Sta diventando una triste certezza. Così come ogni anno sappiamo che festeggeremo con gioia il Santo Natale, sappiamo altresì che con la pausa invernale, e susseguente sessione di calciomercato, finisce il campionato dell'Inter. O quantomeno la squadra nerazzurra smette di giocarlo con l'elevato livello di gioco e risultati che ne aveva contraddistinto i primi tre mesi di competizione trascinado nell'oblio i sogni di grandezza che ogni volta la tifoseria crede di poter finalmente trasformare in realtà. A partire dal campionato 2011/12 è già successo con Ranieri, Stramaccioni, Mancini, Pioli e ora Spalletti. Troppi campionati, oltretutto consecutivi, per poter pensare che su tratti di pure coincidenze.

Qual è il male oscuro che si annida ad Appiano Gentile che trasforma ogni ottimo calciatore professionista in modesto giocatore inadatto a palcoscenici tanto prestigiosi? Di sicuro possiamo fare una disamina di quanto sta succedendo nel campionato in corso. Una competizione nella quale l'Inter sembrava finalmente aver travato una sua dimensione, una squadra definita e punti di riferimento precisi ed identificabili. Tutto svanito con la facilità con cui scoppia una bolla di sapone. Può essere bastata una partita vinta male con una squadra di terza serie ad aver minato in modo così evidente le certezze che la squadra aveva faticosamente raggiunto? Non dovrebbe, eppure la sequenza temporale porta a pensarlo. Perchè, a ben guardare, tutte le nefaste stagioni precedenti hanno un comune denominatore: una partita non vinta che diventa spartiacque tra una stagione trionfale e un incubo ricorrente.

Come non ricordarsi la manciniana Inter-Lazio o la pioliana Torino-Inter? Sconfitte a cui la squadra, compresa la sua parte dirigenziale, non ha più saputo reagire. E allora forse emerge il vero limite: a questo team manca un leader. Un leader vero, riconosciuto dal gruppo e non imposto da contratto. E non sto parlando di capitano ma di guida del gruppo. L'Inter del triplete aveva Zanetti come capitano, ma personalità importanti in spogliatoio come Cambiasso, Stankovic, Materazzi, Samuel. Uomini prima che calciatori in grado di guidare il gruppo e ridare la giusta rotta. Nelle ultime annate continuiamo invece a ritrovare gruppi che si sfaldano alle prime difficoltà, in cui ognuno comincia a pensare alla propria individualità e ai propri interessi anche contrattuali; e quest'anno c'è pure l'aggravante dell'incombente Mondiale in Russia che può portare più di qualche calciatore a risparmairsi in vista dell'importante vetrina assicurata dalla competizione iridata.

Questa squadra ha bisogno di leader. Uomini forti, ma soprattutto uomini. Perchè senza un esercito forte anche il migliore dei generali (e ricordiamoci che il signor Spalletti l'anno scorso, con la grana Totti e  l'ambiente romano ha portato la squadra al proprio record di punti superando anche il tanto celebrato Napoli del cosiddetto maestro Sarri) perderà le battaglie. A questo punto è proprio l'allenatore che deve avere il coraggio di scelte coraggiose che diano anche un segnale al gruppo. Perchè quello che finora è stata la forza della squadra (titolari certi e gruppo definito) è ora un limite con giocatori che ritenendosi intoccabili giocano con sufficienza al limite dell'indisponenza. E allora, se serve, si cambi modulo, dando spazio a calciatori che abbiano la voglia e la forza di esprimersi ai livelli che questa maglia si merita. Anche perchè un ragazzo che gioca la sua prima mezz'ora dopo quasi un anno e risulta migliore di tutti i suoi compagni è un segnale forte al gruppo. Un segnale che il gruppo deve cogliere e il suo condottiero assecondare, costruendo una squadra che possa assecondare il calcio espresso dal nuovo acquisto Rafinha. E facciamo capire al gruppo che gioca chi merita. Sempre.