C'era una volta la favola del calcio...

 

Che bella favola quella del calcio! E ancora più bella quando la si è vissuta personalmente, nel lasso di tempo trascorso di mesi, di anni, di lustri!

Erano i primi anni '50, quando da bambino cominciai ad accostarmi al calcio, vivendo mano a mano emozioni condivise anche assieme ad altri coetanei.

Ricordo che ci si ritrovava presso la Cooperativa della bocciofila sotto casa, a Milano, dove l'unico televisore, tra i primi di allora, ancora in bianco e nero trasmetteva la partita dell'Italia ai mondiali in Svizzera, permettendo agli avventori di gustarla in diretta. Fu una lieta novità per quei tempi!

Era il 1954, fu proprio la Svizzera nel nostro girone, la prima squadra contro la quale si misurò la nostra nazionale. Noi ragazzini eravamo già innamorati del calcio, delle nostre squadre del cuore e anche della nazionale italiana. Perdemmo 2 – 1, malgrado i nostri giocatori come Boniperti della Juventus, Cappello del Bologna, Lorenzi dell'Inter detto “veleno” e Carletto Galli del Milan detto “testina d'oro”, avessero fatto tutto il possibile per evitare quella sconfitta. Ci riabilitammo dopo vincendo contro il Belgio, quindi incontrammo ancora la Svizzera in una sorta di spareggio per passare il turno. Questa volta però i padroni di casa Elvetici ci sconfissero ancora più atrocemente per 4 – 1. Fummo così eliminati subito da quel mondiale!

Noi ragazzini sentivamo i commenti negativi degli adulti delusi, i quali rievocavano il titolo mondiale vinto dagli azzurri con Meazza, Piola, Colaussi e altri campioni nel 1938 in Francia. Anche noi eravamo delusi per quell'eliminazione e, il tempo di gustarci il nostro ghiacciolo, che già ci ritrovavamo tutti nel prato adiacente per sfidare altri ragazzini, sette contro sette.

Di comune accordo si decideva tutti di conteggiare i corner sia da una parte che dall'altra: accumulati 3 corner si aveva il diritto di calciare il rigore, magari facendo attenzione a non calciare il pallone troppo alto per non incorrere nella contestazione se fosse stato calciato oltre l'immaginaria traversa della porta, delimitata da 2 grossi massi sistemati a distanza di 7 passi l'uno dall'altro. E in quel frangente, tra di noi si sviluppava quel senso di rivalsa, impegnandoci al massimo quasi per vendicare la nostra nazionale. Al ritorno a casa magari con una scarpa mezza rovinata dovendo giustificare il perchè, incassavamo il rimprovero dei genitori, i quali ci minacciavano di non comprarcene un altro paio qualora si fossero rotte definitivamente.

Un giorno pensammo tutti di presentarci all'Oratorio vicino per essere ingaggiati nella squadra rappresentativa. Due di noi conquistarono il posto di titolare, gli altri tre superando invidie e gelosie accettarono il ruolo di riserve ben consapevoli di essere tecnicamente meno dotati. Vivemmo tutti assieme l'ebbrezza e l'emozione dell'agonismo, vincendo parecchie partite, ma si giunse al giorno in cui la prima in classifica di un oratorio non molto distante ci ospitò per giocare la gara decisiva, stabilendo quale delle due avrebbe dovuto vincere il campionato degli oratori. Paolino, che tutti chiamavano “terun” non tanto per un senso dispregiativo, quanto per sottolineare il fatto che egli fosse proveniente dal meridione, fu convocato per la prima volta per sostituire un titolare assente per febbre. Io volevo tanto bene a Paolino per il suo carattere sincero, gioviale e simpatico, ma non tolleravo che fosse chiamato “terun” e allora mi imposi su tutti per cambiargli appellativo, fino a riuscirci per fortuna. Lo chiamai affettuosamente “guaglione” per le sue chiare origini campane e così Paolino tra noi tutti fu identificato sempre con quell'epiteto, peraltro da lui sempre accettato con amicizia e ilarità.

