E ufficiale, dopo un lungo tira e molla, Lorenzo Insigne, al termine di questa stagione, non sarà più un giocatore del Napoli.
Il capitano degli azzurri lascerà i partenopei per provare una nuova esperienza, anche di vita, in un altro campionato con i canadesi del Toronto. Eh sì, alla fine proprio lui che è un “figlio” di Napoli, lascia la sua terra natale dopo aver inseguito, con mille sacrifici, questo sogno per tantissimi anni, consacrandosi anche come un punto fermo della nostra nazionale, dopo il trionfo europeo, con il suo unico e inimitabile “tiro a giro”.
Una classica sua giocata che come ben sapete non è passata inosservata visto la citazione voluta dalla Treccani all’interno del suo dizionario, con tanto di significato, per spiegare al mondo da dove nasce questo colpo di classe. Insigne con oltre 400 presenze e 114 reti siglate è quarto assoluto, sia per presenze che per gol realizzati nella storia del Napoli, pronto a superare Diego Armando Maradona nella ”Hall of fame” di tutti i tempi, manca un solo gol per raggiungerlo. Eppure, al di là del ruolo cruciale di Insigne nella storia recente dei partenopei, non è mai mancata una dose di critiche nei suoi confronti. Non è bastato nemmeno essere figlio del Napoli e di Napoli per essere considerato importante il suo addio, che forse passerà in secondo piano proprio perché non è riuscito ad entrare pienamente nel cuore dei suoi tifosi nonostante rappresenti, per molti ragazzi napoletani, un esempio di coloro che c’è l’hanno fatta ad emergere dalla difficile realtà da “carta sporca”, come cantava Pino Daniele tanti anni fa nella sua “Napule è”. A conferma di ciò, qui di seguito le sue parole in una recente intervista rilasciata a Rivista 11:
"Ho avuto degli screzi qualche volta coi tifosi e mi dispiace. Molti non mi hanno compreso del tutto. Credo di aver sempre assicurato che il Napoli non venisse meno all’impegno in campo. Ho un carattere particolare. So scherzare con tutti, ma all’inizio tengo le distanze. Per alcuni tifosi è superbia, sembra che me la voglia tirare. È solo un atteggiamento di difesa. Qualcuno non mi ha mai compreso al 100%".

Amarezza tanta amarezza traspare dalle parole del capitano del Napoli; sembra che non riesca ancora a capacitarsi del motivo per cui la “sua” gente non lo abbia amato poi cosi tanto, soprattutto come e quanto lui avrebbe voluto e desiderato. Lui che si sente parte integrante dei tifosi napoletani, lui che è uno di loro, nato e cresciuto nei sobborghi della Napoli metropolitana, lui che ha sempre gioito e sofferto per la sua squadra del cuore sin da quando era poco più di un ragazzino. Eppure la sua è una storia di profonda dedizione per il calcio, colma d’amore, di passione, di gioia ma anche di incomprensione e delusione soprattutto da quando indossa quella gloriosa maglia azzurra che a lungo ha inseguito diventandone un “simbolo”, prima da comprimario e poi da capitano realizzando il suo più grande sogno che portava con sé fin da bambino.

Per questo motivo, dopo dieci lunghi anni, sedici considerando le giovanili, trascorsi sotto l’ombra del Vesuvio, oggi non riesce neanche a capacitarsi, oltre agli applausi, dei tanti fischi e mugugni ricevuti, in piú di un’occasione nel corso degli anni, dal suo pubblico al San Paolo; gesti dei tifosi che lo deludono, lo amareggiano, lo deprimono, lo destabilizzano nonostante continui a dare sempre il massimo per la sua squadra. Ma lui è uno forte, abbassa la testa, soffre tremendamente, fa gesti di stizza sopportando tutto per amore di quei colori e soprattutto per quella maglia che oramai gli sta scivolando via sempre di più, dopo aver accettato la corte dei canadesi. Molti dimenticano però che per Lorenzo Insigne non è stato per nulla semplice diventare un calciatore, il suo è stato un percorso irto di ostacoli e delusioni prima di arrivare a Napoli da grande promessa. Le sue origini sono molto umili quindi non proprio quelle di un figlio di ”papà” , padre precario, una famiglia numerosa con quattro fratelli da sfamare e sua mamma Patrizia sempre il faro ad illuminare nei giorni più difficili. Ciò nonostante il piccolo Lorenzo contribuiva come meglio poteva per la sua famiglia, alzandosi presto alla mattina per vendere abiti al mercatino di Frattamaggiore, per dedicarsi poi, dopo il lavoro, dal pomeriggio fino a sera tarda al calcio, inseguendo a lungo il suo più grande sogno: quello di poter diventare un giorno un giocatore del Napoli.

