Con tutto quello che sta succedendo riuscite a pensare ancora al calcio? Ebbene,sì. E questo non significa non avere rispetto per le vittime, per chi sta affrontando una guerra sanitaria senza precedenti che ha messo il Paese ad una sorta di arresti domiciliari diffusi. Significa riuscire a rimanere collegati a quella normalità, che nel giro di niente abbiamo perso dalla sera, alla mattina.

Dalla sera, alla mattina, può cambiare la vita di un Paese. Tutte quelle cose che fino al momento prima erano normali, poi, così all'improvviso, anche se di segnali ve ne erano, sono diventate irrealizzabili.

Un ricordo

Come l'inno del Liverpool ad Anfield, come l'effetto luci dello Stadium, come le discussioni sul VAR o non VAR, sui tuffi di Tizio, e le papere di Caio, su calciopoli torna o non torna, ai gol divorati, ai gol epocali.

Ci manca quella normalità che fino a maggio per quello che si è capito non conosceremo più. 

Il Paese è in ginocchio, il 10% degli operatori sanitari risultano essere contagiati, quando gli ospedali dovrebbero essere luoghi sicuri e protetti, e invece non lo sono. E se questa è la situazione in Italia, figurarsi cosa può accadere negli altri Paesi. Quando finirà questa emergenza, tireremo le somme. Ora siamo dentro la crisi, dentro l'emergenza, poi, quando ne saremo fuori, perché ne saremo fuori, capiremo meglio il quadro.

Il calcio tornerà, se tutto va bene, a maggio. Se va male, questa stagione la perderemo. Sarà un campionato che a livello di risultati conterà quanto conterà, è falsato, è sballato, su tutti i livelli. Ma questo importerà poco. Perchè quando si ritornerà a giocare a calcio, che le porte siano chiuse o aperte, significa che il Paese sta ritornando alla sua normalità. Ritorna alla vita.
Ci vorrà tempo, sarà lunga, sarà lenta, ma tornerà e passerà anche da quel calcio, lo sport nazionale, lo sport degli italiani.




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