Si giocò al mattino quella domenica e “guaglione” si presentò tutto assonnato, non aveva dormito tutta notte per l'emozione e si avvicinò a me confidandomi di temere per il suo esordio proprio nella partita più importante. Io ero molto convinto delle sue qualità tecniche e allora gli risposi che per prima cosa avrebbe dovuto bagnarsi il viso con dell'acqua fresca e reagire da uomo, altrimenti non lo avrebbero più fatto giocare. Inoltre gli feci capire che non c'era posto per i timorosi nella nostra squadra. Egli mi capì, da ragazzino intelligente qual'era, ma temetti che l'emozione in lui prendesse il sopravvento. Così ci presentammo tutti in campo per il riscaldamento, emozionati ma determinati. Intanto la 2a messa della mattina terminò e le famiglie uscirono dalla chiesa, ci furono coloro che preferirono assistere curiosamente alla gara per sostenere i ragazzini, quindi in parecchi si assieparono lungo i bordi del campo incitando i loro ragazzi.

Notai alcune ragazzine accanto ai genitori e mi venne un'idea un po' furbesca quanto audace. Prima che incominciasse la partita mi avvicinai a Paolino e gli confidai: ”Guagliò, non vorrai fare brutta figura proprio oggi che c'è presente a guardarti la ragazzina alla quale tu piaci molto? Metticela tutta e guarda di giocare bene! Oggi abbiamo un doppio motivo per vincere” Egli mi guardò attonito e con aria interrogativa mi domandò: “ Nè ma che stai a dicire mannacc. Ma comm faje a sapè sti ccose? Che ti gira 'nta capa”. Ovviamente non gli risposi ma Paolino insistette: “ Uè mi vuoi rispunnere ? Addò sta a guagliona, fammela vedè” Fortunatamente l'arbitro ci convocò tutti trillando il suo fischietto per l'adunata immediata al centro del campo e augurandoci buona partita, ci raccomandò di giocare lealmente e di comportarci educatamente.

Servì se non altro a salvarmi nel dover dare una risposta a Paolino, il quale ancora mi guardò con aria interrogativa in attesa di una mia risposta. Io in modo tagliente gli intimai deciso: “giochiamo!”

Partì il fischio d'inizio e ci lanciammo a rincorrere il pallone. La partita fu molto tosta sin dall'inizio, i nostri avversari erano piuttosto forti e noi capimmo subito che, quel giorno, non sarebbe stato facile vincere. Ad un tratto in un momento di gioco confuso a centrocampo, il pallone rimbalzò verso di me. Stoppai la palla e vidi Paolino defilato sulla destra, gli lanciai la palla incitandolo “ vai guagliò”, egli si involò verso la porta, evitò l'intervento di un avversario, poi quello di un secondo e quindi sferrò un bel tiro in porta. Il portiere avversario si tuffò con decisione deviando in angolo. “Mannacc che panaro che tiene” commentò Paolino! Io ero soddisfatto, ma non sorpreso per l'azione in velocità effettuata da Paolino, sapevo che le sue qualità tecniche non mi avrebbero smentito. Così quasi allo scadere del primo tempo intercettai la palla in zona trequarti del campo e cercai ancora Paolino per lanciarlo. Egli intuì e si smarcò velocemente per ricevere l'assist che io non tardai ad effettuare, “guaglione” raccolse prontamente il pallone, evitò l'intervento di un avversario e lasciò partire un tiro fortissimo e angolato. Questa volta la palla superò l'incolpevole portiere avversario e si depositò in fondo alla rete.

E pigliate sta fresella mannacc”disse Paolino all'indirizzo del portiere, correndo da me per abbracciarmi. Finì il primo tempo e andammo tutti nello spogliatoio per l'intervallo e per bere una tazza di tè caldo. Paolino mi chiese: “Che dici amico mio, a guagliona s'è accuorta o no del goal?” “Ma certo che si è accorta e ho visto pure che applaudiva” risposi. Gli detti corda infatti poiché in cuor mio speravo che Paolino segnasse ancora un altro goal.

