San Tito, una minuscola Parrocchia distante poche centinaia di metri dall'appena ultimato Ponte Marconi, che con i suoi 235 metri di lunghezza risulta il ponte più lungo della Capitale.  La sua costruzione ebbe inizio nel 1937 ma i lavori vennero sospesi a causa della guerra e verranno terminati con l'inaugurazione del 4.3.1955 alla presenza di Rebecchini, Sindaco di Roma, Giuseppe Romita Ministro dei Lavori Pubblici, la marchesa Marconi vedova dell'inventore Guglielmo Marconi alla cui memoria è dedicato il nome dell'opera, e alla loro figlia Elettra. Il nuovo ponte collegherà il quartiere Trastevere-Monteverde con la sponda sinistra del Tevere, dove Viale Marconi prosegue per circa due km congiungendosi con il quartiere dell'EUR costruito ai tempi del regime fascista. 

La costruzione di quel ponte diede una nuova vita a tutta la città ed in pochi mesi venne edificato un nuovo quartiere confinante con l'Ostiense e la Basilica di San Paolo fuori le Mura. Sorsero tante palazzine signorili di 4, 5 piani al massimo che avrebbero nel breve corso di qualche anno fatto espandere questa nuova, elegante zona abitativa fino alle vicinanze dei giardini dell'EUR. 
Papà Renato nel corso di quell'anno trovò una bella casa in affitto situata al terzo piano di una palazzina appena costruita, l'appartamento aveva ben 6 stanze con doppie cucine e bagni, lo ritenne ideale da condividere in coabitazione con una famiglia di nostri parenti provenienti dal sud-Italia. 
Eravamo nel 1956 e ancora in quel periodo post bellico era piuttosto frequente condividere l'abitazione o vivere in subaffitto, e così la nostra famiglia costituita da mamma Ofelia, papà Renato e il sottoscritto figlio unico si trasferì da un monolocale del quartiere Testaccio ad un signorile appartamento del neo quartiere San Paolo-Marconi avendo tutte per noi ben due stanze, cucina e bagno (con tanto di scaldacqua elettrico, per quei tempi una vera chicca!), mentre ai nostri parenti, una coppia di zii con tre figli adolescenti, andarono le altre 4 stanze. Nel tempo e per diversi anni la convivenza filò liscia e per noi tutti rappresentò un radicale cambio di qualità di vita, un velato presagio al "boom" economico italiano che avrebbe investito di lì a pochi anni tutta la penisola. Del resto papà Renato era stato recentemente promosso, nel suo ufficio stampa, a caposervizio della sala telescriventi e quindi tecnicamente responsabile del dispaccio della notizia. Per questo unitamente ad una indennità linguistica che un recente rinnovo di contratto di categoria gli concedeva, ottenne un sostanziale aumento di stipendio.

San Tito era la Parrocchia dei Padri Murialdini (ora San Tito si chiama Chiesa Parrocchiale di San Leonardo Murialdo) e siccome della futura Chiesa era in piedi solo il suo progetto, il Vaticano dispose l'affitto provvisorio (così venne detto, ma in realtà trascorsero ben 9 anni) di un locale di una settantina di metri quadrati fronte strada, adiacente ad un negozio di frutta e verdura, da adibire a Cappella in attesa della realizzazione della nuova Chiesa Parrocchiale. Così com'era la chiesetta, saracinesca sempre alzata, statuina della Madonna di Fatima illuminata a fianco di un piccolo altare, solo 4 file di panche, un miniconfessionale ed una miniacquasantiera al suo ingresso ove campeggiava in alto uno striscione effigiante una Croce con la scritta "Parrocchia San Tito" a soli 2 mt. di distanza dalla scritta "Frutteria" dava l'idea all'avventore di turno di trovarsi di fronte ad un "Pronto Soccorso Spirituale", magari frutto di una recente innovazione scaturita da una Enciclica Pontificia a beneficio delle anime sconvolte... e così il presunto redento poteva liberamente entrarvi e chiedere: "...Padre...ho commesso un peccato...è urgente!...mi può confessare!?" San Tito era...e rimase unico nella sua breve... ma intensa storia! Una piccola Chiesa, ma con la serranda sempre aperta... giorno e notte! 

