A volte accadono fatti inspiegabili. Anzi, se ci mettiamo a contarli, dall’avverbio “a volte” si passa all’ avverbio “spesso”. Già, perché non prestando troppa attenzione, ci sembrano circostanze fortuite, o eventi rari, eppure, governano costantemente il nostro perimetro vitale e sensitivo. Il mondo è piccolo, e ci capita di non incontrare mai chi ci abita di fronte, ma magari lo troviamo in vacanza fuori dall’Italia; oppure, non ci guardiamo un ritorno di Champions perché la partita è già stata archiviata: Barcellona 4-1 Roma e che me la guardo a fare, sprecherei una giornata in cui potrei benissimo fare altro. E poi, mentre stiamo fuori, ci accorgiamo di non aver assistito ad una delle più belle rimonte di sempre. È così, siamo attorniati da eventi inspiegabili, resi ancor più inspiegabili, quando si creano delle coincidenze pazzesche, o quando ci vengono inanellati degli aneddoti a cui rimaniamo a bocca aperta. Sì, perché rimanendo in tema calcistico ce ne sono a profusione: per esempio, nel 2002, il Como di Preziosi, appena sbarcato in Serie A, non si convinse a spendere 35 mila euro per un ragazzo alto <<un soldo di cacio>>, ma che poi diventerà il sei volte pallone d’oro; un altro aneddoto collegato sempre a Preziosi, era quando saltò l’affare Lewandowski, dove il club scriveva un comunicato in cui affermava di non aver mai raggiunto un accordo con il giocatore, ma che invece sarà confermato dall’agente e da Gasperini (a quel tempo allenava il Grifone), dove già gli aveva stretto la mano. Ma di casi ce ne sono ed è possibile trovarli ovunque. Eventi, fatti e statistiche e, quando si sommano, creano fenomeni stupefacenti, come questo:

36 gol in campionato, quelli che Higuain realizzò nella stagione 2015-2016; 36 gol in campionato, quelli che Immobile ha realizzato in questa stagione, con tanto di scarpa d'oro. Un argentino a Napoli, allo stadio San Paolo di Napoli per il record; un napoletano a Roma, allo stadio San Paolo di Napoli per eguagliarlo.

Il nome, già l’avete letto.

Una falsa percezione

L’alone che sembra aleggiare su di lui è esattamente questo. Avete presente quando sui social nessuno pubblica una foto, una storia, o qualsiasi cosa che possa essere visibile ad altri, allora si tende a pensare che c’è qualcosa che non va? Bene, la stessa cosa accade con Ciro Immobile. Sì, perché il ragazzo di Torre Annunziata, non è mai stato ben visto dai media, o meglio, gli sono state regalate molte più criticità che elogi, anche quando volava insieme alla sua Lazio, deliziandola e deliziandoci con record su record. Purtroppo, si tende a credere che se il giocatore viene tolto dagli scaffali in vetrina, che