Roma, 20 maggio 1973, giorno dell’ultimo turno di campionato. Il Milan capolista, reduce dalla vittoria in Coppa delle Coppe conquistata a Salonicco contro il Leeds, giocava a Verona. La Lazio seconda in classifica ad un punto giocava a Napoli e la Juve, anch’essa ad un punto dal Milan, era ospitata dalla Roma all’Olimpico. Ovviamente avevo acquistato il biglietto una settimana prima, mai immaginando quello che i miei occhi avrebbero visto. Avevo dato l’esame di Anatomia patologica qualche giorno prima e mi ero fatto questo regalo: un biglietto di Tribuna Tevere. Volevo assistere ad una, possibilmente bella, partita della Juve, ma non pensavo mai che quella partita sarebbe entrata nella storia.

Il Milan aveva un compito facile a Verona, oltretutto terreno amico, contro una squadra che non aveva più nulla da chiedere. La Lazio, a pari punti con noi, era in un periodo di gran forma, mentre il Napoli era praticamente “scoppiato”. La Juve dal canto suo è vero che aveva condotto un buon girone di ritorno, ma non era in un gran momento, mentre la Roma confermava di essere sempre una squadra “rognosa”. Ero arrivato allo stadio verso mezzogiorno. Allora le partite iniziavano alle 14.30, i posti non erano numerati e per potersi sedere, in particolare nelle partite di cartello, dovevi arrivare almeno due ore prima. La giornata era la classica giornata di inizio estate: molto calda. Il pensiero mio e di quasi tutti gli spettatori, prima della partita, era sicuramente che sarebbe stato molto meglio andare al mare piuttosto che a sudare qui.

Alle 13 lo stadio era completamente pieno. Come al solito abbondante era la presenza dei tifosi juventini, che occupavano gran parte delle tribune e della curva nord. C’era davanti a me un ragazzo del sud, con una bandiera che sarà stata grande trenta metri quadrati e la sventolava con enorme fatica. Era uno spettacolo che già avevo visto parecchie volte, ma quel giorno era particolare, si percepiva nell’aria una sensazione strana, positiva come di una speranza che si sarebbe concretizzata. Forse le migliaia di persone sugli spalti avevano le mie stesse sensazioni, lo si capiva guardandole. Nessuno rimpiangeva di non essere andato al mare.

La partita iniziò con cinque minuti di ritardo. Dopo pochi minuti dall’inizio il tabellone dell’Olimpico, accompagnato da un din don, segnalava che il Milan era sotto di un gol.. Entusiasmo sugli spalti e tripudio di bandiere. Le squadre in campo trotterellavano come prassi per un ultima giornata senza obiettivi. Ma l’incredibile avveniva di lì a poco. In rapida successione accadde che il Verona segnasse il secondo e il terzo gol. Al ventinovesimo minuto il Milan perdeva 3-0! L’entusiasmo salì alle stelle, era come se stessimo vincendo... ma la Juve traccheggiava, non riusciva a liberare un uomo davanti al portiere della Roma. Il gioco scintillante delle partite precedenti era un sogno. Manovra arrugginita, poca intensità forse a causa del caldo. Arrivò come Dio volle il gol della Roma. Un errore nel disimpegno da parte di Haller, mise Spadoni di fronte a Zoff e fu facile per il romanista depositare il pallone in rete. Finì il primo tempo con la Roma in vantaggio e smoccolamenti sulle tribune.

Ma tu pensa, commentavamo, una volta che inspiegabilmente il Milan sta perdendo per 3-1, noi non riusciamo neanche a pareggiare una partita che più noiosa non si può. A volte è meglio non sapere che sapere ed essere impotenti. Nell’intervallo i tifosi juventini decisero la tattica del tifo per il secondo tempo. Sarebbero stati usati i megafoni e tutti gli juventini avrebbero dovuto urlare a squarciagola per incitare fino alla fine. Le squadre rientrarono in campo ma la situazione non cambiava. Un gioco lento e prevedibile faceva infuriare il pubblico sugli spalti. Era incredibile avere a portata di mano perlomeno lo spareggio per lo scudetto e non riuscire a fare un tiro in porta. Intanto il Verona quadruplicava le reti. Finalmente l’allenatore fece entrare Altafini. Fu la scossa. La prima conclusione di testa di Josè fu parata dal portiere con qualche difficoltà. La seconda “capocciata” entrò in porta ma l’urlo della folla fu ricacciato nella gola dei tifosi dall’arbitro. Il gol era stato annullato per un fallo non visto dagli juventini. Ma al terzo tentativo Altafini segnò con un leggero tocco di testa anticipando difensori e portiere. Un sospiro di sollievo si percepì chiaramente nello stadio. Ma non era finita. Mancava poco meno di mezz’ora alla fine delle partite quando entrò in azione un regista emulo di Hitchcock per un finale diabolico.

Il Milan si portò sul quattro a tre, la Lazio si mangiava un gol già fatto a Napoli e la Juve costringeva, ma sterilmente, la Roma nella propria area. Poi un boato, anzi una serie di boati. Cuccureddu ad un minuto dalla fine piazzava dal limite dell’area un destro micidiale all’incrocio dei pali, Damiani a Napoli segnava l’1-0 per i partenopei e a Verona la partita si concludeva sul 5-3. Senza parole, tranne una: Scudetto. All’Olimpico successe il finimondo. Mi trovai abbracciato con due ragazzi di Crotone e con una ragazza di Mantova mai conosciuti prima. Il prato dell’Olimpico aveva cambiato colore: da verde si era trasformato in bianconero a strisce. Vicpalek mezzo spogliato con la sigaretta in bocca veniva lanciato in aria, mentre Morini e Cuccureddu piangevano di gioia sotterrati da decine di tifosi. Meraviglioso.