Nel calcio per vincere servono i campioni, come -a parte qualche caso sempre più raro- la storia ci ha insegnato, ma c’è un elemento che alcuni tendono spesso a sottovalutare, o peggio ancora ignorare: stiamo parlando della voglia di vincere, quella che domenica sul campo dell’Olimpico è mancata. E attenzione perché anche se avere i migliori giocatori sulla piazza è sinonimo di vittorie, anche la squadra più forte al mondo potrebbe incepparsi senza quella che a Roma chiamano “raja” (e non radja), elemento che alla Lazio manca ormai da molto tempo.

Cuore > muscoli

Se dovessimo accontentarci del classico “il più forte vince” allora guardare il calcio non avrebbe più alcun senso: in Spagna sarebbe un dominio assoluto tra Real e Barcellona, in Premier del City, e in Germania del Bayern, con Italia e Francia che non hanno negli ultimi anni voce in capitolo, vedi le prestazioni di Juventus e PSG. Per fortuna esistono però le cosiddette “favole calcistiche”, quelle capaci di farti sognare per interi mesi, proprio come ci ha dimostrato il Leicester campione d’Inghilterra nell’annata 2015-2016, favole come questa a cui noi laziali sembriamo proprio non appartenere.
Di campioni non ne abbiamo poi molti, anzi si possono contare sulle dita di una mano (tanto Milinkovic non ci legge), eppure sono anni che arriviamo lì, a pochi passi dall’obiettivo e all’improvviso smettiamo tutti -giocatori, tifosi e società- di lottare, di metterci il cuore. Tutto ha inizio nella passata stagione, quando una Lazio con più grinta che mezzi, arriva a tre giornate dalla fine del campionato con quattro punti di vantaggio sull’Inter (unica concorrente per lo slot Champions League) e uno scontro diretto in programma all’ultima giornata, proprio come nei migliori film. Ora, secondo alcune leggi matematiche, quel posto così ambito sarebbe, al 90% dovuto spettare ai biancocelesti, e invece no, perchè siamo, purtroppo, stati capaci di pareggiare in casa contro l’Atalanta e di perdere altri due punti contro il Crotone.
Ma la vera beffa deve ancora arrivare: una squadra con la cosiddetta “raja” di vincere, nell’ultima e decisiva partita avrebbe dovuto vendere cara la pelle, e invece, dopo essere andati in vantaggio per 1-0 e con due risultati su tre a favore, siamo riusciti a farci rimontare per 1-2.

Un infinito tennis calcistico

Ora, immaginiamo di essere tutti dei giocatori reduci da quella vera e propria batosta: la rabbia per l’accaduto dovrebbe essere alle stelle, e infatti la squadra inizia quella che è l’attuale stagione nel migliore dei modi, e senza starci a snocciolare tutto l’andazzo, si ritrova ad aprile, con due punti di distacco dalla zona Champions League, una partita in meno da recuperare (contro l’Udinese) e due scontri “facili” con Spal e Sassuolo. Nel frattempo le dirette concorrenti dei biancocelesti si affrontano tra di loro, come se tutto combaciasse alla perfezione per andare a nostro favore.
E invece no, perchè contro la Spal in trasferta perdiamo al 90′ con un calcio di rigore -che passerà alla storia per il metodo in cui viene assegnato-, mentre con il Sassuolo, in casa, con la spinta di 40.000 persone, otteniamo un misero 2-2. Le reazioni dei tifosi sono state pesanti, con la sensazione di trovarsi risucchiati in un infinito “tie-break” tennistico che si fa sempre più presente. Già, perchè nonostante la delusione dello scorso anno, non ci siamo persi d’animo e abbiamo ritentato il colpalccio ancora una volta, lasciandocelo (per ora) veder fuggire dalle mani anche quest’anno.

Sì certo, i giochi non sono ancora finiti, ma proprio come una partita di tennis tirata fino al tie-break, a vincere non è chi ha più talento -capito Milan?- ma chi ha più voglia di farcela, più fame. Cosa che a noi... manca.