magari verrà introdotta la regola che permette a chi ha ottenuto il piazzamento peggiore nella stagione precedente di avere il diritto di giocare in casa l’incontro in gara secca. Oppure, che ne so, ci sarà l’eliminazione delle teste di serie dagli ottavi di finale in poi, per far vedere che il calcio è del popolo e non dell’élite. Che il calcio è dei tifosi e non delle aziende che organizzano e gestiscono la trasmissione dei match. Dai, basta fantasticare, apri questo articolo. Ed ecco la bomba: la Coppa Italia sarà disputata solamente dalle società appartenenti a Serie A e Serie B. Ho le traveggole. Rileggo una seconda volta: non è possibile, è proprio così. E pensare che ero così contento perché il giorno prima, più o meno alla stessa ora, avevo letto della possibile reunion di Elio e Le Storie Tese. Ma perché non mi accontento mai? Va beh, non divaghiamo, perché la questione è seria (ovviamente la più seria delle cose meno importanti, semicit.). In pratica, a distanza di neanche tre settimane in cui il calcio come lo conosciamo ha subito il più grosso attacco alla sua essenza, ecco che in Italia avviene, in proporzione, esattamente tutto ciò che in molti contestarono all’epoca. Me compreso. L’ideazione della Superlega nei termini proposti è inaccettabile, contro l’etica e la meritocrazia tipica di ogni sport. E altrettanto vale per questo nuovo assetto della coppa nazionale, uno dei trofei più maltrattati della storia. Attenzione, è chiaro che vi siano delle profonde differenze, come già qualcuno ha frettolosamente fatto notare: teoricamente, la società che milita in Serie C o nelle serie inferiori può arrivare in cadetteria e quindi tornare a giocare la seconda competizione nazionale per importanza (pensa te…); viceversa, la paventata Superlega avrebbe, nell’impostazione a noi pervenuta, dei meccanismi a inviti non chiarissimi e che, a sensazione, poco avrebbero a che spartire con i risultati del campo. Il concetto di fondo, però, è analogo: non sognate più. Sbattiamo la porta in faccia al Pordenone che per poco sbanca San Siro, vietiamo all’Alessandria di poter arrivare a un passo dal giocarsi la finale. Il calcio di provincia non merita rispetto, diciamolo chiaro, perché altrimenti ci stiamo soltanto prendendo in giro. E che non si venga a raccontare la favola del rivitalizzare la competizione, perché quello che è in procinto di realizzazione tende a snaturarla. Ci si riempie la bocca di parole quali “snellire”, rendere “effervescente”, consentire di avere partite più “appetibili”. Le medesime argomentazioni portate avanti dai sostenitori della Superlega.