Rientrammo in campo per il secondo tempo e lui mi chiese ancora “ allora addò sta a guagliona, fammela vedè no?” Notai un paio di ragazzine con i genitori nella posizione centrale ai bordi del campo e per non sbilanciarmi feci cenno a Paolino di guardare in quella direzione, giusto in tempo prima di sentire il fischio dell'arbitro che dava il via al secondo tempo della partita. I nostri avversari cominciarono forte e cercarono pure il goal rabbiosamente. Continuarono per parecchi minuti ad attaccare fino a quando a seguito di un calcio d'angolo trovarono lo spiraglio giusto per segnare il pareggio con un bel goal di testa del loro centravanti 1 – 1. Ciò non bastò a far diminuire la pressione esercitata dai nostri avversari e così arrivò pure un calcio di rigore contro di noi che però il nostro portiere riuscì miracolosamente a parare. Tentammo altre sortite per cercare di segnare noi il goal della vittoria, ma i ragazzi della squadra avversaria si opposero sempre con decisione, attaccando e cercando a loro volta di vincere la gara. Arrivammo così quasi alla fine, quando, mancando circa tre minuti al termine dell'incontro, i nostri avversari si fecero coraggio e dettero l'ultima spinta propulsiva alla ricerca del goal. Infatti, a seguito di un batti e ribatti nella nostra area, trovarono l'angolino della porta con un tiro non molto forte. Io mi avventai disperatamente sul pallone e appena in tempo salvai il goal in spaccata respingendo sulla linea. Il nostro terzino raccolse la palla e lanciò verso il centrocampo, ma un giocatore avversario intercettò il pallone dirigendosi verso la mia direzione. Ci affrontammo in modo deciso ma io ebbi la meglio per fortuna, sfruttando anche un rimpallo favorevole. Avanzando a lunghe falcate cercai ancora Paolino e gli lanciai un pallone invitante in profondità. Egli raccolse la palla dribblando rapidamente un avversario e dal limite dell'area fece partire un gran tiro che andò a depositarsi all'incrocio dei pali alle spalle dell'esterrefatto portiere casalingo. Fu l'apoteosi, il mio amico per la gioia di aver segnato una doppietta non riuscì più a frenare la sua emozione, piangendo venne direttamente da me per ringraziarmi abbracciandomi e dimenticandosi della ragazzina ai bordi del campo. Vincemmo l'incontro per 2 – 1 e “guaglione” riuscì così a conquistarsi il posto di titolare fisso in squadra. Ormai diventammo una inseparabile coppia calcistica, continuando ad avere altri successi in attesa di passare alla categoria superiore dei pari età.

Fu inevitabile che la nostra intesa,oltre che in campo, si consolidasse anche nella vita di tutti i giorni. Diventammo amici e ci confidammo sempre tutto. Apprezzavo in lui quel senso di lealtà, di sincerità e di ottimismo che mi contagiava sempre come un virus. “Mannacc e tira a campà” era solito affermare quando ci si sentiva in difficoltà. Anche a scuola, pur essendo in 2 sezioni diverse cercammo sempre di darci una mano a vicenda. Paolino era un po' in difficoltà con il latino e sapendo che a me piaceva molto mi chiedeva consigli e aiuto per le traduzioni. Soleva dire che studiare in quel periodo il “De bello gallico” era come se si studiasse il “ De bello squallido”. Fu proprio con queste battute che “Guaglione” ci conquistò tutti con la sua proverbiale simpatia partenopea.

