Guardando oltre la partita: pubblico, crisi e Superlega
Che partita, ragazzi! Mamma mia! La finale di Champions League presto in scena è qualcosa che pare interessare soltanto al football inglese, ma in realtà fornisce importanti spunti d’analisi a tutto il calcio europeo. Manchester City e Chelsea si sfideranno sabato nella cornice di Oporto davanti a una discreta presenza di pubblico. Questo è già un determinante messaggio di speranza perché si è chiusa una stagione pesante per tutto il pallone continentale. Nulla di paragonabile all’orribile 2019-2020 in cui lo sport si è dovuto assentare, a causa della pandemia che sta mettendo in ginocchio ogni attività, per poi riprendere soltanto in estate provocando lo slittamento al 2021 dell’Europeo. Grazie ai rigidi protocolli messi a punto dall’Uefa e dalle Federazioni Nazionali, l’attuale annata è proseguita senza alcuna interruzione. Vi sono stati degli intoppi, ma si sono superati in maniera brillante. Penso ai travel ban che hanno costretto, e stanno forzando, il cambio di sede di alcuni incontri. Lo stesso ultimo atto della più importante manifestazione continentale per club avrebbe dovuto svolgersi a Istanbul ma, come un anno fa, la Capitale Turca non ha potuto ospitare l’evento. L’auspicio, che si avvicina sempre di più a una certezza, è quello di riempire le arene in cui si esibiscono i gladiatori del nuovo millennio. Ne abbiamo avuto un assaggio durante l’ultimo atto della Coppa Italia tra Juve e Atalanta andato in scena a Reggio Emilia. E’ stato qualcosa di magnifico. Un’esperienza che definirei mistica perché ha riportato a emozioni ormai dimenticate. Era strano, ma allo stesso tempo fantastico. Mi auguro che la finale di Champions e l’Europeo segnino davvero un nuovo inizio. Sembra banale. Pare quasi una frase retorica, ma non è così. E’ forse l’aspetto principale che la partita del do Dragao vuole garantire. I vaccini ci devono condurre in questa direzione.

Recentemente il Presidente della Lega Serie A, Dal Pino, ha dichiarato a Radio Uno come sia stato “un miracolo” portare a termine il campionato. Il sostantivo utilizzato rende perfettamente l’idea rispetto alle difficoltà provocate dal Covid. Tali problematiche, però, non sono soltanto italiche e, soprattutto, ricadono sull’aspetto economico di un pallone che già non versava già in ottime acque, ma riusciva comunque a sostenersi piuttosto bene. I guai finanziari, amplificati a dismisura dalla pandemia, necessitano di risposte forti e molto concrete. Come spiegato dal leader dell’ente più importante relativo al massimo campionato, il nostro calcio sta provando a trovare soluzioni. Lega e Figc stanno lavorando alacremente e in sinergia per raggiungere il risultato. Si parla di riforme anche parecchio ingenti come la possibilità di ridurre il torneo a 18 contendenti. Si tratta di modifiche rilevanti nel format. Da tempo immemore Gravina pare spingere nella direzione degli spareggi di fine torneo. In aggiunta non si può che fare riferimento a un generale ridimensionamento del sistema. Già qualche giorno fa un importante esponente dei vertici del pallone, Crhistillin, aveva portato in auge la determinante questione relativa agli stipendi paventando pure un possibile collasso del sistema se non si fosse raggiunto un target. Se non si approderà a un compromesso utile a tutti, il default è un rischio serio. Stando alla torinese, sotto tale punto di vista, la Germania sembra essere l’unica “isola felice”. Occorre lavorare, ma soprattutto farlo in sintonia. Questo è il vero dilemma. Il nemico è interno ed è la discordia. Ciò, però, può rappresentare un vantaggio. Non necessita combattimenti massacranti con qualcosa che proviene da fuori. Su tale linea si infila la vicenda Superlega. Come noto, questa potrebbe avere ripercussioni devastanti sui tornei della prossima stagione. Cosa decideranno gli organi di giustizia dell’Uefa e i Tribunali? Quale sarà il destino di Juve, Real e Barcellona? E’ risaputo che, come in una catena, dal loro dipenda quello di tutte le altre. Basti pensare al Sassuolo. Se i bianconeri dovessero essere esclusi dalle Coppe, con lo scalare delle posizioni, gli emiliani conquisterebbero un posto nella neonata Conference League. Come si può ipotizzare l’idea di un calciomercato senza avere determinate certezze? Sembra di vivere nell’assurdo. Basterebbe che, invece di incaponirsi su solide prese di posizioni, le parti cercassero di trovare un sano compromesso. L’affaire relativo alla nascita del nuovo torneo non è altro che un disperato tentativo di mostrare enormi difficoltà. Il muro contro muro è inutile. Anzi dannoso. Ceferin e l’Uefa si stanno comportando alla stregua del genitore che, agli impeti dissidenti del figlio, risponde con le punizioni senza indagare e volere comprendere quali siano realmente le esigenze. E’ un segnale di assoluta incapacità di gestione e persino di squilibrio.