solitamente il palcoscenico mediale offre, allora non stiamo parlando di un giocatore forte, talentuoso, vigoroso, ma di un comune e classico calciatore. Ma non è così. Non lo è assolutamente. Ritornando con il discorso social, voi pensate che se io non pubblico una storia, allora equivale a dire che sono un ragazzo asociale, privo di amici, chiuso in se stesso e che odia la compagnia? Questo è quello che accade nel contesto digitale di oggigiorno. Sappiamo tutto degli altri, senza conoscere direttamente quella persona. E lo stesso, avviene nel calcio, un contesto più digitalizzato di quanto voi non immaginiate. Prima i giocatori scendevano dal pullman o dall’aereo con gli occhiali da sole, per ripararsi dall’accecante luce solare. Adesso non occorrono più, perché tanto sono tutti in preda ad essere attratti dallo schermo del telefono. Ora, non voglio assolutamente demonizzare il contesto digitale, anche perché sputerei sul piatto dove ho mangiato e dove mangio tutt’ora, tipo adesso. Ma è stata un’introduzione per farvi capire la percezione che è stata creata intorno al giocatore. Immobile, non è mai stato il preferito della penna delle testate giornalistiche. Quando si deve scrivere di lui, l’inchiostro si esaurisce sempre. Lo era raramente, quando sfoggiava prestazioni esagerate, ma, molto spesso, quando non era in partita o per descrivere le esperienze tedesche e spagnole, acutizzate con la Nazionale, allora era in prima pagina. Ma ci arriveremo successivamente. Nemmeno le voci di mercato si sono mai accese su di lui. Si è sempre parlato, anzi, bisbigliato sulle sue possibili nuove destinazioni postLazio, ma che poi sono sempre state spente da lui “voglio rimanere a vita” o dalla moglie “abbiamo comprato casa da poco”. Ciro è genuino, sia come ragazzo – ormai uomo – sia come calciatore. E la sua genuinità paga il caro prezzo di esser poco raccontata, dandoci una falsa percezione di non essere un grande giocatore, nonostante i record che riesce ad incidere. Giocatori che vengono “pompati” dai mass media, quando compiono gesta a breve termine e giocatori che vengono “sgonfiati” perché nel breve termine non hanno inciso, tralasciando i fatti basati sul lungo termine, i più importanti. Una satira amara, beffarda, che si trasforma in un’arma a doppio taglio in entrambi i casi. Ma forse, è meglio così. Il fatto di non esser stato scelto come bersaglio mediale, sia in buona che in cattiva fede, rende Ciro il classico attaccante d’altri tempi, staccato dal mondo digitale e pieno dei valori intrisi nel passato, di quelli che ormai non ci sono più, ma che vengono solo narrati da chi ha appeso gli scarpini al chiodo.