Arrivò pochi giorni prima di Pasqua Padre Rino Molinari, un Murialdino di ritorno da una missione in Africa, era un cuneese di nascita, sulla cinquantina, altezza e corporatura media, capelli di un nero corvino che iniziavano ad imbiancarsi. Dai primi approcci con i parrocchiani si rivelò istantaneamente molto paziente, gentile nei modi, disponibile sia verso le persone anziane, ma soprattutto verso i bambini, sapeva catturarli con il suo sguardo solare e sempre sorridente. Riuscì in breve tempo a farsi amare da tutti, le sue prediche erano brevi ma significative e toccanti, riusciva a penetrare anche i cuori dei "comunisti", quelle persone che con la scusa della mancanza di posti a sedere nella Chiesa preferivano ascoltare la Messa in piedi dal marciapiede. L'effetto di quelle sue prediche vertenti sugli episodi del Vangelo domenicale, ma sapientemente trasformate in metafore riguardanti la normale vita quotidiana si tradussero nell'arrivo, pochi giorni appresso, di un camion che scaricò altre 4 panche da aggiungersi, serrando la distanza con le precedenti, nella piccola platea della Cappella. E così i "comunisti" non ebbero più scuse. Insomma Padre Rino, una sorta di buon "Don Camillo" e divenne rapidamente il personaggio più amato del quartiere. Le sue messe domenicali fecero sempre  registrare il tutto esaurito. La Basilica di San Paolo si riempiva soltanto in occasione di Comunioni, Cresime e grandi Matrimoni.

Passarono solo un paio di mesi nel vedere il Parroco celebrare Messa senza l'ausilio dei chierichetti, una sera, accompagnato da mamma Ofelia, dopo la Messa vespertina, Padre Rino si accostò a me facendo un sorriso seguito da una carezza con una mano e mi porse con l'altra due pacchetti di gallette con cioccolato farcito (distribuite in quegli anni dalla Pontificia Opere Assistenza) domandò, prima osservando mia madre e poi rivolgendosi a me, se mai avessi avuto desiderio di diventare chierichetto. Tanto io quanto mia madre, dopo un'iniziale perplessità, annuimmo e così divenni, avevo soltanto 8 anni, il primo chierichetto di San Tito. Io ne ero entusiasta, affascinato dal pensiero d'indossare una tonaca nera con cotta bianca, una divisa tutta per me... mi mandava in estasi!  Erano rimasti scolpiti nella mia mente le immagini di uno stuolo di chierichetti, con le loro belle tonache, tutti in fila ad  accompagnare il Vescovo nelle messi solenni sotto l'altar maggiore della Basilica di San Paolo... quella notte, nonostante una doppia camomilla, mia mamma aveva ben compreso il mio stato di sovraeccitazione, non riuscii proprio a chiudere occhio!
Al termine delle messe e nei pomeriggi di tutti i giorni veniva aperto un mini oratorio. Padre Rino aveva trovato un ampio garage proprio sotto la Cappella di San Tito e ne fece ricavare un paio di stanze, l'una con il tavolo da ping-pong, l'altra con due bigliardini calcio-balilla ed un disimpegno dove in genere sedeva Padre Rino con il suo breviario pronto ad alzarsi per sedare qualche scaramuccia che inevitabilmente nella verve del gioco scaturiva sempre, vuoi per un punto valido o meno, vuoi per un gol da annullare al bigliardino, magari per una plateale rotazione delle manopole, era una solenne scorrettezza. Alcune volte i ragazzi più scalmanati discutevano così animatamente sostenendo le proprie tesi fino ad arrivare ad usare le mani. Ma Padre Rino non si scomponeva più di tanto, dopo averli separati prendeva per mano la coppia di litiganti, percorreva il breve tratto in salita per arrivare dall'oratorio alla Cappella e qui li avrebbe confessati, impartendo loro, quale penitenza, quella di rimanere inginocchiati e pregare fino alla chiusura dell'oratorio mentre i loro compagni continuavano a giocare e divertirsi. Furono lezioni di vita che a turno, me compreso, ricevemmo, ma di cui ancora serbiamo un caro ricordo ed un saggio insegnamento. Anche questa fu una perla da aggiungere ai tanti e validi metodi d'insegnamento predicati ed applicati dal grande Padre Rino.

