C'era una volta la Serie A... sembra una frase nostalgica di chi ama ripercorrere i fasti del passato, ma noi non siamo Gil Pender di Woody Allen in “Midnight in Paris”, tutt'altro!
Il mondo del calcio è profondamente cambiato, ma il nostro paese sembra non essersene accorto, eppure le competizioni europee dovrebbero essere un chiaro ed evidente sintomo di questo cambiamento. Nella Lega di serie A si continua a discutere incessantemente su vicende annose, stucchevoli che nulla di buono possono arrecare. Ad esempio, la querelle Ibra-Lukaku ha occupato per settimane le testate dei principali giornali sportivi. Come poi non menzionare i salotti del calcio dove appassionatamente si discute, si pontifica, si giudica e si condanna un comportamento, un atteggiamento e persino un'intenzione di un calciatore. Ci aggrovigliamo in diatribe interne, volte a dirimire conflitti che artatamente vengono costruiti, alimentando l'odio tra tifoserie. Lo so bene, tutto questo fa audience indubbiamente ma crea, al contempo, danni irreversibili i cui effetti non sono nell'immediato tangibili. Si sta perdendo il vero oggetto di discussione che è il calcio, il calcio nella sua purezza nella sua essenza primordiale. Le squadre della Serie A hanno dominato per anni i più grandi palcoscenci del mondo del calcio ed anche quando non lo hanno fatto sono stati messi in moto dei meccanismi di rinnovamento tali da consentire il loro ritorno. Ritornare vuol dire in realtà esserci, esserci con continuità, la continuità è tradizione, la tradizione è storia. Noi facciamo parte della storia del calcio, anzi abbiamo scritto, con la penna indelebile, importantissime pagine.

Cosa è accaduto quindi?
Il calcio, come tutte le aziende, ha bisogno di una cosa essenziale: la programmazione. Negli ultimi anni solamente la Juventus è riuscita a costruire uno stadio di proprietà, che paragonato alle altre realtà del calcio europero, quali Germania ed  Inghilterra su tutte,  risulta essere ben al di sotto delle strutture lì insistenti. Il resto del calcio del "belpaese" continua ad utilizzare impianti che, se tutto va bene, sono stati adeguati in occasione di "Italia 90", ovvero trentuno anni fa. E non si venga a dire che in Italia le priorità sono altre e che il calcio può attendere perchè il mondo del calcio è una vera e propria industria che genera profitti e posti di lavoro come qualsiasi altrà realtà imprenditoriale.

Com'è possibile tutto questo? Possibile che nessuno decida di intervenire in modo sostanziale per cambiare rotta? La risposta sembra essere, purtroppo, negativa. La miopia degli attori principali del calcio italiano unita alla presunzione di essere ancora i migliori e all'agiatezza di essere ancora attrattivi in termini di marketing non fa altro che cristallizzare lo status quo. La situazione descritta, che pare essere irreversibile, ha subito un'ulteriore accelerazione in occasione dell'emergenza sanitaria mondiale, a seguito della diffusione del Covid-19. Infatti la crisi sanitaria ha comportato una crisi economica che ha investito anche il mondo del calcio. Tuttavia, nei momenti di estrema difficoltà possono nascere grandi e nuove opportunità. Il sistema economico del mondo calcistico mondiale verrà senza dubbio ridimensionato, pertanto le società sono chiamate a nuove sfide ed a programmare soluzioni alternative a quelle odierne nel più breve tempo possibile, con buona pace dei cinici procuratori dei calciatori.

Per concludere, un'autocritica su ciò che viviamo andrebbe fatta, anzi la dovrebbero fare i diretti interessati ai quali porrei questi quesiti.
Sarà un caso che in Italia campioni sulla via del tramonto (Ronaldo, Ibrahimovic, Ribery) facciano ancora la differenza?
Sarà un caso che nelle competizioni europee le squadre italiane siano uscite con rivali considerate ben inferiori dai media sportivi e sul confronto delle rispettive rose?
Sarà un caso che in Italia le maggiori squadre italiane non abbiano nell'undici titolare giovani talenti dei propri vivai?
No, purtroppo non sono casualità, bensì il risultato della mancata programmazione del sistema calcio italiano, il quale, lui sì, è come Gil Pender di  “Midnight in Paris”, ossia forzatamente ancorato ai fasti del passato ed affetto dalla "Sindrome dell'età dell'oro".