Rinunciò, quasi del tutto, alla sua adolescenza per inseguire il proprio talento, abbandonando gli studi precocemente e allenandosi “duramente” con il pallone a cominciare dalla Scuola calcio di Grumo Nevano quando ancora era poco più di un bambino. Cresciuto con Del Piero come idolo a cui si è ispirato per il suo “tiro a gir”, è stato sempre molto sicuro di sé, credeva fortemente al fatto che, un giorno, potesse arrivare a diventare qualcuno nel calcio nonostante i grandi club continuassero a scartalo, con insistenza, per la sua piccola statura anche se giá da ragazzino di talento ne mostrasse da vendere.  Gli dicevano che a Napoli non sarebbe mai arrivato per giocarci perché nel Napoli: “non puoi essere piccolo di statura se non sei Maradona”. Invece a Napoli alla fine ci è arrivato diventandone sempre più un giocatore importante, anche se a detta di molti un leader non lo è quasi mai stato. Ma poco importa perché ha comunque contribuito a scrivere bellissime pagine della storia recente partenopea e il resto sono solo illazioni di chi ha certamente poco a che fare con il calcio.

Però oramai la sua decisione è stata presa, la sua vita calcistica proseguirà in una realtà totalmente differente dalla nostra, perché dal ’1 luglio, ufficialmente, Lorenzo sarà un giocatore del Toronto, lasciando Napoli e soprattutto il Napoli. Le ragioni di questa scelta amara appaiono ovvie per alcuni e ingiuste per altri ma come molto spesso accade in questi casi Insigne sarà il capro espiatorio da dare in “pasto” ai napoletani per nascondere la polvere sotto il tappeto da parte di chi dall'alto poteva ed evidentemente non ha voluto. Infatti Lorenzo è uno di quei giocatori che per via del suo rapporto dolceamaro con la tifoseria, ma anche con la proprietà a questo punto, avrebbe sbagliato comunque anche se avesse deciso di rimanere per due motivi: Se fosse rimasto, i suoi detrattori avrebbero detto, comunque, che la sua decisione sarebbe stata fin troppo “comoda” perché, non essendo un vero “campione”, non può sopravvivere al di fuori di una piazza che lo ha accolto come un figlio avendo avuto la pazienza di aspettarlo prima di diventare un giocatore affermato, quindi la scelta di andare in Canada piuttosto che in un'altra squadra europea ne è la dimostrazione. Ora invece che ha deciso di andare via è soltanto un “core ngrat”, perchè dai napoletani ha avuto sempre più di quello che ha dato sul campo, ha preso le coccole, gli abbracci e i loro sorrisi restituendo quasi sempre quel suo sguardo triste e accigliato, tipico di chi non ha assolutamente voglia di rimanere ma ha solo una gran fretta di andare via senza nemmeno prendersi le sue responsabilità, che un capitano, un vero leader, a differenza sua, avrebbe dovuto prendersi.

Andrò pure controcorrente ma io penso che la sua decisione sia stata quella più giusta. Si può anche avere l’intelligenza di comprendere, a un certo punto della propria vita e della propria carriera, che il desiderio di essere una persona “libera” dalle pressioni di un pubblico e di una proprietà che non ti apprezzano, pienamente, per quello che sei diventato, con ben settantacinque milioni di euro in tasca per cinque anni di contratto, sia in ogni caso, una bellissima esperienza da vivere intensamente per quanto doloroso possa essere lasciare la casa dove sei nato e cresciuto. Un’esperienza che va assolutamente fatta soprattutto in un contesto in cui verrà ricoperto d’oro solo per diventare una specie di superstar del calcio come fu, con le dovute proporzioni, un po’ per Pelè, Beckham e tante altre stelle del calcio mondiale che hanno deciso di passare gli ultimi anni della loro grande carriera, da pionieri, in un continente dove il calcio è l’ultima ruota del carro rispetto ad altri sport. A mio avviso, la sua scelta diventa più comprensibile perché sono sicuro, al di là del denaro, che non riuscirebbe a vedersi, in Europa, con un'altra maglia diversa da quella del suo Napoli oltre al rischio di poterlo affrontare da avversario, dopo esserne stato il capitano per tanti anni; ed è per questo motivo che mi sento di dissentire, categoricamente, da chi definisce Insigne un mercenario.
Una consuetudine divenuta oramai troppo diffusa nel calcio di oggi quando un giocatore prende la decisione di non prolungare la propria permanenza nello stesso club, un finto moralismo che invita tutti a parlare di mancanza di bandiere rispetto al calcio di un tempo quando poi, come in questo caso, sono i club a spingere per non rinnovare, in fondo, se non mi sbaglio, Insigne non chiedeva proprio la luna per rimanere a vita nel Napoli. Non credo nemmeno al fatto, non me ne voglia il buon Giovinco, che Insigne andando in Canada possa perdere il posto in Nazionale per mancanza di visibilità, perché dovrebbe? Chi sarebbe questo fantomatico campione che potrebbe prendere, nel breve periodo, il suo posto? La risposta la do io: proprio nessuno.

Però, caro Lorenzo, dopo averti difeso a spada tratta con le ampie critiche che riceverò, anche da buon juventino, una domanda te la voglio fare e mi scuso in anticipo per il mio scarso napoletano, visto che ti hanno scelto, dicono, da trasfermarkt: 'ma secunn te in Canadá o sanno che è o tir a gir?'

Ciccio