«Forsitan audieris aliquam certamine cursus/veloces superasse viros.» Forse avrai udito parlare di una che vinceva gli uomini più veloci nelle gare di corsa. Comincia così il mito di Atalanta raccontato nel decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio e così probabilmente sarà raccontata quell’Atalanta instancabile costruita ad hoc da Giampiero Gasperini. Forse, ma quasi certamente, sarà così, perché l’Atalanta pare essersi finalmente congiunta con la storia di quella ragazza mitologica che a questa squadra ha dato il nome.
Nel mito, Atalanta è figlia di Iaso re dell’Arcadia, abbandonata dal padre perché di sesso femminile, accudita prima da un’orsa mandata in suo soccorso da Artemide, ed in seguito trovata e cresciuta da un manipolo di cacciatori. Atalanta si avvicina quindi fin da subito all’arte della caccia per la quale dimostra spiccate abilità uccidendo dapprima due centauri e partecipando poi come unica donna alla spedizione degli Argonauti. La stessa fanciulla è colei che per prima ferisce il cinghiale calidonio: mitologico esemplare, il più grande mai esistito sulla terra e celebre per aver ucciso il giovane Adone su ordine di Ares, geloso dell’amore dello stesso Adone per Afrodite.
Atalanta è quindi ritratta nel mito attraverso le sue grandi doti di cacciatrice e di corritrice, talmente sicura del proprio talento, da voler indire una gara podistica affermando di darsi in sposa all’unico uomo che sarebbe riuscito a sconfiggerla. Nessuno sembra riuscirci, tranne uno: il giovane Ippòmene. Egli innamoratosi della fanciulla chiede il soccorso di Afrodite, la quale dona lui quelle tre mele d’oro colte dal Giardino delle Esperidi a cui Atalanta non sa resistere. Lasciandole cadere di quando in quando e rallentando perciò il passo della giovane, Ippòmene si guadagna il vantaggio e la vittoria, pertanto anche l’amore della ragazza. Del finale di questa nuova e sbocciata storia d’amore, si lascia al lettore la curiosità di scoprirlo perché altro è ciò che qui interessa.

Dall’Arcadia viene dunque Atalanta, luogo virgiliano, bucolico per eccellenza; terra dell’utopia classica in cui il disarmonico non è contemplato. Così, allo stesso modo, da una qualche utopia calcistica sembra venire la nostra, di Atalanta, concretizzazione di un’idea di calcio totale, uno contro uno; realizzarsi nel rettangolo di gioco di quell’ideale calcistico di ritmo e organizzazione che tanto piace al pubblico e alla critica. Cacciatrice cresce Atalanta e cacciatrice si manifesta anche la sua controfigura calcistica: cacciatrice di talenti, di obiettivi, ma soprattutto determinata a ritagliarsi una posizione onorevole colpendo prima di tutti quel cinghiale mitologico. E cosa potrebbe essere quella creatura se non l’allegoria di una Juventus, di un'Inter, di un Milan di ben altra caratura economica e finanziaria rispetto alla piccola, orfanella Atalanta? Cos’è la nave Argo con i suoi eroi clamorosi, se non la squadra stessa i cui giovanili talenti si riuniscono insieme alla conquista del vello d’oro, quindi della gloria di un campionato o di una Champions League che paiono essere lì ad attenderla? Nella giovane ragazza inizialmente schernita, invisa a Giasone e ai suoi seguaci argonauti, si rivede pure Gasperini, accolto da una società con la pancia piena (Inter, ndr) e troppo presto abbandonato per mancanza di risultati, ma che con encomiabile perseveranza ha portato al nostro calcio una ventata di freschezza e di respiro internazionale. Un tecnico che da sempre fa correre le proprie squadre più delle altre, puntando tutto sull’assedio asfissiante, fatto di mordi e fuggi, di giocatori che scalano uno dopo l’altro sull’avversario in orchestrale sintonia.
Caccia e corsa dunque, un binomio tutto atalantino tra mitologia e realtà, tra calcio e letteratura. Una caccia al pallone, all’uomo, all’uno contro uno, una corsa a perdifiato su ogni singola zona del campo; corsa che ha fatto desistere numerosi sfidanti dai più semplici ai più attrezzati, in campo nazionale ed internazionale. E lo stretto 2 a 2 della scorsa sera ne è la testimonianza.

Nota a tutti anche con l’epiteto di “Dea” è questa Atalanta, anche se nella realtà mitologica dea non è.
Ella è piuttosto una diva, “qualcosa che ha del divino”, una semi-dea, o meglio colei che gode di quella perfezione che al divino rimanda, ma che perfetta non è.
Ciò che tutti ci auguriamo è che questa, di Atalanta, non si lasci ingannare dalle tre mele di Ippòmene rivelando quel lato umano che seppur perfettibile non sarà mai perfetto. Auguriamoci dunque che l’utopia prevalga sulla realtà, che quella scalata alla vetta dell’Olimpo le procuri il posto che per merito le spetta, l’Olimpo degli dèi, l’Olimpo del calcio.
Perché ora più che mai anche in terra, sul campo di gioco «Non fabula rumor ille fuit,/superabat enim». Quella non era una menzogna, li vinceva veramente.

 

Emilio Boaretto