Novembre 2017, triplice fischio a San Siro: la Nazionale italiana non parteciperà ai campionati del mondo di Russia 2018; 11 maglie gialle corrono impazzite per tutto lo stadio, un popolo intero invece, distrutto e in un mare di lacrime, abbandona un sogno che nemmeno aveva potuto accarezzare. 

No, purtroppo questo non è l’incipit di un thriller mozzafiato: è la cruda realtà che ciascuno di noi ha dovuto vivere. Non è tutto, manca ancora un pezzo molto importante della nostra storia, quella rinascita con cui i vertici federali si riempirono la bocca per evitare di commentare la “nostra” Waterloo calcistica. 

Basta! Tutto questo deve farci riflettere: torniamo ad investire sui nostri giovani, il nostro futuro!”, queste le parole dei cori assordanti che, giorno dopo giorno, riempivano le nostre case, i vari Bar-Sport popolati da CT e DS, ma soprattutto i cuori infranti di ciascun tifoso. 

Settembre 2018, i campionati italiani hanno da poco avuto inizio (tralasciando la Serie B in netto ritardo e le incomprensibili regole sui ripescaggi) , il marziano Cr7 è sbarcato a Torino, il Milan è ormai a stelle e strisce, ma i problemi sono sempre gli stessi.
Squadre storiche come il Bari ed il Cesena hanno dovuto salutare il calcio professionistico e ripartire dai dilettanti, in Serie B, a Cosenza, la partita è stata rimandata per impraticabilità del campo (ripeto, nella serie cadetta), a Napoli, invece, mentre la faida tra il Primo Cittadino ed il Presidente continua senza esclusione di colpi, i tifosi, le uniche vittime di tutto questo, non possono seguire la propria squadra come meritano.

Ne è passato di tempo, ma le cose in Italia sono ancora tante, troppe, da risolvere: sia ben chiaro, può capitare che nascano delle generazioni di calciatori meno forti rispetto alle altre (TottiDel Piero e Pirlo ci hanno abituato troppo bene), ma se si continua ad offrire il “nulla” ai nostri figli come potranno quest’ultimi migliorare? Andate nei campi di provincia e guardate dove sono costretti i giovani portieri a tuffarsi.

Che dire, poi, della questione fallimenti? Qualche anno fa l’affaire Manenti a Parma doveva essere l’ultima vergogna di un calcio in rosso e corrotto, ma oggi questi pagliacci circolano ancora, rovinando delle piazze storiche e gettando al vento importanti opportunità di guadagno per le stesse città. 

L’Italia, si sa, è un Paese di quaquaraquà (chiedo scusa al grande Leonardo Sciascia se mi permetto di scomodarlo), ma quello che sta accadendo in quest’ultimo periodo ha davvero dell’incredibile. 

“Come possiamo migliorare il nostro sistema calcio? Quali soluzioni per evitare ulteriori disfatte?”
”Ma certo! Imponiamo ai giocatori l’utilizzo della fascia da capitano della Figc! In questo modo saremo bellissimi e senza distinzioni!”
In un Paese in cui mancano i fondi per ristrutturare campi, palestre e foresterie, dove una squadra viene affidata al primo “azzeccagarbugli”, ricco di progetti da finanziare con i soldi del mobili, come può la fascia da capitano diventare il simbolo dell rinascita della Figc?

Cari calciatori, continuate a protestare, indossate la fascia che più vi piace, ma solo per far capire a quelli là che i problemi sono altri e che un pezzo di stoffa non potrà mai cancellare le vergogne del passato.