Cosa ci insegna il calcio inglese?
Vedete quanti spunti!? La finale di Champions, purtroppo, non è valutabile soltanto dal punto di vista sportivo. Ma vorrei concentrarmi proprio su tale prospettiva. L’aspetto ludico è ciò che avvicina i tifosi al calcio. Comprendo che il pallone sia un business, ma non va mai dimenticato che, senza il campo, questo sport non esisterebbe. Il football inglese si è ripreso con prepotenza la ribalta della scena. Nel 2019 si è assistito all’incredibile doppia finale tutta britannica. L’EL fu una battaglia londinese. Chelsea e Arsenal, infatti, si disputarono il trofeo con i Blues di Sarri che riuscirono a conquistarlo. In Coppa se la videro Liverpool e Tottenham. A spuntarla furono i Reds guidati da Klopp. Quest’anno l’en plein non è riuscito soltanto per un soffio. L’Europa League sarà appannaggio del Villareal o del Manchester United mentre la massima competizione per club andrà certamente al di là della Manica. La sfida sarà tra City e Chelsea. L’intermezzo del 2020 targato Bayern Monaco sembra, quindi, soltanto uno stop momentaneo. E’ un dominio devastante e assoluto. Il calcio è ciclico. Dal 2000 al 2010 la serie A ha vissuto un impero sollevando ben 3 volte l’ambita kermesse Uefa, con Milan e Inter, negli ultimi 10 anni l’impresa è riuscita alla Spagna che ha fatto persino meglio centrando il bottino in 6 occasioni tra Real e Barca. Ora sembra il turno dell’Inghilterra. Ciò detto, giustificare quanto sta avvenendo soltanto con la citata teoria sarebbe riduttivo. Serve un’analisi più completa. Si potrebbe notare, per esempio, che l’assioma del giocare meno e vincere di più non è sempre corretto. Spesso noi italiani abbiamo il vizio di pensare che essere eliminati da una competizione possa migliorare l’approccio alle altre. Ammetto che, da un certo punto di vista, tale teoria è forzatamente valida. L’Inter scudettata e fuori dall’Europa a dicembre è la palese dimostrazione della bontà della tesi. Certe tossine psicofisiche sono infatti risparmiate. Ma la carica che dona partecipare a una manifestazione è impagabile come la delusione per uscirvi. Guardiola si è lamentato del fatto che si vi siano troppi impegni. E’ realista. I ritmi sono serrati, ma gli inglesi disputano ben 5 competizioni a stagione e 3 di loro sono in fondo a ogni torneo … Il numero di match è da ridurre, ma non è sempre una condanna. Alle nostre latitudini, poi, si fornisce parecchia importanza ad aspetti del pallone che, forse, ormai rappresentano quasi una storica ritualità. Penso all’ossessività nei confronti dei ritiri, dell’alimentazione, della tattica... Per carità, sono tutte situazioni da tenere in ampia considerazione e che hanno un enorme valore. Non dico che oltremanica non siano attenti a simili aspetti. Anzi, è il contrario. Ma sono meno rigidi che altrove. Ogni eccesso rappresenta un potenziale errore. Non a caso, anche in Italia, le norme sono meno rigide rispetto al passato. Il City è sbarcato in questa finale spendendo oltre 600 milioni di euro in 6 anni. Qualcosa di assolutamente galattico. Nemmeno i Blues hanno lesinato il soldino. E’ difficile, ormai, pensare a un calcio senza denaro e con poca programmazione. Insomma, è