“Sta seduto e zitto”.
Io non ci credo.
Come buona parte dei tifosi laziali che hanno avuto l’opportunità di conoscere Lucas Leiva di persona (in ritiro o a Formello), non posso credere che una persona professionale, solare, simpatica, sempre disponibile e umanamente splendida come lui possa aver proferito quella frase nei confronti di un portatore di handicap.

Concitazione del finale di partita o meno, qualora fosse vero, sarebbe un gesto quantomeno ingiustificabile, ben più grave dello scherno che ha subito Acerbi a fine partita. Assolutamente fuori luogo e di una gravità inaudita, che meriterebbe una punizione ben più severa di un’ammenda di 10.000 €.

Qualora fosse vero, appunto! 
Molti riportano il comunicato del giudice sportivo come condanna incisa nella pietra: "Per aver al termine della gara, uscendo dal recinto di gioco, proferito parole offensive nei confronti dell'addetto stampa della squadra avversaria. Infrazione rilevata dai collaboratori della Procura federale".

Parole offensive, appunto, non ci viene detto quali; al di là del buonismo, anche mandare a quel paese una persona (disabile o no) potrebbe rientrare tra il novero delle “parole offensive”; ma gli interrogativi non finiscono qui:

1) la famosa frase, “sta seduto e zitto”, viene riportata solamente dal Messaggero, e non ci sono riscontri se non lo stesso articolo del giornale citato. Ma il referto non dovrebbe essere secretato?

2) Non solo, la vicenda viene riportata ben tre giorni dopo la partita, alla vigilia del comunicato del giudice sportivo: fatto alquanto anomalo. Possibile che in campo, solo l’addetto stampa e il collaboratore federale abbiano sentito quella frase e che nessun altro abbia portato alla luce la vicenda in modo più tempestivo?

3) Ma soprattutto: come mai l’addetto stampa coinvolto nella vicenda non ha preso la parola denunciando questo “fantomatico” spiacevole accaduto? Come mai, per un’accusa così grave di stampo discriminatorio, viene comminata una sanzione blanda e non una squalifica esemplare?

Credere alla versione di Leiva? Che i collaboratori della procura federale abbiano interpretato male le parole del calciatore? Oppure Leiva è semplicemente colpevole?

Tutto si risolverebbe in un attimo: un bel ricorso all’ammenda di 10.000 €, si indaga e si presentano le prove di quello che è stato rilevato dalla procura federale. In via ufficiale, la società non farà ricorso, credendo alle versione del ragazzo, per chiudere la questione che si è già protratta per troppo tempo, e a mio parere sbaglia di grosso. Perché se è vero che il calciatore è innocente, si rischia di macchiare la sua immagine pubblica con un’accusa alquanto infamante; d’altro canto, se il fatto fosse accaduto veramente, si offrirebbe “riparo” ad un comportamento discriminatorio e disdicevole che mai dovrebbe verificarsi nella vita, figuriamoci per una partita di calcio. Che la società abbia imposto silenzio al calciatore, se non per il comunicato uscito stamattina su Twitter (palesemente scritto da un legale)?

Questo alone di incertezza non è sano, la questione andrebbe affrontata in maniera approfondita, sentendo tutte le parti in causa. Per il bene di uno sport che ormai sta degenerando in polemiche, risse e discussioni degne del peggior campo di terza categoria.

Agli amici milanisti voglio dire solo questo: avete giustamente il dente avvelenato, probabilmente il 24/04 riuscirete di nuovo a superarci e ad andare in finale di Coppa Italia, visto il nostro scarso momento di forma. Ma non condannate un uomo senza avere le prove, protestate civilmente contro Leiva, aspettate di avere delle prove certe prima di “marchiare” Lucas Leiva per una frase che ad oggi (e probabilmente lo resterà per sempre) è ancora priva di ogni prova tangibile.
E fidatevi, se il fatto alla fine dovesse risultare realmente accaduto, la prima condanna per Leiva arriverà proprio da noi laziali.