Condividemmo con Paolino la stessa passione per le squadre di calcio del cuore. Io ero innamorato del Milan, lui ovviamente tifava per il Napoli che anche allora era una squadra molto forte. Ricordo che tra gli azzurri giocava un grande centravanti brasiliano, Luis De Menezes Vinicius detto “Vinicio”, il quale vinse più di una volta la classifica dei cannonieri. Quell'anno nel 1956 io e “guaglione” avevamo 14 anni e la nostra passione per il calcio, sempre più accentuata, ci portò a condividere assieme la gara di campionato Milan Napoli. Era l'incontro in cui le nostre due squadre del cuore avevano la possibilità unica di giocare a S. Siro in tutto l'anno. Non potevamo rinunciare a gustarci quell'evento, ma non potevamo nemmeno chiedere i soldi per l'ingresso allo stadio alle nostre famiglie, il cui nucleo era composto in modo considerevole. Nella mia famiglia eravamo in 6 persone in tutto, mentre quella di Paolino era composta da 7 persone. Allora si faceva fatica a far quadrare i conti a fine mese, pertanto rinunciammo a richiedere una somma che avrebbe fortemente pesato sul bilancio familiare di entrambi i nuclei.

Dissi a Paolino che quella partita non sarebbe stato possibile vederla, non avremmo mai potuto realizzare il nostro sogno senza avere il becco di un quattrino! “Mannacc ma tu staje sempe a preoccupart. Lassa fa a mme” mi replicò Paolino con la sua serafica calma.

Così un po' per l'incoscienza tipica dei ragazzini e un po' per il nostro incrollabile desiderio di vedere assieme quella partita, lasciai progettare a “guaglione” il piano decisamente “truffaldino” che egli partorì per assicurarci di non perdere quell'occasione più unica che rara.

In quella giornata dei primi giorni di ottobre, illuminata da un sole ancora caldo, ci avviammo in tram per raggiungere S. Siro e poi percorremmo a piedi l'ultimo tratto per raggiungere lo stadio. Paolino mi raccomandò di essere veloce e deciso nel portare a termine la nostra operazione. Egli progettò infatti di scavalcare la cancellata di S. Siro in maniera veloce per eludere la vigilanza degli addetti al controllo.

Allora le norme di sicurezza non prevedevano controlli organizzati e minuziosi come invece oggi avviene. Allora bastava avere il biglietto d'ingresso e basta!

Seguii Paolino con tanto timore e preoccupazione, aggirandoci intorno allo stadio per trovare il punto meno sorvegliato per scavalcare agevolmente la cancellata. Finalmente “Guagliò” individuò il posto meno sorvegliato, si guardò intorno velocemente e iniziando la scalata mi disse: “ forza cumpagn, non perdimm tiemp”. In un attimo fummo aldilà della cancellata, ma mentre ci avviammo verso le scalette, un addetto al servizio di controllo ci venne incontro chiedendoci i biglietti. Mi sembrò di crollare a terra, le mie gambe cominciarono a tremare dalla paura e dalla vergogna, ma Paolino con sangue freddo e grande disinvoltura tirò fuori di tasca due vecchi biglietti di una partita precedentemente vista assieme a suo zio interista e in procinto di consegnarli all'addetto per il controllo, indicò con la mano una persona a breve distanza dicendo che avrebbe aspettato suo zio. L'addetto dovette subito allontanarsi perchè fu chiamato da un collega e così, furtivamente, ci avviammo su per le scale nel settore distinti del primo anello. La paura si dissolse repentinamente così come era arrivata e riflettendo sull'accaduto mi venne da sorridere pensando che il nomignolo di “guaglione” era stato da me proprio azzeccato. Scegliemmo due posti nel settore di centro in modo da avere una panoramica più comoda e ampia possibile.

“Paolino – dissi – ma che bella presenza di spirito hai avuto! Io stavo svenendo”. Egli mi rispose sorridendo: “mannacc, chello scurnacchiat steva ruvinann tutt e ccose”, io replicai che ci era proprio andata bene, meglio di così non poteva proprio essere, ma lui di rimando “vidimmece a partita a faccia soia”.