Nella primavera dell'anno seguente si aggregò al gruppo di chierichetti, dopo altri due ragazzi che arrivarono attorno a Natale, un mio caro amico, di solo un anno più piccolo di me: Franco, era più alto di me, io ero piuttosto minuto, recuperai fortunatamente altezza sul finire della mia adolescenza, era un po' grassoccio e sempre sorridente, aveva un incisivo spezzato, se l'era procurato giocando a pallone, ma aveva sempre il sorriso in bocca.  Era tifoso della Lazio, mentre io, a quei tempi, lo ero della Roma. Tra noi nacque subito una grande amicizia che durerà per oltre vent'anni. Franco fu uno dei testimoni al mio matrimonio. Amavamo stare sempre insieme, passeggiate infinite, quando l'oratorio era chiuso ed ovviamente in Chiesa non c'erano funzioni, Padre Rino ci battezzò "Cino & Franco". A quei tempi era un fumetto creato in America da Lyman Young nel 1928 ma arrivò in Italia soltanto nel dopoguerra per opera della casa editrice Nerbini che ne pubblicò le storie nelle edicole in un formato a strisce, sia io che Franco settimanalmente acquistavamo con i nostri risparmi quei fumetti il cui formato entrava giusto giusto nella tasca del grembiule di scuola, e così durante la ricreazione con una mano addentavamo il panino preparatoci dalle mamme e con l'altra ci dilettavamo a leggere le avventure dei due giovani "rangers". Ragazzi....che tempi....che nostalgia...e poi all'uscita della scuola c'era sempre il  "nonnetto" con il suo trespolo pieno di leccornie, liquirizie a laccio, fusaglie (lupini), noccioline americane....e infine piccoli camioncini di plastica con il cassoncino pieno di mini chewing gum...ma costava 25£...il costo di un fumetto...e allora, dato che i nostri risparmi erano veramente contati... ci si mise d'accordo io e Franco acquistando a turno, ogni settimana, un solo Cino & Franco, poi ce lo saremmo passato per leggerlo, con quella genialità avremmo potuto passare dal nostro "nonnetto" e soddisfare, anche se per una sola volta a settimana, le nostre ingordigie.

Arrivò una Domenica di fine Settembre, l'ultima del mese. La settimana successiva con il primo ottobre avrebbero riaperto tutte le scuole. Padre Rino organizzò una gita con il pullman alla Città dei Ragazzi, un centro estivo nei pressi di Civitavecchia. Il mare prospiciente la colonia nei pressi di Santa Marinella era splendido, molti ragazzi della gita assieme a Padre Rino andarono in acqua, io ero seduto vicino a Franco e quel giorno lo vedevo abbastanza strano, non sorridente come al solito e mi permisi di domandargli: "...Franco!... cos'hai!?...ti vedo pensieroso...qualcosa non va!?!"  "....niente Massimo...niente...". Ma una lacrima stava lentamente scendendo... lui estrasse il suo fazzoletto di stoffa bianco e, facendo finta di soffiarsi il naso, l'asciugò! "...dai Franco...ho capito!!...liberati... sfogati... ti farà sicuramente bene!!" Franco non lo riconobbi più, fortunatamente eravamo rimasti soli nel pullman. Tutti, anche l'autista, erano andati in spiaggia per farsi un bagno al mare, forse l'ultimo della stagione. Prima di parlare Franco pianse a dirotto per una decina di minuti, poi finalmente riuscì a parlare. Faccio solo un sunto di quel che ascoltai in quei minuti, stentavo a credere come avesse potuto un ragazzino di soli 11 anni vivere con quel sorriso sempre stampato in volto, come se la vita fosse una giostra mentre era, per lui, da 4 anni una vera angoscia. 

