Caro Pallone,
ci conosciamo da sempre, da quando ero bambino e camminavo appena. Mio padre mi raccontava spesso del nostro primo incontro: nel corridoio di casa, lui ti lanciò verso mio fratello, che ti agguantò in presa malferma e poi ti rilanciò con le manine; quando venne il mio turno e mio padre ti fece rotolare nella mia direzione, ti stoppai col collo paffuto dei piedini dei bimbi e ti calciai. Fu chiaro, fin da quella prima occasione, che la nostra relazione avrebbe usato i miei piedi come mezzo di comunicazione.

In questi giorni di Superleghe e altre amenità, sento le persone parlare del tuo mondo, il Calcio, senza mai citarti. Nessuno che si preoccupa di chiederti come stai, se ti serve qualcosa. Sono tutti presi dal ragionar di soldi, di diritti tv, di banche d’affari che finanzierebbero una tantum un circo, un carrozzone, un impero coi piedi d’argilla. Ascolto pareri certamente illustri e informati, ma basati sulle calcolatrici e non sulla foglia morta, sui fatturati e non sul fuorigioco, sullo spread e non sul tackle. Studenti di Cambridge hanno valutato gli introiti economici garantiti dalla neonata Superlega: e pensare che io, quando sento Cambridge associata al calcio, penso subito alla Piramide, ai terzini che si chiamavano “back” e agli attaccanti denominati “forward”.

Leggo che il “Sistema Calcio ha bisogno di una innovazione profonda” e io sono assolutamente d’accordo: il WM ha fatto il suo tempo, la difesa a tre può andare bene ma, se vogliamo mantenere le tre punte, dobbiamo schierare un centrocampo in linea o a rombo, non più due mediani e due mezzali. Quando proferisco tali parole, però, i miei interlocutori mi guardano come se avessi parlato in aramaico: il Sistema di cui parlano loro non ha niente a che vedere col WM, ma è tutta una questione di TV.

Alla radio hanno detto che “la Superlega nasce perché il metodo della UEFA non piace ai top club” e io mi domando: se ai top club europei non piace il Metodo, perché non scelgono un altro schema? Confesso, sono un fan del 4-3-3 e il centromediano metodista (chiamato così dal Metodo, appunto) è sempre stato un ruolo affascinante, ma credo sia giusto che le squadre europee col maggior numero di tifosi decidano autonomamente quale metodo usare… e la UEFA non può imporre nulla! Queste mie affermazioni, però, in genere sconvolgono le persone con cui parlo, come se stessi parlando di fisica quantistica in un convegno sulle tecniche di ricamo.

Forse ho capito il problema, caro Pallone, ma non ne sono certo. Forse io parlo di te mentre gli altri parlano del tuo mondo. Io penso alla gioia che dai a qualsiasi persona al mondo che, indipendentemente dall’età, ti vede rotolare ed è presa dall’irrefrenabile desiderio di stopparti, palleggiarti, calciarti. Non ho mai visto una persona giocare con te senza sorridere. Sei l’antidoto a ogni tristezza, a ogni mestizia, a ogni appucundria (sentimento che solo chi è napoletano conosce nel profondo) per un bambino che ha appena imparato a camminare come per un vecchietto che, passeggiando col bastone per strada, viene improvvisamente investito da un urlo collettivo: “Nonno, ce putite passà ‘o pallone?”. E il vecchietto lo guarda, ti guarda. Si avvicina a te col passo claudicante, ma in cuor suo si sente ancora il Garrincha di periferia che era una volta. Ti accarezza con la suola e poi, di piatto o di punta, ti rilancia a quelli che stavano giocando.

Mio caro Pallone, non riesco a capire se questa Superlega sia una evoluzione o un addio. Non arrivo a comprendere se un torneo a venti squadre, di cui quindici fisse, senza retrocessioni e a cui si accede senza meriti sportivi conquistati sul campo, possa essere la risposta alla domanda che tutti si fanno: “Quale futuro per il Calcio?”. Voglio dirtelo chiaramente: non partecipo con entusiasmo a questo dibattito sul calcio stile NBA o NFL. Io mi pongo, invece, un’altra domanda: “Quale futuro per il Pallone?”. La pongo a me stesso e a tutti quelli con cui mi trovo a interloquire in questi giorni matti e disperatissimi. Nessuno riesce a darmi una risposta. Nessuno.

Negli ultimi due giorni c’è stata una levata di scudi generale in tua difesa. Dopo decenni passati a pensare solo al Calcio, qualcuno si è finalmente ricordato del Pallone. Lo hanno fatto tanti ex calciatori, come Gary Neville; tantissimi calciatori e allenatori in attività, come Ozil, Klopp o Bielsa. Milioni di tifosi o di semplici sportivi hanno dichiarato fin da subito la loro contrarietà alla Superlega. Persino capi di stato e di governo si sono schierati in difesa del Pallone. In difesa tua. Hanno tutti una incredibile paura di perderti. Perché va bene tutto, il business, i contratti, la pay tv, i procuratori, i social media managers, ma alla fine di tutto si ritorna all’essenza. Si ritorna a te.

“A fine d’ ‘o juorno sta tutta ccà”, recitava Don Pietro Savastano in “Gomorra”. In tantissimi temono che la fine del giorno sia prossima e che la Superlega possa essere la tua pietra tombale, il messaggio d’addio che il Calcio moderno ti invia prima di metterti in pensione. Un giornalista sportivo ha detto che, nel futuro, la concorrenza al calcio sarà rappresentata dai videogiochi. Pare che uno studio abbia dimostrato che ci siano persone capaci di appassionarsi a un Real Madrid – Barcellona giocato alla Playstation.

Caro Pallone, alla fine di questa lettera ho capito perché te l’ho scritta: per paura.
Paura di perderti, di perderci di vista.
Ora che questa lettera si avvia a conclusione, invece, devo dirti che la paura mi è passata. Adesso so che potranno fondare tutte le Superleghe spaziali che riescano a immaginare, potranno persino giocare un Superclasico in una Bombonera virtuale, ma ci sarà sempre un essere umano che, camminando per strada, prenderà a calci un sassolino e, in quel preciso momento, penserà a te.
Perché tu se in ogni sassolino calciato, in ogni lattina per strada, in ogni pallottola di carta. E ogni strada è Wembley, ogni vicolo è Old Trafford, ogni spiazzale è il Maradona.
Questa magia non morirà mai.

Dal tuo fedele amico,                      
Antonio