Poco dopo fecero il loro ingresso le due squadre. Osservai Paolino come se fosse in trance, concentrato a guardare i suoi beniamini in maglia azzurra e in particolare seguendo con lo sguardo il suo idolo Vinicio. Io accarezzavo con lo sguardo i miei giocatori rossoneri, in particolare l'asso uruguaiano Juan Alberto Schiaffino.

Tutto pronto per l'inizio della gara, i giocatori da una parte e dall'altra partirono a spron battuto e dopo pochi minuti il Napoli, inaspettatamente, passò in vantaggio. Paolino scattò in piedi con gioia esclamando: “ Goal. Forza Napoli!”. La partita proseguì in un clima festoso, dovuto anche alla presenza di parecchi immigrati campani tra gli spalti. Nemmeno il tempo di digerire il primo goal che il Napoli realizzò il raddoppio con il suo asso argentino Pesaola. Paolino a gran voce esultò a braccia alzate e rivolgendosi a me esclamò: “ Cumpagn mio, tenimme classe altro che u Milàn”. Ero letteralmente impietrito, mai mi sarei aspettato una partenza così negativa da parte dei miei campioni rossoneri. Speravo di poter rimontare essendo solo all'inizio dell'incontro, ma potetti ammirare in tutta la sua eleganza l'idolo di Paolino, cioè Vinicio. Il brasiliano con grande autorità e sicurezza salì in cattedra e impose la sua superiorità in campo, segnando una doppietta memorabile che mandò in visibilio il mio inseparabile amico. “Uè Pippo, oggi vi facimm nu mazz accussì!” accompagnando la sua esclamazione col tipico gesto delle mani. Paolino era in estasi ammirando il suo idolo brasiliano. Io ero felice per lui da un lato, ma dall'altro ero deluso per la gara evanescente della mia squadra.

Prima che terminasse il primo tempo, ci fu il tripudio dagli spalti dello stadio. Pesaola trovò il modo di portare a 5 i goal del Napoli segnando anch'egli una doppietta.

Non credevo ai miei occhi, sembrava tutto un sogno, un incubo in cui speravo di risvegliarmi al più presto possibile, ma l'abbraccio di “guaglione” mi riportò all'amara realtà. Finì il primo tempo con il punteggio di 5 – 0 per il Napoli. Punteggio quanto mai incredibile e inaspettato. Paolino non stava più nella pelle, ma nel contempo era dispiaciuto notando la mia delusione e con grande gesto di amicizia cercò di rincuorarmi, facendomi capire che le giornate storte potevano capitare a tutti.

Il secondo tempo iniziò un po' in sordina, i giocatori rossoneri apparirono demoralizzati malgrado i sostenitori incitassero a gran voce la nostra squadra per tentare una improbabile rimonta. Dopo circa un quarto d'ora, l'arbitro decretò un calcio di rigore a favore del Milan. Schiaffino si incaricò di batterlo segnando il goal del 5 – 1. I rossoneri timidamente cercarono di segnare ancora, almeno per ridurre l'enorme svantaggio, ma la squadra partenopea si oppose con grande calma e ordine. La gara giunse nei minuti finali e il Milan disperatamente, prima con Schiaffino e poi con Galli, segnò altre due reti portando il punteggio finale a 5 – 3 in favore del Napoli. A fine partita non potetti esimermi dall'applaudire i contendenti in campo, riconoscendo alla compagine partenopea di aver disputato una grande partita. Quella volta infatti il Napoli impose la sua superiorità in campo, ma lo scudetto comunque andò al Milan a fine campionato.

Io e Paolino ricordammo a lungo quella partita che rimase impressa per sempre nella nostra memoria. Fu un'esperienza che ci insegnò molte cose, soprattutto dal lato tecnico e agonistico, condividemmo il nostro pensiero commentando con obiettività le fasi più salienti del match. Io mi innamorai della maestria di Schiaffino, regista impareggiabile di gioco che divenne poi negli anni successivi il maestro di Gianni Rivera. Paolino fu estasiato dall'abilità di gioco della punta brasiliana Vinicio, e averlo visto per la prima volta dal vivo gli rafforzò quel senso di ammirazione nei suoi confronti.

