"Eravamo così belli, o almeno ci sembrava, ed un giorno normale era sempre un giorno speciale”. Parole e musica recitate da Tommaso Paradiso, ex leader dei TheGiornalisti e grandissimo cantautore. Un brano ricco di emozioni, di ricordi d’infanzia ma soprattutto di sogni, che mai devono mancare; un po’ come nel calcio, quando la palla decisiva per la vittoria arriva anche all’ultimo secondo. Come ho già avuto modo di sottolineare più di una volta, sono cresciuto calcisticamente con il Manchester United di Sir Alex Ferguson, squadra imbattibile che dominava il mondo; un ambiente diverso da quello italiano, ma sicuramente più affascinante.
Quando ripenso anche per un solo secondo al 2019 mi vengono in mente una serie di eventi negativi, soprattutto a livello familiare e di amicizie, eppure in quell’anno sono riuscito a realizzare un sogno che avevo nel cassetto sin da piccolo: vedere una partita del mio Manchester a Old Trafford. Ho deciso di prendere la palla al balzo e di andare proprio nel luogo che mi ha appassionato al football, quel Teatro dei Sogni che doveva ridarmi la capacità di sognare, in un periodo assai difficile sotto tutti i punti di vista.
Era il 4 dicembre, giorno di United-Tottenham, reso ancora più spettacolare dalla presenza di Josè Mourinho sulla panchina degli Spurs; appena iniziata la partita capii ben presto che la Premier League è esattamente l’opposto della nostra Serie A, ma soprattutto ammirai la bravura del “mio” capitano in quella sera, Ashley Young.
Di obiettivo ne avevo uno solo: veder vincere i Red Devils, come ai vecchi tempi. Il passato riaffiorò, perché grazie all’esperienza di Young e alla qualità di Marcus Rashford, i padroni di casa riuscirono ad imporsi sugli ospiti. Mi ricordo che uscii dallo stadio con un bellissimo sorriso, perché alla fin fine, in un mondo opposto per tradizione all’Italia, avevo avuto modo di passare una serata diversa, più meritocratica e tranquilla di quelle che avvengono nel nostro campionato. L’obiettivo era stato raggiunto e dopo aver visitato le città di Manchester e Liverpool potevo ritornarmene tranquillamente a casa, anche perché sentivo proprio il bisogno della cucina italiana.

Dopo circa un mese da quella fantastica notte, cominciò “L’originale”, celebre programma di calciomercato condotto da Alessandro Bonan e da Gianluca Di Marzio, esperto di trattative. Dalla sua bocca uscirono testuali parole: “l’Inter è molto vicino all’acquisto di Ashley Young, in scadenza a giugno, ma pronto ad arrivare a Milano già a gennaio”. Sobbalzai dalla sedia, quel capitano che avevo ammirato in un mondo opposto al nostro, sarebbe arrivato nella mia squadra. Mai mi sarei aspettato un epilogo del genere, e ancora oggi fatico a comprendere la scelta del Manchester di liberarsi quasi del tutto gratis del proprio capitano. Non posso nascondere la mia felicità, anche se mi ha fatto arrabbiare e non poco l’indifferenza che alcune persone (anche miei amici) mostravano verso il terzino inglese; chi non ama la Premier League non poteva capire, e per fortuna ci pensò Massimo Marianella a spiegare le qualità di Ashley Young.

Da tifoso nerazzurro non posso essere soddisfatto delle ultime prestazioni dell’Inter. Troppe occasioni sprecate, incertezze difensive, ma soprattutto cali fisici notevoli nei secondi tempi: qualcuno affida la colpa a Conte, mentre alti, giustamente, si concentrano sull’aspetto fisico che sicuramente in questa parte di stagione non è esaltante. Da abbonato allo stadio, però, non potevo non recarmi a San Siro per Inter-Cagliari; confesso che, visto l’orario non proprio adatto per chi viene da fuori, avrei potuto anche evitare, ma la presenza di Ashley Young mi ha obbligato a fare una levataccia mattutina e a mettermi in auto verso Milano. E il destino ha voluto che, a poco più di un mese di distanza, ho potuto ammirare nuovamente il “mio” capitano, questa volta nel mio amato paese e con la maglia della mia squadra; una prestazione perfetta quella fornita dall’inglese, intensa sotto il profilo agonistico, ma soprattutto attenta in fase difensiva. A differenza di Biraghi, unico punto debole di questa Inter, è bastato un solo cross a Young per fornire l’assist perfetto a Lautaro Martinez. Come detto in precedenza, però, la Serie A non è la Premier League, e al triplice fischio finale, vista la confusione e il nervosismo trasmesso dall’arbitro Manganiello, l’Inter non è riuscita a strappare i tre punti, come aveva fatto invece il Manchester contro il Tottenham.

Me ne sono uscito dallo stadio deluso dalla prestazione offerta dai ragazzi di Conte, ma soddisfatto della gara di Young. L’ex capitano dei Red Devils ha mostrato una tecnica sopraffina e assai superiore a quella dei suoi compagni, ma il tatticismo italiano spesso tende a rovinare un po’ tutto, anche se gli applausi del Meazza rivolti al nuovo acquisto ci sono stati eccome. Sbollita la rabbia per l’arbitraggio nel corso dei 90 minuti, rifletto adesso su quello che ha voluto il destino: quel giocatore che ho ammirato e aiutato in quella vacanza in Inghilterra, a distanza di poco più di un mese me lo sono ritrovato qui in Italia, con l’obiettivo di togliere lo scudetto alla Juventus.
Sarà difficile, al limite dell’impossibile, ma visto che entrambi siamo stati al Teatro dei Sogni, vale la pena sperare in un lieto fine. È vero che, come dice Tommaso Paradiso, questi sono i nostri anni, ma è anche vero, che la Serie A  è molto più ingiusta della Premier League. Ripensando a quella notte, con la mente libera dopo tutto ciò che è successo al Meazza ieri ti chiedo: caro Young, ma non stavamo meglio a Manchester?