Ciro naturale vs Ciro artificiale

Da fuori, però, per chi vive la quotidianità con i quotidiani, per chi vive all’interno di una cassa di risonanza che sono i social o per chi vive da chiacchiere da bar, come una catena alimentare, si possono verificare degli eventi, che possono portare a considerare Ciro Immobile un altro Ciro Immobile. Una freddezza mediatica è stata descritta precedentemente: un giocatore che ha eguagliato il record di Higuain (un record che non pensavo mai potesse essere raggiunto in così poco tempo) ha fatto meno scalpore dei 10 gol di Ibra quest’anno. Una scarsa empatia c’è, è oggettivo e agli occhi di tutti. Entriamo nel dettaglio. Il ragazzo, segna, e lo fa di continuo: in allenamento, in partita, sulla playstation, ovunque. Immobile è diventato letteralmente il sinonimo del gol. Eppure, la stampa non glielo riconosce. O meglio, si tiene cauta, come se dovesse farlo forzatamente, come se dovesse parlare bene del miglior nemico. Non lo fa con la leggerezza o con la spensieratezza di chi deve raccontare le vicissitudini di un tre volte capocannoniere (quattro contando la Serie B), di uno che ha vinto la scarpa d’oro dopo 14 anni, di uno che è in testa alla Serie A come marcatore di tutti i tempi. Il merito non è di Ciro, ma solo di chi gli sta intorno. Immobile fa il suo dovere, quello dove devono ottemperare tutti. Immobile segna perché il gioco glielo permette. Questo è quello che ci viene narrato, quello che troviamo scritto. Per quanto il suo cognome non lo faccia pensare, Ciro si muove, crea spazi, collabora con la squadra e si, fa anche assist. Un diamante esposto alla luce del sole se si pensa al giorno d’oggi, eppure, tutti fanno finta di non vederlo. Con il passare degli anni ha avuto una verve diversa, è cresciuto, è maturato e, a 30 anni compiuti lo scorso febbraio, ha raggiunto la saturazione nel migliore dei modi. I dati lo dimostrano, e se lo dimostrano i dati, a cosa ci si deve appellare ancora? Poi si inizia con la tarantella estera, proseguendo con quella della Nazionale. È vero, non stiamo parlando dei livelli calcistici raggiunti con il Pescara, Torino e Lazio, ma il fatto che Ciro Immobile abbia fallito – terre estere parlando – in tali contesti, si fa di lui un mezzo giocatore. Oppure, agli elogi, più che meritati, per quello che ha conseguito in questi anni nel massimo campionato italiano, la risposta della critica rimane pur sempre “si ma all’estero…”. Partendo dalla Nazionale, l’attaccante della Lazio, non vede sicuramente la porta come accade nel campionato, ma Belotti, che ha realizzato un gol in meno di lui, tutti questi polveroni non vengono alzati, anzi, il polverone lo alzarono quando l’uno prese il posto dell’altro (Belotti su Immobile), scrivendo che insieme non potevano giocare, che non era come Torino e che c’era un’accesa rivalità di bomberismo. Causa chi? La risposta penso che già l’abbiate intuita. Ovviamente le smentite arrivarono qualche giorno dopo, con un abbraccio dei due connazionali mandato per cartolina alle testate televisive e quotidiane. Continuiamo il percorso della demonizzazione, sventolando bandiere tedesche e spagnole, rispettivamente BVB e Siviglia. Nel primo caso, siamo di fronte ad un favoreggiamento della Bild oltre che di quelle nostrane, scrivendo che non sapeva parlare il tedesco. Vero, ma quanti, andati in terre lontane, non sapevano parlare la lingua madre del posto? Il ragazzo visse a Dortmund un’esperienza indimenticabile, in senso negativo però. Raccontò di non aver mai ricevuto un invito a cena dai “compagni” o che l’allenatore -Tuchel - non si rese conto del suo problema con la lingua fin quando ad un colloquio vide il napoletano in difficoltà. In Germania, nella sua unica stagione realizzerà 10 gol, spartiti tra campionato e coppa, di cui 4 in 6 partite di Champions. Nel palmarès ha aggiunto anche una Coppa di Germania, assieme ad un biglietto per Siviglia. Qui, peggio che mai: otto presenze e due gol, con Emery che, a mio modo di vedere, ad un certo punto si era completamente dimenticato di lui. Poi torna in Italia e spazza tutto a suon di gol. O meglio, spazza tutto ma non per tutti, perché i media, suoi miglior nemici, sono più che mai ancorati all’Erasmus europeo. Perché tutto questo? Forse il club? Forse, come accadeva a scuola, i prof non nutrono simpatia per l’alunno?   Fatto sta che il Ciro naturale lo vediamo riflesso nei dati, nelle prestazioni e nei gol, dati oggettivi per chiunque, nessuno escluso. Il Ciro artificiale creato dalle narrazioni non è assolutamente vero, ma solo frutto di una torbida invidia.

Un calciatore che vive il presente sulla scia del passato

Ciro non è un calciatore attuale. Ciro è un giocatore d’altri tempi, come ho scritto precedentemente. Perché non ha vissuto in quel mare magnum digitale, ma è nato nella naturalezza e nella spensieratezza del passato, nella bella Napoli. Al di fuori del contesto digitale, dei telefonini e di internet, Ciro è cresciuto e si è fatto le ossa per strada, giocando per i quartieri di Napoli, rafforzandosi sul cemento e, sgattaiolando sotto le gambe dei più grandi, come racconterà in un’intervista

«Sì, ho buttato la palla di lato e siccome stavo cadendo gli sono passato sotto le gambe continuando a correre».