Quel giorno ricorreva il quarto anno della morte del padre. Non sapevo che Franco fosse orfano, non ero ancora mai stato a casa sua. Mi raccontò della sua morte e rimasi di ghiaccio. Quella terribile mattina squillò il telefono a casa sua e venne comunicato a sua madre di recarsi immediatamente all'ospedale di Frosinone dove il marito, a causa di un incidente sul lavoro, era ricoverato in gravi condizioni. Venne chiamato un taxi, la mamma e il fratello di Franco, allora dodicenne, lasciarono il piccolo presso amici del condominio, e lì vi rimase per ben tre giorni. Gli dissero che il padre, dipendente delle Ferrovie, era dovuto andare urgentemente in Sicilia per dei lavori importanti. Nella realtà il padre, tecnico addetto alla manutenzione delle vie aeree di elettrificazione dei treni, era rimasto vittima di un incidente mortale mentre riparava un guasto alla catenaria nei pressi di Sezze Romano sulla linea ferroviaria Roma Napoli. Il povero marito non fu fatto vedere alla consorte, l'elettrocuzione che aveva subito ne aveva carbonizzato quasi per intero il suo corpo. Questa verità fu mantenuta nascosta a Franco per quei lunghi 4 anni, quando lui ad ogni ricorrenza, ad ogni Natale, chiedeva  insistentemente di suo padre. Ormai cresciuto, Franco, la storia della Sicilia ...non la beveva più ...e così il fratello, proprio quella mattina, giorno di ricorrenza della morte del padre decise di svelare a Franco tutta la verità, ma avendo il pullman che l'attendeva per la gita non ebbe né il modo né il tempo per piangere e per capire, semmai ci fosse qualcosa da capire... e così crollò tra le mie braccia in quel pomeriggio....doveva essere una giornata di festa...si trasformò in un triste giorno...anche io nel tragitto di ritorno, con il buio ed il capo di Franco appoggiato sulla mia spalla...piansi, piansi amaramente!

"Ahi...ma Padre Rino!!...mi ha fatto male...!" Ero in Sacrestia, mi stavo togliendo la cotta dopo aver servito Messa "....ma Padre...cos'è successo!?...perchè mi ha dato uno schiaffo !?!...non l'ho mai vista fare un gesto simile!!"  "Perchè ieri sera all'arrivo del pullman di fronte alla Parrocchia, tutti i partecipanti all'uscita hanno ringraziato... meno che voi due... Massimo e Franco....!!"   "...ma... Padre Rino ...ascolti...." Al termine del mio racconto Padre Rino si commosse, si scusò, iniziò a piangere, sentì l'urgente bisogno di confessarsi e di pregare...baciò la stola e mi salutò! Alcuni passanti mi riferirono di averlo visto correre verso la Basilica di San Paolo! Che prete, che uomo...ad averne oggi...nella nostra società!

C'incontrammo tutti la Domenica successiva alla Messa delle 10.30, io, Franco e Padre Rino. Al termine della svestizione delle nostre livree liturgiche Padre Rino ci chiamò e ci domandò i nostri indirizzi di casa. Io e Franco ci guardammo perplessi, ma lui se li annotò dandoci in mano l'abbonamento da lui omaggiato per ricevere a casa propria per un anno intero i fumetti di Cino & Franco. Lui ci abbracciò dicendoci che era il minimo che avesse potuto fare. Aveva letto la storia originaria dei due protagonisti e ci aveva rivisto una gran similitudine con quanto accaduto a Franco. Ma le sorprese non finirono lì, quel pomeriggio si sarebbe disputato il derby Roma Lazio e Padre Rino, tramite un suo amico Monsignore aveva ricevuto in omaggio tre biglietti per la tribuna Tevere, uno per Franco il Laziale, uno per Massimo, il Romanista (ma ancora per poco) ed uno per chi è:  "Ma è per me...ragazzi!" "...ma Padre Rino non sapevamo che Lei fosse tifoso di calcio...ma per chi tifa!?" "Ehh...ragazzi...se ve lo dico...magari cambiate Parrocchia!!...dai il tifo per un prete è come la confessione...è un segreto!!" Scoppiammo a ridere, anche Franco ...rideva, rideva...con quel suo incisivo spezzato....!! 
Padre Rino venne trasferito nuovamente in una missione in Madagascar nove anni dopo il suo insediamento a San Tito, proprio alla vigilia dell'inaugurazione della nuova Chiesa. Ci spiace molto, avrebbe pienamente meritato di assistere al suo Battesimo.
Franco J. l'ho visto per l'ultima volta una diecina di anni dopo il mio matrimonio, fu ospite a cena a casa nostra, dopo di allora non l'ho più visto né sentito, vane sono state le ricerche sui vari social. 
Non si era mai sposato.
Alle volte, la vita è strana... molto strana!!!

Un abbraccio
Massimo 48