Quando il cielo si fa nero, le stelle dovrebbero brillare con più forza, ma non è sempre così! Per il Milan, il cielo d’Europa, si è fatto più cupo che mai, ma le sue Stelle non riescono più a seguire le logiche del firmamento, non riescono più ad ammantare di luce dorata, gli occhi sognanti dei propri tifosi!

Un tempo, si pensava che il firmamento fosse una solida cupola, a cui erano rigidamente congiunte le stelle, come in una sorta di panorama fisso, bello e cristallizzato per sempre! I neo-assiri si spingevano, persino, ad ipotizzarne il materiale: pensavano  fosse composto di calcedonio, un quarzo traslucido di colore simile al cielo autunnale: grigio con gradazioni azzurrine.

Le stelle poi, erano dei magnifici gioielli incisi su di esso! E quanto spiccavano! I Greci non potevano essere da meno per magnificenza e immaginazione, ritenendo la volta celeste ancor più incantevole, plasmata col materiale più puro ed incorruttibile, conosciuto fino ad allora: il cristallo!

Quanti tesori potevano scorgersi sollevando di poco la testa: ma il mio Milan, le mie stelle che fine hanno fatto? Le cerco con forza, anche se fossero riverberi di sensazioni luminose, paragonabili a quelle, rilasciate frettolosamente dalle dinamo di vecchie grazielle! Quanta nostalgia per quelle biciclette, che nel buio più nero, riuscivano quasi a stupirci e meravigliarci con quei fili di luce  intermittente, e il loro lavoro lo svolgevano comunque bene.Tracciavano, a dispetto della tecnologia, i loro percorsi e accendevano, per poco, la gioia nel cuore.  

Ancora continuo a guardare, a scrutare con sguardo più attento, qualsiasi virgola possa risvegliare il buio della mia squadra:  il ricordo dell’armata Bakayoko e persino i guizzi di Castillejo sono ormai dei tristi miraggi. Il mio cuore non ha pace e non può averne scorgendo Donnarumma e Kessie ridere, subito dopo la partita persa malamente col Torino. Perché quelle risa superficiali che sanno di resa? Perché questo affronto ai tifosi? Forse non ho visto bene…. Allora tento  come Leopardi di scrollarmi di dosso il pessimismo che mi si avviluppa dentro  e provo ad andare “oltre la siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” e come il poeta, che nel pensier si finge di cambiare la realtà, anch’io cerco di  vedere la luce  dove luce non c’è.  

Queste stelle, che non brillano per gli altri, avranno conservato  un briciolo di autostima, per brillare almeno per se stesse?  Si sa,i soldi non ridanno l’energia che non c’è! Chi non brilla per gli altri, non risplende neppure per se stesso, è una legge di natura, che elargisce i talenti a chi poi li ridà  

Eppure, in un tempo non molto lontano, ho avuto modo di apprezzare un ragazzo: era una stella che non sapeva di esserlo. Quella stella era Dimitri, senza soldi, senza scarpe, senza patria, capace di lasciare tutti di stucco, firmamento compreso, con esplosioni di luci come solo lui sapeva fare : sbaragliava tutto e  tutti, sapeva giocare e incantava!

Lo conobbi per caso. Era un pomeriggio di agosto, uno dei tanti passati al campetto del mio paese, a giocare a pallone con gli amici del vicinato. Questo campo era molto imperfetto: pendii, buche, ciottoli e ramaglie spinose, lo rendevano unico. Questo campo era nostro, questo campo era tutto, questo campo era un mio pezzo di mondo. Ricordo persino il colore e l’odore acre del pallone. Era di ottima fattura: fabbricato con un cuoio durissimo e cucito finemente a mano! Quanto era bello riceverlo per Natale!

Alle 14 e 30 col sole a picco, le partite iniziavano puntuali. C’erano sempre tante persone pronte a giocare, vestite così com’erano: con pantaloni, costumi o stracci, poco importava! Il desiderio di giocare in quel campo, così perfettamente imperfetto, era più forte di qualsiasi  ostacolo.
O si arrivava presto o il campo veniva occupato! Questa regola non era scritta, ma era totale.

Un giorno notammo,  seduto nei “distinti del bordo strada", un ragazzo biondo con delle ciabatte da mare, sporche e mezzo rotte, che osservava tutte le traiettorie del pallone, una ad una, come se volesse ricamarci qualcosa particolare con loro. Voleva sicuramente giocare.  Era Dimitri che non parlava, non chiedeva neppure di partecipare, forse non conosceva la nostra lingua. Continuava comunque a seguire le partite con un’attenzione non consueta  e quel silenzio assordante si iniziava a sentire. Non solo il silenzio parlava, ma anche le sue cicatrici gridavano evidenti dalla canotta larga, stile bagnino. Tutta la muscolatura e persino la faccia era rovinata da diversi  sfregi marchianti. Aveva superato il mediterraneo  dall'Albania, con barconi improvvisati. Aveva assistito a scene orribili, rischiando di essere buttato a mare, onda dopo onda.
Ciò che contava ora era che in quel rettangolo di gioco non c'erano più né onde pericolose né barconi, ma solo una sfera e dei giocatori pronti a divertirsi, che producevano in lui preziose  e inspiegabili magie.

Seguitò ad osservarci per ore, fino a quando un mio compagno di squadra, per impegni già presi, dovette andarsene e chiedemmo a lui di sostituirlo. Annuì.
Non gli sembrò vero, si tolse velocissimamente le ciabatte e si piazzò in campo. Durante quelle ore passate ad osservarci, aveva memorizzato tutto: gli schieramenti, le persone e persino i nomi. Per noi, vedere una persona giocare senza scarpe e in quel campo così aspro, pareva impossibile. La nostra  paura iniziale si concentrò nell’evitare di pestargli i piedi nudi, per sbaglio. Avevamo scarpe pesanti, ma lui riusciva a correre oltre i sassi, superava con disinvoltura le ramaglie spinose, vinceva i contrasti e affrontava, persino, la non dolce resistenza del pallone acre di cuoio, con la dura punta del suo incredibile piede.
Era pazzesco! Ogni cosa, ogni singola cosa, veniva deformata dalla gioia del gioco. Il divertimento superava la fisica, la chimica e persino lo spazio: era un continuo gioco nel gioco! Quel ragazzo senza casa e senza niente, non aveva bisogno dei soldi per giocare, non giocava neppure per il solo divertimento! Dimitri, giocando viveva! Ed è solo così, col gioco, che dalle onde, è stato riportato alla vita.

E noi, ancor oggi, nei momenti bui, quando il cielo si fa nero, ricordiamo nei suoi occhi le stelle!  
Il cielo d'Europa è obbligato a guardare, aspettando anche il Milan...
e la luce che fu!