Poi, però, ha capito che non poteva crescere soltanto così, ha capito che era forte e, che quella grinta, quella voglia di rincorrere il sogno, doveva concretizzarlo e, a soli quattro anni, si iscrive ad una scuola calcio. Per lui fanno un’eccezione, chiudono un occhio, perché era troppo piccolo, ma quando si affianca al “troppo piccolo” un “troppo forte”, come si fa a non chiudere un occhio? I movimenti li ha imparati grazie alla mamma, dirà lui, per poi ribadire che l’equilibrio è merito degli allenamenti. Sì, perché Ciro non si ferma mai: corre, rincorre, si muove senza palla e con la palla, trova i compagni. Tutto questo è maturato con la Lazio, ma ha trovato le basi negli anni passati. Un giocatore grintoso, che ha la voglia di non mollare mai, una voglia tale che gli è stata consegnata da Klopp, quando era a Dortmund. E ne abbiamo avuto prova nelle partite, quando la butta dentro e riporta il pallone al centro, come per dire, “adesso vinciamola”. Una carriera che prende il volo solo con il boemo, perché prima è stata un giramondo: a 17 anni, gli osservatori della Juventus lo acquistano per una cifra inferiore ai 90mila euro, lo aggregano in Primavera e contribuirà con una doppietta alla vittoria di Viareggio. Poi, però, i prestiti prima a Siena e poi a Grosseto non fruttano quanto dovrebbero, fin quando poi non scende a Pescara, dove incontra Verratti e Insigne e lì, si completa una squadra da sogno. Zeman gli ha insegnato i movimenti giusti, affermerà Immobile, quelli che occorrono per andare verso la porta o incontro al portatore palla. Vedere il centrocampista e sintonizzarti con lui, per muoversi nella direzione esatta, quella dove lo lancerà. Quelli sono i movimenti giusti di Ciro, come anche i movimenti di pensiero. Già, perché adesso non puoi più permetterti di pensare due volte, di scindere la ricezione del pallone e poi come tirare. No. Devono essere incorporati, per anticipare i difensori, per spiazzare il portiere e per carpire l’occasione che gli è stata data. Mentre si riceve palla, già sai come tirare e dove tirare. Questo è il segreto degli attaccanti, questo è il segreto di Ciro, l’uomo dei 36 gol in campionato.

Il never back down di Klopp

Già, perché se c’è qualcuno che deve ringraziare e che ha fatto ripetutamente, ribadendolo in più interviste, quel qualcuno è Jürgen Klopp. Lo spirito conferitogli da lui è stato quello di una carica emotiva ed energica che gli ha fatto fare quel salto in avanti nel nostro campionato. Ciro non si è mai arreso, nemmeno nei momenti dove la sua carriera poteva prendere una piega diversa. Perché dopo il terzo prestito (era ancora di proprietà della Vecchia Signora) in cui fu reduce da una stagione mostruosa come quella di Pescara, non dargli la possibilità di mettersi in luce in un palcoscenico più ampio, screditandolo, decidendo di non riporre fiducia in lui, è stato straziante. Vedere come Verratti va al PSG e Insigne viene ripreso dal Napoli e non vedere una chance ricadere su di lui, è stato demoralizzante. Anzi, gli viene ceduta la metà del cartellino. Eppure non stiamo parlando della Juventus stellare di adesso, quella dai supernomi lì davanti. Ha mantenuto una luce flebile, sempre, perfino quando avrebbe potuto spegnersi all’estero, nelle stagioni ombra di Borussia Dortmund e Siviglia. Ma è lì, che quella luce in procinto di spegnersi, viene rincarata da Klopp, che gli insegna indirettamente di non mollare mai, anche quando tutto sembra andare male e in quella stagione, tutto stava andando male, con la squadra ultima in classifica. Ciro ha sempre conservato quelle parole come spirito motivazionale. Quando qualcosa non andava bene, quando qualcosa girava nella direzione opposta a quella desiderata, lui rimembrava quelle parole, e si convinceva che prima o poi, il riscatto, l’occasione giusta, gli sarebbe capitata fra le mani. Anzi, fra i piedi. Perché con la Lazio è stato così. Con l’aquila biancoceleste si è preso quel riscatto di una vita, diventando grande in una squadra che l’ha portato ad esser ancora più grande, in segno di crescita reciproca. “Non arrendersi mai, anche quando tutto va male” è stato l’antidoto giusto, perché adesso va tutto come dovrebbe. Perché il ragazzo che “fa solo il suo dovere” ha portato a casa la scarpa d’oro, un traguardo difficile in Italia, visto che non si segna mai così tanto come in altri campionati, superando un Cristiano Ronaldo, Messi e persino Lewandwoski, l’uomo che avrebbe potuto vincere il Pallone d’Oro quest’anno. Ciro è naturale, è stato attendista e, adesso, la pazienza lo sta ripagando, portandolo ad essere un uomo leader della sua squadra, a cui ha già dato il bacio della promessa: “Resto a vita”.