complesso ipotizzare un football romantico. Le tempistiche e le circostanze, tuttavia, in parte cozzano con la novità. Pure in tale ottica, la Superlega è stato un segnale importante. Diventa complesso lavorare se solo all’ultimo si è a conoscenza della competizione internazionale a cui si parteciperà nella stagione successiva. Tra Champions ed Europa League esiste un abisso sotto ogni profilo. I campioni preferiscono la prima a costo di abbandonare il club se impossibilitati a parteciparvi. Ai team viene a mancare una cascata d’oro. Insomma, la differenza è immensa e, in termini di wilde card, forse qualcosa dev’essere aggiornato. In un’impresa, la pianificazione è fondamentale.

Qual è la squadra più forte di sempre?
A proposito del cambio della guardia e cicli vincenti! Qual è stata, per voi, la squadra più forte di tutti i tempi? Qualcuno ritiene che a giocarsela siano proprio il Barcellona di Guardiola e il Real Madrid di Zidane. In effetti, in modi diversi e con un unico denominatore comune, hanno cambiato il calcio. Entrambe le compagini hanno trionfato. Pep ha originato il tiki-taka dando una svolta decisiva al football. E’ una barocca ricerca del passaggio corto e della trama. A volte è talmente pesante da apparire quasi autolesionista. Guai a pensare di lanciare sul centravanti anche perché tale ruolo spesso è ricoperto dallo spazio. Molto è schematico, ma nulla è schematizzato. Significa che le magnifiche azioni poste in essere da tale modalità di gioco non sono sempre preparate a tavolino. Spesso sorgono spontanee perché parte del DNA degli interpreti. Xavi, Busquets, Iniesta, Pedro, Villa, Messi, ma anche atleti come Dani Alves hanno tutti quelle caratteristiche. La miglior difesa è l’attacco. Il motto è questo: “Se si vanta il possesso della sfera, è impossibile subire gol”. L’approccio dei Galacticos, invece, è molto diverso. Loro sfruttano il valore del singolo: Kroos, Modric, Ronaldo, Benzema, Bale e Isco. La giocata dell’eroe risolve l’incontro. Per il resto serve grande equilibrio. L’idea di affidare la regia a Casemiro nasce proprio da lì. Al resto ci pensano calciatori alla stregua di Carvajal, Marcelo, Sergio Ramos e Varanne. Risultato? Per i catalani sono 2 Champions vinte, nel 2009 e nel 2011, con la clamorosa quanto rocambolesca sconfitta patita nella semifinale 2010 dall’Inter. Avrebbero tranquillamente potuto centrare il tris raggiunto, invece, dalla Casa Blanca tra il 2016 e il 2018. Sulla falsariga guardiolana, comunque, si staglia il successo blaugrana targato Luis Enrique della stagione 2014-2015. Non posso scegliere la più forte. Sarebbe veramente come decidere se si preferisce il padre o la madre. Sono creature troppo diverse e che vantano stili opposti. Sono i manifesti di due correnti diametralmente differenti, ma altrettanto di successo. Non sono in grado di definirmi conoscitore del pallone antico. Sarei falso se trattassi della grande Olanda di Cruijff o del Milan di Sacchi e Capello. Nel primo caso, manco ero nato. Negli altri 2 non avevo certo l’età per comprendere qualsivoglia genere di sport. Affermo soltanto che quelle epopee di Real e Barca mi hanno rapito il cuore e hanno sicuramente scritto la storia.

