Ho aspettato qualche giorno prima di dedicare un mio umile articolo a Diego Armando Maradona e alla sua prematura scomparsa. Perché avevo bisogno di schiarirmi le idee su questo personaggio dai due volti.
Ho avuto la fortuna di poterlo vedere in azione, anche dal vivo, e apprezzare ogni sua carezza data al pallone, ma dalla fine della sua carriera, da quella famosa scena in cui una infermiera lo accompagnava mano nella mano al controllo anti doping, il suo immenso talento ha via via lasciato posto ad una serie di considerazioni sul lato umano che ne hanno un po' offuscato la grandezza dell'atleta. Infatti su questo punto mi voglio focalizzare, non voglio parlare del Maradona calciatore perché sarebbe inutile, nulla aggiungerei o toglierei a quanto già tutti sappiamo bene, ma ho tentato di capire cosa c'è stato davvero dietro a questo uomo amato incondizionatamente da tutti, nonostante i suoi scivoloni. Ho letto, cercato, guardato e chiesto in giro un po' ovunque e alla fine mi sono fatto l'idea che la realtà è stata un po' diversa da quella che pensavo e che il Maradona uomo è stato una vittima di se stesso di quegli anni e di quella città.
Negli anni '80 il calcio e i calciatori erano un mondo totalmente diverso da quello odierno. I professionisti e i grandi campioni non erano star hollywoodiane come oggi. Non vivevano in piena privacy sotto scorta lontani dal mondo reale protetti e seguiti ventiquattrore su ventiquattro da qualcuno, erano persone normali, che potevi tranquillamente trovare in giro per strada, alle poste o al supermercato, vivevano la città e le persone come una di loro. E così è stato, purtroppo, anche per Diego, che arrivato da ragazzo a Napoli è stato inghiottito da una città e da una passione che hanno un linea di demarcazione tra bene e male molto, troppo sottile.
Diego  era il più forte, il più grande di tutti, e lo sapeva, ma allo stesso tempo era un ragazzo semplice, umile come tanti altri. Lo si poteva tranquillamente trovare al bar sotto casa a prendere le sigarette e a bere una birra, parlava con tutti, dava retta a tutti e si spendeva per tutti. Si racconta di Diego, che una volta è stato in ufficio da Ferlaino, allora presidente del Napoli, per due giorni di fila per poter parlare personalmente con lui per far regolarizzare lo stipendio di due giovani calciatori passati dalla primavera alla prima squadra. O che sfidò il parere e le regole della squadra per giocare una partita di beneficenza prima di una gara decisiva in Coppa Uefa. Ottavio Bianchi di lui dice che era un ragazzo furbo, semplice e generoso che si prendeva a cuore tutte le questioni di ogni singolo giocatore della squadra e che andava sempre nel suo ufficio per ottenere ciò che voleva.
Di aneddoti ne potremo raccontare una infinità, ma ciò che è emerso è che Diego, non il calciatore, ma Diego il ragazzo, è stato lasciato solo in una città che lo ha amato tanto, ma anche, e soprattutto, provocato, tentato, usato e inghiottito nel suo buio. In fin dei conti come ogni essere umano, anche lui aveva i suoi vizi, le sue debolezze e in quegli anni, in quella città da solo non ha avuto scampo. Il bene e il male esiste in ogni città non soltanto a Napoli, sia chiaro, ma quel modo di vivere di essere, c'è solo là. Una volta entrati in un certo mondo diventa difficile se non impossibile per tutti uscirne, e lui non è stato un'eccezione. Cocaina, alcol, donne, soldi sono state la sua compagnia per troppo tempo, e ciò che poi ha fatto della sua vita appeso le scarpe al chiodo è stata figlia di quel momento di solitudine a Napoli.
Diego era troppo buono e generoso, lo è sempre stato con chiunque, non può essere un caso se è stato così amato da tutti, non solo napoletani, ma da tutti, ma proprio tutti. Tifosi rivali, avversari, campioni di qualsiasi altro sport di ogni parte del mondo. Diego è stato Diego per tutti, come se tutti avessimo capito la sua storia. Questo non si può dire di nessun'altro, non è così per Ronaldo o Messi e non sarà così mai per nessun'altro. Lui ti prendeva il cuore, ti veniva spontaneo amarlo anche se vestiva i colori di una maglia avversaria perché si percepiva quella sua bontà d'animo, quella sua semplicità di ragazzo della porta accanto.

Sei stato il più grande in campo e tra i più sfortunati fuori. Onestamente ho criticato molto la sua vita e le sue scelte post attività, ma devo ammettere che andando un po' più in fondo, grattando la superficie senza fermarsi soltanto a ciò che sembra o che vogliono farti credere, c'è un'altra storia che vale la pena di tenere in considerazione. Ovviamente Diego non è stato soltanto vittima, perché ad altri è successo la stessa cosa e hanno saputo gestirsi meglio, ma Diego è stato Diego, unico e soltanto lui, nel bene e nel male.
Ciao Diego, dribla anche San Pietro e entra in paradiso palla al piede.