Mentre si spegne la voce di uno dei massimi interpreti della colonna sonora dei migliori anni della nostra vita sportiva, Giampiero Galeazzi, appare cessare la brillantezza con cui la nostra Nazionale conquistava l'Europeo solo pochi mesi or sono. E lì che si scatena il dibattito, nel tentativo improbo di trovare la formula che sia valida per sempre per spiegare tali strani appannamenti della rappresentativa di un Paese che pare fare del calcio una ragione di vita. Scrivevo ieri che la formazione non era sbagliata in assoluto, ma non teneva conto dell'improbabilità di ripetersi di giocatori che, nell'intermezzo tra qui e l'Europeo, non sarebbe azzardato dire che abbiano disputato una media di un incontro - non un allenamento! - ogni tre giorni.
In primis Jorginho, che malgrado si affermi il Pallone d'Oro già in mano a Lewandowski, sembra aver polverizzato la propria possibilità di aggiudicarsi il trofeo sulle ceneri di una Nazionale da lui egregiamente diretta. Ma l'Italia, fra i suoi difetti storici, ha quello del culto della personalità, che si traduce nell'ingigantire gli obiettivi meriti di un singolo troppo trascurandone l' apporto del contorno. In calcio come in politica. Ieri come oggi. Il singolo e i suoi meriti, d'altronde, lungi dall'esserne gelosi, permette di mimetizzarci e deresponsabilizzarci.
E' il caso di ieri sera. L'insistenza su Jorginho e volerlo fare scendere per forza in campo ha portato qualcuno a rimpiangere Verratti. Al netto degli infortuni. Un Barella esausto per i molteplici impegni non poteva ripetersi. Un Di Lorenzo troppo avanzato doveva essere protetto da un classico arcigno difensore. Insigne è forte ma, forse, presume ormai troppo di se stesso, dovrebbe tornare all'umiltà di Pescara. Sostituzioni tardive, che contavano sul caso o sulla fortuna, fin quando non ci si ritrovava, disperati, a scoprire che quella ostica Nazionale che ci aveva costretto al pareggio in casa e che ci ha in pratica condannato ai Play off - al netto del rigore fallito in seguito - stava accusando sei reti dalla Svizzera, seppure due annullati. Senza scadere nel sospetto, però. Significherebbe che la Svizzera è sei volte più forte di noi. Pesante, come verdetto. Aggiungiamo la stagione. Credo che  l'"umido Novembre" sia raramente stato generoso con la nostra Nazionale: le altre rappresentative molto più avanti nei campionati di riferimento, etc. etc. mentre i lugli ci fregiavano di successi importanti. Fin qui, gli addendi. Per passare alla somma, quel che ne è scaturito riporta un effetto visivo e uno spettacolo in cui è prevalso, per noi, un gioco angosciosamente orizzontale, nipote della "richiesta di gioco" avanzata dagli addetti ai lavori all'indomani della mancata qualificazione ai Mondiali patita contro la Svezia: troppa grazia! Il "gioco" è diventato così "gioco" che si è trasformato in un incessante possesso di palla, poco coronato nelle ultime partite, dal punto di vista realizzativo.

E fin qui ancora ci siamo. Ma osservando in particolare la squadra ieri sera, ormai anche i topi degli spogliatoi hanno capito che basta blindare le fasce per  batterla, mentre sui fluidificanti verteva la tattica manciniana. E non posso ricordare di aver visto alcun giocatore azzurro, ieri sera, crossare dal fondo. E questa era la vera sorpresa. La Spagna ha costretto un po' tutti ad imitarla per il possesso palla, la Spagna del nuovo millennio come l'Olanda costringeva un po' tutti a dedicarsi alla tattica del fuorigioco che costruiva le sue fortune nei Settanta: ma l'originalità del centrare dalla linea di fondo e pensare di dover mettere un qualsiasi erede di Bettega, anche se per ora non c'è, a centro area non c'è stata. Ci sono solo, in occasione dei corner, dei finti epigoni di Ramos. Ma così... si va poco avanti.