Caro il mio Barbarossa, studente in filosofia, forse non sai che, a Firenze, come nel resto dell'Italia, il calcio è una cosa seria, questione, addirittura, di vita o di morte.
A Firenze si hanno i primi accenni di quello che poi diventerà, qualche secolo dopo, lo sport più seguito al mondo, pur presentandosi, rudimentalmente, quale commistione tra l'attuale modo di intendere il pallone e la futura pallamano. I colori viola sono il simbolo della Firenze calcistica, il giglio costituisce il simbolo della città, tanto da essere immortalato nel logo della compagine. Avrai notato, eccezion fatta per i capolavori artistici distribuiti nell'intera superficie cittadina, di come l'orgoglio e l'identità degli abitanti venga reiterato in più circostanze. Il campanilismo, d'altronde, è fenomeno ben consolidato nell'intera Toscana, infatti il capoluogo di regione conserva ataviche rivalità, che lo contrappongono, anche calcisticamente, alle restanti città di questa splendida regione. Tuttavia, il nemico prediletto della tifoseria gigliata, sebbene piemontese, è la Juventus, squadra di Torino e più titolata d'Italia. 

Le radici della contesa, in tempi recenti, si diramano da quel 16 Maggio 1982, ultima giornata di campionato, nella quale entrambe le squadre, separate da pochi punti in classifica, si contendono il tricolore. Juve impegnata a Catanzaro, anche la Fiorentina in trasferta, a Cagliari. Gol annullato a Graziani, centravanti viola, fra mille polemiche; Signora che espugna Catanzaro grazie al penalty di Brady, trombato in vista della successiva stagione, dato l'approdo di Platini in bianconero. Firenze non digerisce questo scudetto sfuggito di mano e nascono aspre polemiche. "Ho visto Boniperti mangiare noccioline in tribuna, sembrava un mafioso americano". Franco Zeffirelli, regista fiorentino e tifoso della Fiorentina, si pronuncia così, intercettando il pensiero, probabilmente, di un'intera città. 

La finale di Coppa Uefa del 1990 vede fronteggiarsi le due squadre e, come da tradizione, prevalere i bianconeri, al termine del doppio confronto, 3-1\0-0.

Il 1990 è l'anno dei Mondiali in Italia, la cui colonna sonora, cantata da Edoardo Bennato e Gianna Nannini e musicata da Giorgio Moroder, diviene tormentone estivo e depositaria di nostalgici ricordi per un'intera generazione. Sono le notti di Totò Schillaci, eroe di una nazione e di una Nazionale che aspira al trionfo finale. Schillaci viene spalleggiato in avanti da un ragazzino dotato di classe cristallina dal vistoso codino: il suo nome è Roberto Baggio. Il talento di Caldogno, nell'estate in questione, passa da Firenze a Torino, affare da cui scaturiscono veri e propri moti insurrezionali orditi dai supporters gigliati. Il capoluogo toscano sembra la Parigi della Rivoluzione Francese, tanto che i tifosi della viola cercano un assalto alla "Bastiglia" (Coverciano, sede del ritiro degli azzurri) del calcio italiano. Nulla da fare, Baggio sposa la Signora ma non dimeticherà mai il seno materno.
7 Aprile 1991, Fiorentina-Juve, il Divin Codino si rifiuta di calciare un rigore e lascia il dischetto a Gigi De Agostini, il quale sbaglia. Uscito dal campo, tra fischi e applausi, raccoglie una sciarpa della Fiorentina.

Altro affare tra i club, capace di suscitare un tale scalpore, riguarda Federico Bernardeschi, talento in rampa di lancio della scuderia viola, passato a Torino nell'estate del 2017. "Mandi il certificato da finto malato\lo stile Juve hai già incarnato". Emblematico striscione tributato al giovane carrarino, reo di non essersi presentato in ritiro, con tanto di certificato medico, perché in procinto di trasferirsi alla Juve. Il 9 Febbraio 2018, Federico torna nella "sua" Firenze, sommerso da fischi e insulti. Stavolta, lo scenario presentatosi, si rivela diametralmente opposto a quanto successe con Baggio. Berna, non solo trafigge la viola con una punizione defilata da destra, ma si prende persino il lusso di esultare in faccia, ai suoi ex tifosi, incrociando le braccia sul petto e mostrando la linguaccia.

Tra calcio giocato e mercato, si inserisce la pagina più nera di questo incontro: lo sfottò reciproco.
Fosse un qualcosa di pulito, potrebbe anche risultare divertente, ai fini di una così articolata rivalità, ma è tutt'altro. Se i fiorentini hanno spesso ostentato sciarpe o scritte inneggianti a Liverpool, alludendo, di fatto, alle 39 vittime dell'Heysel, oppure oltraggiato la memoria del povero Scirea (auspicando una permanenza dello sfortunato difensore, tra le pieghe dell'inferno), i supporters bianconeri non stanno, di certo, a guardare. "Il viola è il colore che odio\è il colore che odio di più\gli sterilizziamo le donne\così non ne nascono più\Firenze è una patria di infami\la odio da sempre perché\i viola non sono italiani\ma sono una massa di ebrei". Parole abortite da un cenacolo di intellettuali, a giudicare dall'eleganza che contraddistingue questi slogan canaglia. Amico irlandese, in Italia si accenna, in tali occasioni, alle reiterate gravidanze della madre degli imbecilli.

Caro il mio Barbarossa [...] ritornerai in Irlanda con la tua laurea in filosofia e, mi auguro, nel mio piccolo, di averti fornito qualche spunto di riflessione, non solo sulla rivalità bianconero-viola, ma, in particolare, di come e quanto gli italiani escano fuori dai gangheri per una palla che rotola e 22 uomini in pantaloncini e maglietta, che la rincorrono.
Talvolta, caro amico barbuto, si eccede in becera volgarità, accantonando quel buon senso e quel rispetto, da tributare, non soltanto alla memoria di chi non c'é più, ma anche alla dignità di popoli perseguitati ed estranei alle logiche pallonare.
Ti invito a vedere l'incontro, che si terrà sabato pomeriggio a Torino, con la speranza che la Juve possa conseguire il suo ottavo scudetto di fila o con l'auspicio che l'orgoglio dei viola arrivi a offuscare l'ennesimo trionfo juventino.