Chi vincerà la Coppa?
Se vincesse il Manchester penso risulterebbe una sorta di copia del Barcellona di Pep. Non me ne voglia il club inglese. Ma è chiaro che la novità non può essere apportata da uno tra i più illustri allenatori al mondo da ormai più di 10 anni. Tutti conoscono la sua idea di football che chiaramente ha subito delle modifiche, ma parte dalla stessa base. Alla BoboTv, dove recentemente è stato ospite proprio il tecnico catalano, Lele Adani ha paragonato Busquets a Rodri. Non è certo un caso. L’anima nascosta del Barca di Guardiola è traslata a quella attuale dei citizien. Forzando il concetto, il talento di Foden può ricordare la classe innata di Messi. E’ chiaro che, per ora, trattasi di lesa maestà ma, nel profondo, la mens del Veliero richiama parecchio a quella tipica barcelonista. D’altronde, al DNA non si comanda. La situazione varia notevolmente nel caso in cui a spuntarla fosse il Chelsea. Sembrerà assurdo, ma è così. Il team meno forte, quotato e glamour è quello, in realtà, più moderno. Sono calcisticamente follemente innamorato di Tuchel. Ha centrato 2 finali di Champions consecutive. Tanta, tanta roba. E’ stato cacciato dal Psg dopo avere trionfato in Ligue 1 e condotto i francesi all’ultimo atto della massima competizione continentale per club. Il tedesco non si è perso d’animo. E’ immediatamente giunta la chiamata del Chelsea e ha colto al volo l’occasione guidando i Blues al fondamentale match di sabato. Senza voler nulla levare a Pochettino, i transalpini hanno pure perduto il titolo nazionale. Il teutonico non ha avuto una grande carriera come calciatore. In questo aspetto potrebbe rimembrare Sarri. Non penso sia semplice trovarsi in una squadra di campioni quando non si sono vissute certe sensazioni. Tale potrebbe essere anche lo scotto pagato all’ombra della Tour Eiffel. A Londra, invece, ha trovato giocatori giovani e forse maggiormente preposti a seguire le sue idee di calcio. Ha recuperato una terra fertile da lavorare. Ancora una volta torna spontaneo il paragone con l’ex mister della Juve. Tra Napoli e Torino, Maurizio visse una vicenda piuttosto simile. Tuchel ama il 3-4-3. La costruzione dal basso esiste, ma non è “ossessiva”. A differenza di Guardiola, il portiere Mendy non viene chiamato in causa. Due difensori aiutano la fase di manovra passando per un mediano che si abbassa a impostare. Solitamente è Jorginho con Kante che resta a supporto. Gli esterni si alzano formando così un attacco a 5 uomini con 2 di essi che si frappongono tra le linee dando fastidio senza garantire riferimenti alla difesa avversaria. Non è possibile? Si cerca la profondità lanciando Werner. Quando si difende si compone l’armata dei 5 difensori con Chilwell e James chiamati a un super contributo. E’ chiaro che non ci si trovi innanzi a una rivoluzione o a una squadra galattica. Non è né il tiki-taka, né il calcio pratico di Zizou, ma qualcosa di nuovo che è ancora in embrione. Potrebbe crescere e, un domani, divenire storico.

Difficile pronosticare chi alzerà il trofeo. Ammetto che il cuore mi dice Chelsea. Vorrei che Tuchel godesse di un meritato premio e mi piacerebbe ammirare il successo delle citate novità. Sarebbe anche bello riuscire a vincere contro tutti i pronostici. D’altra parte è sempre così: si parteggia per la squadra meno quotata. La ragione, purtroppo, mi spinge a sostenere che trionferà il City e Guardiola festeggerà finalmente la tanto agognata Champions lontano da Barcellona. Ammetto che un tantino rosicherei...