Dall’inizio della gestione americana di James Pallotta sono ormai passati sette anni. Sette anni in cui i tifosi hanno dovuto accettare – non senza proteste – le molte dichiarazioni del presidente. Sette anni e ancora zero risultati. “Vogliamo vincere, ma abbiamo bisogno di tempo”, aveva dichiarato il titolare della società in una delle sue prime interviste, ma adesso che il tempo è passato, con la qualificazione alla Champions League a rischio, come fanno i tifosi a non scalpitare? Bramano trofei che mancano da troppo tempo, bramano i brividi che non sentono dalla notte del 24 maggio del 2008, quando Mexes e Perrotta firmarono il 2-1 nella finale di coppa Italia contro l’Inter.

A questo punto, inoltre, non si capisce più quale sia l’obiettivo da raggiungere.

Per quanto riguarda lo stadio, nonostante le molte problematiche relative ai permessi, si farà. Così pare, almeno, perché a Roma tutto è imprevedibile e il progetto potrebbe benissimo non avere né una data di inizio né una di fine. Come possono i tifosi romanisti, nati e cresciuti in una città come la capitale, a cui basta un giorno di pioggia per bloccarsi e manifestare tutti i diffusi malfunzionamenti dei suoi servizi, permettersi di credere alle parole di questo presidente? Oltretutto, lui non è di Roma: non conosce i tempi di cui ha bisogno.

Poco importa che siano stati arrestati Marcello De Vito – ex presidente dell’assemblea capitolina, accusato di aver ricevuto delle tangenti – e l’immobiliarista Luca Parnasi, titolare della società al centro dello scandalo “stadio”, Eurnova S.r.l. Poco importa che anche Virginia Raggi sia ancora coinvolta nelle indagini.

Lo stadio si farà, sì, ma con i suoi tempi: solo questo bisognerebbe dire, a voler essere sinceri, perché nella capitale tutto funziona così, e come diceva Amedeo Cinaglia in Suburra: “Roma non si governa, al massimo si amministra”.

 

Torniamo a parlare di calcio e concentriamoci sulla situazione “galleggiante” che oramai è diventata uno stile di marketing da parte della società.

Nel 2011, nel corso di una delle sue prime conferenze stampa, l’ormai ex dirigente sportivo della Roma, Walter Sabatini, aveva avvertito i tifosi che non si sarebbero dovuti affezionare ai giocatori, e infatti da lì a breve sarebbe iniziata quella campagna di trasferimenti, basata sulle “plusvalenze” che avrebbe visto la vendita di giocatori-simbolo come Strootman e Nainggolan, con un ruolo ben definito all’interno della rosa e amati dai compagni e tifosi, che spesso li hanno messi in discussione, ma poi sempre perdonati.

Adesso invece la Roma è spoglia, nuda, priva dello spirito combattivo che la contraddistingue da sempre. La sua unica vera anima resta De Rossi, che però si avvia sempre di più verso l’addio definitivo; Florenzi continua a chiedere rinnovi, minacciando di lasciare il Club se dovessero continuare a non arrivare; Dzeko non è ancora riconosciuto come un leader a tutti gli effetti…

Tutto il popolo giallorosso gioca a domandarsi chi sarà il prossimo ad essere venduto, ormai. Si potrebbe andare per esclusione: la grande rivelazione, Zaniolo? Manolas? Oppure chi altro?

Manca un progetto da cui ripartire, mancano punti fermi da cui iniziare a espandere la rosa. Ci sono Pellegrini e Cristante, è vero, ma è anche vero che non sono ancora riusciti a convincere tutti, e sappiamo quanto sia esigente la piazza Roma…potrebbero addirittura volerci anni!

Adesso più che mai, con la qualificazione alla Champions sempre più distante – per merito di un’Atalanta stravolgente, esempio di bel calcio e capace di conquistarsi un posto meritato nella competizione più amata da tutti – la società deve schiarirsi le idee e iniziare a portare avanti un progetto che sia nuovo e capace di portare qualche risultato, senza deludere e illudere ulteriormente i tifosi.

Ora non sono qui a dirvi come fare o non fare, ma mi appello alla società affinché si ricollochi e si risistemi per portare risultati o almeno speranza per il futuro, in modo tale che l’ A.S. Roma non diventi più una tappa di passaggio, ma di arrivo, di possibilità di vittoria, di crescita e di riscatto per qualsiasi giocatore, dal giovane che vuole migliorarsi e vincere, all’esperto che vuole continuare a vincere anche rischiando di dover fare panchina. Non sarà facile, lo immagino, soprattutto adesso che la Juventus sembra controllare tutto, ma bisogna pur ripartire da qualche parte, perché questi anni hanno il sapore del fallimento.