Ciro Immobile NON è…

Non è assolutamente quel calciatore che non sa calciare. Sì, perché esistono anche attaccanti di questo tipo, che vengono schierati davanti, ma che non hanno la giusta precisione nel tiro. Beh, Ciro la porta la vede e come. Potrà essere sovrastato da un difensore, anche da due, ma se trova il guizzo o se ne va o trova la giusta coordinazione per impensierire il portiere. Poi, se la sua precisione supera anche il limite percentuale, allora il boato dei tifosi darà la risposta del gol. Non è sicuramente un calciatore che guarda il risultato. Ciro elude l’influenza del punteggio e non gli importa se non si sta lottando più per qualcosa, non importa se la distanza con la Juventus era diventata incolmabile, non importa se la squadra è sotto di dieci gol, ma importano i novanta minuti. In quei novanta minuti è come si stesse giocando la vita. Non è quel calciatore che si arrende al primo stop. Never back down, era il nome del paragrafo precedente. Perché con Klopp, anzi, grazie a Klopp, ha compreso che il termine “arrendersi” non esiste sul suo vocabolario calcistico. E di vita aggiungerei. Non è la prima sconfitta a mettere k.o. il talento di Torre Annunziata, e non ne saranno nemmeno dieci. Ciro ha la grinta che scorre nelle vene, quella che lo fa lottare su ogni pallone e che lo rende affamato in ogni occasione che gli si prostri a suoi piedi. È un combattente, e come tutti i combattenti, continuano a combattere. Non è un calciatore che si adagia. Ciro, in questo caso, è lo specchio di Max Allegri. Per il primo bisogna sempre migliorarsi, per il secondo non esiste la perfezione, ma ogni occasione è buona per imparare qualcosa, anche quando si vince tutto. Credete che adesso Ciro si adagerà sulle allodole dopo aver vinto la scarpa d’oro, la Supercoppa Italiana, aver toccato quasi per mano il sogno scudetto e aver riportato la squadra in Champions? Ciro non si fermerà mai, nemmeno se il tempo gli dovesse bussare alle spalle. Non è un calciatore che segna solo su rigore. Anche qui, tocca sfatare un tabù. Ciro ha segnato tanti gol, diversi su rigori, magari anche tanti, ma non fanno di lui un ragazzo come gli altri. La fisicità, i movimenti che crea, gli spazi che offre ai suoi compagni, bisogna notarli. Immobile non fa gol a caso, ma si fa trovare pronto, al posto giusto e al momento giusto. In tutto questo, ci sono anche i rigori, ma bisogna ricordarsi che i calci di rigore non solo vanno realizzati (ed esistono gli specialisti) ma vanno anche procurati. Ciro sa fare entrambe le cose. Non è mai banale. Sì, perché la sua creatività lo porta ovunque. Non avrà mai la strapotenza fisica del Gonzalo Higuain di quattro anni fa e nemmeno la classe di Lewandowski, ma è agile, astuto e, come disse nell’intervista, siccome stavo cadendo gli sono passato sotto le gambe continuando a correre. Sgattaiola e gira intorno agli avversari, senza che questi nemmeno se ne accorgono. Infine, Immobile non è immobile. Si muove, sa andare incontro al pallone, libera spazi, crea varchi, e corre verso quel pallone che sembra irraggiungibile. Al contrario di altri, che magari attendono che il pallone gli arrivi sui piedi, dove magari c’è anche disegnata una “X”, Ciro lo va a cercare. Fiuta il pallone, lo scova tra i piedi dell’avversario e, con le sue ringhia, permette ai compagni di rubarlo, lanciarlo verso di lui, per poi buttare giù la porta.

Ciro Immobile sarà anche antipatico ai media, agli addetti ai lavori e alla stampa, ma lui sa rispondere nel migliore dei modi. Basta guardare i dati, leggerli, rileggerli se non si sono compresi attentamente e poi, mettersi l’anima in pace.