La cosa incredibile, ma allo stesso tempo prevedibile, è che questa riforma stia quasi passando sotto traccia. Venti giorni fa si erano mossi persino i vertici della politica nazionale e internazionale: chiaro, stiamo parlando di interessi e di cifre straordinarie. La Coppa Italia non ha lo stesso peso, ma rimane comunque un trofeo che suscita ancora passione e che possiede una dignità, finanziaria e non. Nessuno, però, a parte i diretti interessati, sta muovendo delle critiche. Sarebbe bello che qualcuno alzasse il dito e dicesse che questo nuovo format va fermato immediatamente, perché non è una coppa nazionale degna di questo nome. Ogni volta si prende ad esempio il calcio inglese come riferimento, però quando si tratta di importare il buono prodotto nella terra d’Albione la dimentichiamo. La favola del Marine FC l’abbiamo conosciuta e reclamizzata in Italia a suon di titoloni, ma poi, nei fatti, le scelte vengono ancora orientate esattamente nella direzione contraria. Avete visto le foto dei ragazzi che hanno potuto ammirare Mourinho sul loro campo da tremila posti? Una squadra di ottava serie (per intenderci, la nostra Seconda Categoria) che si vede arrivare un colosso del genere. La società, con gli introiti ottenuti, con una saggia capacità di gestione dovrebbe essere a posto con i conti per venti anni: parola della dirigenza. Questa è una coppa. Finanza, sostenibilità, solidarietà, felicità, imprese sfiorate e riuscite. Invece, qui, continuiamo a ideare robe assurde, sempre più lontane dall’appassionato. Mi viene da ridere quando qualcuno obietta: «Ma i broadcaster non possono pagare per vedere una squadra di Promozione contro la Juventus». Cioè, scusate, la Premier League e l’intero sistema britannico rappresentano il più grande campionato del mondo, dal punto di vista tecnico, infrastrutturale e mediatico: come mai loro hanno una coppa del genere? Siamo noi che dobbiamo imparare, mettiamocelo in testa! Quella che è stata creata è una coppa di lega mascherata da coppa nazionale. Chiamatela come volete, ma non è la Coppa Italia. A parte l’aspetto etico, è proprio il ragionamento sottostante che è inconcepibile. Che senso ha ridurre il numero di partecipanti in una manifestazione che dovrebbe essere aperta e ricca di storie? Qualcuno crede davvero che iniziando direttamente con due turni preliminari che vedranno ai nastri di partenza squadre di Serie A e Serie B aumenti lo spettacolo? Non ci sarà tutto questo perché serve altro per renderla attrattiva. E poi, se proprio vogliamo metterla sul piano economico, nella prossima stagione potrebbero restare fuori piazze del calibro di Bari, Palermo, Triestina, Livorno, Catania, Alessandria, Cesena, Modena, Novara, Foggia, Avellino, Siena, Piacenza, Catanzaro, Pescara, Cosenza, Messina, Taranto, Sambenedettese, Ancona e tante altre. Vi rendete conto del bacino d’utenza potenziale e non sfruttato, visto che tanto è l’oggetto delle attenzioni degli organi preposti? Possibile che nessuno pensi che un Taranto-Inter sarebbe un evento per i tifosi pugliesi? Che un Catanzaro-Milan farebbe impazzire una terra che vive di calcio e che da anni si ritrova nelle serie minori? Che magari potrebbero incrociarsi Sambenedettese e Ascoli, per dar vita ad uno dei derby tra i più importanti e incandescenti d’Italia? Il modello inglese è quello vincente. Niente teste di serie e sorteggio libero. Niente favoritismi. Qualcuno obietta sempre: «Ma se poi in finale arriva la squadra del quartiere chi se la guarda?». Premesso che ovviamente non è così (la finale è la finale, anzi, ci si appassionerebbe così tanto alla piccola che in molti spingerebbero per vederla trionfare: Davide contro Golia ha un fascino immortale), ma poi, mettiamo caso, se ai sedicesimi di finale ci ritroviamo un Roma-Lazio, pensate che non sarebbe seguita e vissuta come la stracittadina merita? Con il sistema britannico aumentano le possibilità di vedere favole ma anche di vedere big match ben prima dei turni conclusivi, che è ciò che ingolosisce le società per la trasmissione dei diritti televisivi. Tanto, dai quarti di finale in poi, tutti i match sarebbero seguiti, inutile girarci intorno e inventarsi scuse. E poi, tornando all’esempio riportato poc’anzi, ci pensate a quanto ossigeno potrebbe dare un solo incontro a società che magari si autofinanziano? Potete solo immaginare la reazione di chi vede la sua squadra giocare da sempre per scalare le categorie dilettantistiche e che si ritrova, di colpo, Cristiano Ronaldo all’interno del proprio impianto?

Io sogno una Coppa Italia almeno a 128 squadre, con in campo tutte le squadre professionistiche (attualmente 100), più 28 rappresentanti del mondo dilettantistico (almeno Serie D, Eccellenza e Promozione, con dei preliminari tra loro che permettano a tutte di ambire ad avere sul proprio terreno di gioco squadre di livello). Tre turni di qualificazione a sorteggio libero, da svolgersi magari in una settimana d’estate prima dell’inizio dei campionati (evitando amichevoli, quelle sì, inutili). Poi, a gennaio, ottavi, quarti e semifinale in gara secca, prima della finalissima di maggio. Naturalmente, si dovrebbe giocare sempre in casa della squadra peggior piazzata.

Questa è la Coppa Italia dei tifosi.

Questa è la Coppa Italia del popolo.

Se un giorno qualcuno capirà, sarà comunque troppo tardi.

Ma sarebbe ugualmente un gran giorno.

Un grandissimo giorno.

 

Indaco32