Passarono gli anni e crescemmo in fretta assieme. Prima frequentammo il liceo poi l'università. Crescemmo riversando i nostri interessi non solo verso il calcio, ma anche ad altre attività, alla musica, allo sport e partecipammo agli spettacoli delle opere liriche alla Scala di Milano in qualità di comparse in costume nei ritagli di tempo che lo studio e il calcio ci permettevano di sfruttare. Fu per noi un'altra esperienza interessante che ci procurò una piccola fonte di guadagno indispensabile considerando la nostra età. Ci trascinammo così alla fine dei nostri studi prossimi al conseguimento del titolo di laurea che ci avrebbe garantito poi l'inserimento nel mondo del lavoro, dandoci la possibilità di intraprendere il cammino futuro della nostra indipendenza economica. Le responsabilità future e gli impegni di lavoro ci tennero in contatto meno assiduamente, ma continuammo lo stesso a ritrovarci per giocare al calcio con altri amici, senza perdere mai questa bella abitudine. Paolino col passare degli anni perse i dialoghi e gli intercalari napoletani, ma mantenne sempre quella simpatica inflessione partenopea che lo rendeva perennemente simpatico e affettuosamente amichevole.

Un giorno, in occasione di un compleanno di un suo familiare, Paolino volle invitarmi per stare assieme a loro partecipando alla festa. In famiglia del resto ero considerato da tempo alla stregua di un ulteriore componente della famiglia. Così in quell'occasione, accettando l'invito del mio fraterno amico, mi presentai portando una bottiglia di spumante. Dopo aver salutato i componenti della famiglia affettuosamente, notai una ragazza quasi attaccata alle costole di Paolino. Egli mi chiamò vicino a sé dicendomi testualmente: “Caro amico mio, ho voluto invitarti con grande piacere per cogliere l'occasione di presentarti Alida, la mia fidanzata, con la quale intendo sposarmi al più presto per formare una famiglia”.

Con gioia appresi la notizia, congratulandomi con entrambi e abbracciando il mio caro amico, poi rivolgendomi a lei le dissi che era stata fortunata a trovare Paolino, un ragazzo d'oro, un uomo tutto d'un pezzo che io consideravo un vero fratello oltre che un carissimo amico. Lei mi rispose che non aveva dubbi in merito, infatti Paolino le aveva parlato a lungo di me, ma soprattutto lei affermò che lo aveva già capito 13 anni prima, quando assistendo per caso a quella partita ai bordi del campo in oratorio, ci ammirò nel vederci vincere quella gara di fine campionato per 2– 1. Rimasi a bocca aperta quasi incredulo, ricordando gli episodi di quella partita in cui dovetti ricorrere all'inganno (a fin di bene) nei confronti di Paolino, raccomandandogli di impegnarsi a fondo perchè a quella gara stava assistendo una ragazza alla quale egli piaceva molto.

Poi rivolgendomi a Paolino dissi sorpreso ma assai compiaciuto: “ Ma... allora...guagliò, si è avverato... mannacc.....”

Ci scherzammo su tutti e tre mettendoci a ridere, poi Paolino mi disse: “ Visto che la bella guagliona non me l'hai fatto vedere allora, te la sto facendo vedere io oggi...”

La trama imperscrutabile del destino combinò le cose quasi per prendersi benevolmente gioco di noi, intrecciando il destino di Alida e Paolino come in una bella favola, trasformandola in una realtà meravigliosa e a lieto fine!

La favola del calcio, capace di compiere anche questi miracoli....

 

 

PS. Chiedo scusa agli amici napoletani se non sono stato capace di scrivere fedelmente le espressioni dialettali, tanto colorite quanto simpatiche del mio amico Paolino. Ho creduto in questo modo di riportare fedelmente le espressioni originali da lui proferite, rendendole (spero) comunque comprensibili e piacevoli.

 

1942pipporossonero