C'era una volta una passione chiamata CALCIO, e come tale, questa, ha dei colori ben precisi.

In questo caso è il Giallorosso della squadra capitolina. Una squadra non di certo abituata a vincere, ma sicuramente che può vantare una tifoseria sfacciata, spesso illusa e disillusa allo stesso tempo. Una tifoseria che vive di sogni e speranze, una tifoseria che vive il calcio in modo viscerale come poche in Italia e non solo. Una tifoseria per certi versi unica al mondo, o come poche altre in circolazione. Perché? Semplice, perché è quella del tifo passionale, quella del tifo che sai che non vinci molto ma che segui come una fede. Infatti spesso e volentieri nei rioni Romani si parla di fede giallorossa.

Li vedi lì, nella Curva Sud dello Stadio Olimpico, li riconosci dai modi di fare che loro stessi definiscono "vecchie maniere". Sciarpetta al collo, bandierina in una mano e nell'altra il nostalgico caffè borghetti. E perché no, alcuni ancora fedeli al vecchio panino dello zozzone. Quella tifoseria che crede ancora oggi che l’unica coreografia possibile sia quella dei bandieroni e fumogeni. E' una tifoseria romantica, come piace a loro stessi essere definiti, e di romanticismo vivono, basti ricordare lo stato di lutto generale agli addii di Totti e De Rossi. Come dicevo il loro romanticismo è qualcosa che trascende il semplice tifo, trascende il calcio e trascende dai risultati sportivi, visto che dopotutto, il loro palmares conta solo di: 3 Scudetti, 9 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane, non ho voluto elencare quelle due coppe che ogni tanto si citano.

Forse proprio per questo sono romantici, forse proprio in questo risiede la loro cieca e sfrenata fede calcistica, nella speranza di poter rappresentare altro nel calcio, ma sono più le volte dei “quasi”, che quelle delle braccia al cielo.

Ce li ricordiamo lì, per le strade di Roma o in Curva ad urlare “Franco Sensi bla bla bla” (correva l’anno 1998, 3 anni dopo arrivò lo scudetto) opppure “Rossella vattene”(correvano gli anni 2008/2011). Un mare giallorosso che voleva la testa dei loro Presidente, colpevoli, secondo loro, di non investire abbastanza, di non vincere, e di aver fatto si che la Lazio, in quei anni, diventassero la squadra di riferimento della Capitale.

Ma facciamo un minimo di chiarezza.
La Roma della famiglia Sensi era quella della passione per una società dove tutto girava attorno al pater familias. Una società che tra alti e bassi aveva garantito una continuità societaria sia fuori che dentro il campo. Una società dove non era presente un pastore, ma un mentore, un leader, un capo ai quali tutti potessero fare riferimento. In quasi 20 anni di presidenza, la Roma della famiglia Sensi ha contato su un totale di sei allenatori, di cui due possono essere definiti traghettatori. La squadra aveva delle certezze, che spesso non sono state apprezzate dal tifo romanista, anzi alcune volte ci furono contrasti duri.

Poi arrivò il momento in cui la famiglia Sensi, anche a causa dei grandi sforzi economici per rendere la rosa competitiva e vincente, non ce la fece più a fare fronte ai continui esborsi economici che il calcio moderno richiedeva, e dopo una trattativa travagliata passo di mano ai capitali esteri.

Da qui inizia la tragicomica fine della storia passionale di una società fatta come una famiglia. Dalle stelle (e strisce) alle stalle. Società assente, dirigenza assente, capitali assenti, giocatori pescati qua e là con una piccola parentesi di competenza targata Sabatini (al quale la società attuale deve un grazie enorme viste le enormi plusvalenze frutto del suo lavoro). Oggi viviamo una società totalmente allo sbando fatta di slogan, un tifo che sta perdendo la sua passione.

Pastore è l’emblema di questa società. Per carità nulla sul talento di questo giocatore, ma una critica feroce va mossa alla dirigenza che ha pensato bene di fare di lui il fiore all’occhiello di un mercato fallimentare, un giocatore tanto forte quanto di precarie condizioni atletiche, eppure bastava un minimo di attenzione ai campionati esteri per vedere quale fosse la sua tenuta fisica. Ed il gregge di giocatori arrivati dopo non è stato migliore. Alla competenza del DS Sabatini è succeduta l’incapacità organizzativa di altri DS, Monchi su tutti, che ha riempito i campi di Trigoria con giocatori dal dubbio valore tecnico, ma dal costo elevatissimo, sia per quanto concerne il cartellino che per l’ingaggio. Schick (famosa la frase di Sabatini “non ci voleva mica un genio a comprare Schick a 42 milioni), Nzonzi, Cristante, Kluivert, Under, Spinazzola, Pau Lopez.

La programmazione, la solidità societaria, i punti di riferimento da dare ad una squadra di calcio, tutto questo è ciò che alla Roma manca. 9 allenatori in 9 anni incapaci di affrontare una società, e chi ne paga lo scotto è la passione dei tifosi, che oggi, come non avveniva da anni, sta perdendo pian piano la passione per questa società, lo dicono i numeri.

Il calcio è di chi lo ama, e non di chi vuole costruire uno stadio con annesso centro commerciale, con uffici, grattacieli, abitazioni e chissà cos'altro. Il calcio ha si bisogno di capitali, ma anche di passione e cuore, cosa che questa Roma non ha.


E.D.M.