«Oggi purtroppo si è conclusa la storia di quella società che mi ha dato tantissimo. È uno dei giorni più tristi della mia vita. Ci ho provato con tutte le forze, e speravo veramente di riuscire a ripartire con un’altra società e continuare questa storia fantastica, sarebbe stato meraviglioso. Ma purtroppo non ce l’ho fatta.
Credevo ci fossero più persone pronte a dare tutto per salvaguardare un patrimonio di questa città e del calcio in generale, ma non è stato così. Non ho rammarichi ma ho scoperto più di una persona che però mi è stata al fianco ed ha cercato fino all’ultimo per darmi la possibilità di raggiungere questo sogno. Ci abbiamo provato. Solo mi dispiace aver avuto pochissimo tempo e un periodo veramente complicato per poter trovare sponsor. Addio mio amato Chievo, per me sarai sempre la squadra più importante della mia vita
»

Con questo messaggio affidato a Instagram Sergio Pellisier, tristemente mette la parola FINE alla “favola Chievo Verona, gli asini non voleranno più!!
Sul Chievo cala il sipario definitivo, anche per l'ipotesi di ammissione alla Serie D. È scaduto oggi a mezzogiorno il termine per l'acquisizione di manifestazioni di interesse all'iscrizione al campionato 2021-22 tra i Dilettanti, e nessuna è pervenuta agli uffici del Comune. 
Una delle pagine più belle e romantiche del mondo del calcio italiano si conclude nel peggiore dei modi. Quello che per anni, dal 2001, sembrava un modello di società e di gestione invidiabile, chiude sommerso da debiti. Era tutto falso?? 
È difficile rispondere con esattezza a questa domanda. Da una parte ci sono dei fatti, dei conti in rosso per un totale di circa 40 milioni di euro, che nessuno è riuscito a ripianare, dall’altra la sensazione che la piccola squadra veronese non sia stata né trattata ne aiutata come altre società. Non è difficile trovare società con conti in rosso anche più gravi di quelli del Chievo di Campedelli, ma che non hanno subito lo stesso trattamento. Allora la verità dov’è? 
La sensazione è che finché il Chievo-Verona poteva venir annoverato tra gli amici di quelli che comandano nel calcio, tutto andava bene, “Madama la Marchesa”. Le plusvalenze fittizie non saltavano fuori, le compravendite dei giocatori consentivano sempre di coprire eventuali buchi, verosimilmente di vecchia data, data la natura del business-calcio e le dimensioni ridottissime del Chievo. Ai pochi che già non lo sapessero, ricorderemo infatti che il calcio professionistico di serie A è in una condizione permanente di difficoltà economiche, poiché si regge sostanzialmente solo sulle entrate dei diritti televisivi, peraltro suddivise iniquamente, per così dire all’italiana.
Niente guadagni di altra natura, niente seria patrimonializzazione delle società, in compenso costi sproporzionati per gli stipendi di calciatori, dirigenti, allenatori e mediatori. Professionalità manageriale scarsissima. E nel frattempo il sistema-calcio si auto-retribuisce lautamente, prescindendo da ogni performance economica, tutt’altro (in genere se un’azienda non produce profitti, tutti stringono la cinghia; nel calcio capita il contrario, le retribuzioni crescono in senso opposto agli utili).

In questo mondo che muove un’automobile miliardaria (5 miliardi di euro il giro d’affari del calcio nel 2019), guidata da personaggi discutibili, il presidente del Chievo, Campedelli, persona differente per carattere e comportamenti da molti altri presidenti della serie A, da santo è stato repentinamente dichiarato grande peccatore e ora tutti ovviamente gli danno la croce addosso. Ma in un mondo radicalmente scorretto e criminogeno, dove l’illegalità è la regola, certe decisioni, certi provvedimenti suonano veramente male, paiono un’ipocrita scenetta del bue che dichiara l’asino cornuto.

Non stupisce sapere che fintantoché il vento soffiava in poppa, non solo a Verona, oltre agli elogi, al Chievo fioccavano le richieste di favori, le dimostrazioni di amicizia a senso unico. Mentre la biglietteria ordinaria languiva, al contrario, la tribuna vip con l’immancabile buffet a suon di bollicine e risotti era regolarmente strapiena di politici, banchieri, notabili e nuovi amici con pass omaggio, non tutti esattamente sponsor della squadra, ma semplicemente partecipanti e un po’ sfruttatori dei momenti felici. Oggi il Presidente del Chievo non solo non è più l’artefice dei miracoli del passato che pure ci furono, ma è diventato un appestato che nessuno può o vuole aiutare, sostenere, memore almeno un po’ dei favori e degli omaggi ricevuti. Una scena già vista e che si ripeterà presto.

Ciò che invece non è per niente normale è il fatto che nel 2021 il calcio professionistico in Italia debba ancora essere gestito – se possibile – peggio dei partiti politici, per quanto riguarda la trasparenza, la veridicità e la sostanziale inattendibilità dei conti. E che un Governo serio possa tollerare che uno sport dall’alto valore educativo come il calcio a livello professionistico continui a essere in realtà il luogo dello scandalo sociale e di non pochi reati, fonte di danni allo sviluppo culturale ancor prima che economico del paese.
Ben poche società di calcio si sarebbero salvate a una seria valutazione delle entrate e delle uscite, se i criteri rigorosi che ora vengono applicati al Chievo Verona fossero sempre stati adottati erga omnes e l’elenco delle squadre di serie A sarebbe ben diverso, probabilmente non ci sarebbe nemmeno il problema di campionati a 16 o 18 squadre, perché i ranghi avrebbero finito inevitabilmente per ridursi da soli. Una siffatta gestione economica del mondo del calcio professionistico non solo è incompatibile con un paese civile, ma è contraria alle leggi e dannosa allo spirito di lealtà e probità che lo sport deve comunicare.

Fatto sta che la realtà dice che il Chievo non esiste più. Una società che ha disputato 10 campionati cadetti e ben 17 di serie A, con una qualificazione alla coppa Uefa e un preliminare di Champion’s. 
Ognuno può trattare le proprie conclusioni, resta l’amarezza per uno sport che è sempre meno sport e più politica.