Cosa rimane delle Italiane in Europa? L’Atalanta e poco più (la Roma).
In mie analisi precedenti, già avevo asserito che il calcio italiano è ormai da anni di seconda, se non addirittura di terza, fascia nel panorama europeo.
I nove scudetti consecutivi dal 2012 al 2020 della Juve avevano dimostrato l’abbassamento generale del livello della serie A, le ultime stagioni europee hanno decretato l’uscita dal “circolo dei più forti”.
In Champions League, la prima coppa europea per club per importanza, le 8 finaliste sono così composte: 3 inglesi, 3 spagnole, 1 tedesca, 1 portoghese.
Al posto della portoghese, il Benfica, con l’accento sulla E, non sulla I nella pronuncia corretta, potrebbe esserci chiunque, anche un’italiana, solo il gioco dei sorteggi ha casualmente permesso ai lusitani di incontrare una squadra “battibile”.
Il punto è, il Villareal è “imbattibile”, è così superiore alla Juventus e a tutto il calcio italiano da uscire dallo Stadium dopo aver rifilato 3 pere ai Bianconeri?

Fabio Capello, grande conoscitore di calcio, nel dopo partita ha riassunto in poche parole la differenza tra il calcio italiano e quello del “circolo dei più forti”: velocità, contrasti e tecnica. Il calcio italiano è lento, non vince contrasti, ha poca tecnica.
Per lento si intende di ritmo, di esecuzione; per contrasti si intendono gli uno contro uno, i duelli fisici ormai fondamentali nel calcio di oggi. Per tecnica si intende precisione nei passaggi e nei tiri, capacità di dribblare, dote ormai rara un po’ ovunque, ma praticamente scomparsa nel nostro Bel Paese.
La verità è che 7 squadre su 8 qualificate ai quarti di finale di Champions League hanno giocatori più veloci, più fisici e più tecnici di quelli delle squadre italiane.
In questi ultimi anni le Società italiane non avendo i mezzi economico finanziari per acquistare e mantenere in rosa nel lungo termine giocatori sopra la media, hanno inventato la storiella che il top player è l’allenatore, che con il suo unico valore aggiunto è possibile raggiungere qualsiasi risultato.
A me sembra un po’ come la storia della volpe e dell’uva… non riuscendo ad arrivare ai giocatori…
Il fantino buono serve, ma il cavallo con il passo migliore vince (quasi) sempre comunque, quello lento fa buttare le scommesse ai perdenti disperati nell’aspettarlo al palo.
Ieri sera, all’orario aperitivo, l’Atalanta, nella seconda coppa in ordine di importanza (Europa League) ha portato, come spesso accade, in alto il tricolore, giocando un calcio veloce, vincendo contrasti e mettendoci la tecnica di Boga nel goal vittoria. Sarà un caso, ma da tre o quattro anni a questa parte, si dice in giro che i bergamaschi giochino un calcio europeo.

Dopo cena è toccato alla Roma passare faticosamente il turno in Conference League, coppa creata quest’anno per provare a far vincere qualcosa a chi non vince mai niente. L’avversario, il Vitesse, al minuto 90 vinceva all’Olimpico e stava portando la partita ai supplementari, poi un ormai inaspettato goal del solito Abraham, ha fatto esplodere la Curva Sud e portato i Giallorossi ai quarti di finale.
Povero calcio italiano, c’è solo la Dea… o quasi
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