La scomparsa di Diego Armando Maradona addolora tutti i tifosi di calcio e non solo, rappresenta un dolore universale perché l'argentino, suo malgrado era, è e resterà un simbolo (anche se lui dichiarava di essere solo un uomo e di non aver mai voluto rappresentare un esempio per nessuno).

Ed e proprio da qui che riparto per la mia breve considerazione, dal fatto che lui era il campione che non nascondeva la fragilità dell'uomo che stava dietro l'immagine del soprannaturale e che ci ha regalato momenti incredibili sul rettangolo verde.

Maradona era più di un dio era un eroe dell'epica greca. Era l'eroe-uomo che proprio in quanto imperfetto, mortale e fragile ha potuto vivere con gioia e disperazione, con la luce del talento e con il buio dello smarrimento. Era Ettore che soccombe davanti al divino Achille, ma che è invidiato dagli stessi "dei", proprio perché ha potuto vivere la sua vita con umanità e pathos, sapendo che ogni respiro può essere l'ultimo, cosa non concessa alle divinità.

Maradona inoltre si è occupato a modo suo di lotta di classe. Ha usato il suo talento e il suo carisma per rimarcare che nel mondo anche gli ultimi, gli umiliati, quelli che vengono tenuti sempre un passo dietro possono sognare. Non descriviamo nei particolari il ruolo che ha avuto, attraverso il calcio, per rivitalizzate un'Argentina umiliata dall'Inghilterra per la questione delle isole Malvine o la beneficienza che faceva in silenzio a Napoli, o l'impegno e l'amicizia intercorsi con Fidel Castro a Cuba o ancora la bellissima e relativamente recente esperienza da allenatore con una squadra messicana di un territorio disagiato, il club dei Dorados, su qui è stata girata anche una buona serie tv.

Ora Diego non c'è più, ma che l'abbia voluto o meno, ha lasciato il segno nei cuori di milioni di persone. L'ho capito stamane quando ho visto commossi, a Milano, due ragazzini che neanche lo avevano mai visto giocare.