Madrid, Stadio Santiago Bernabeu, 11 luglio 1982, esattamente trentasette anni fa, l'Italia di Enzo Bearzot realizza il più grande capolavoro della Nazionale di calcio azzurra e, dopo aver superato alcune tra le nazionali più forti di tutti i tempi, batte la Germania Ovest per tre reti a una e si laurea Campione del Mondo per la terza volta.

Quella sera l'Italia intera, un po' incredula, un po' bisognosa di un qualche segno di riscatto, si fermò tutta unita davanti agli schermi delle televisioni, molte delle quali ancora in bianco e nero, per assistere e per esaltarsi nel proprio trionfo calcistico. Quella Nazionale, screditata e contestata alla vigilia e nella prima fase del mondiale, aveva fatto fuori, una dietro l'altra, l'Argentina di Maradona, il Brasile di Zico e Falcao e la Polonia di Zmuda e Lato, ed ora aveva di fronte l'ultimo ostacolo da superare, la Germania di Rumenigge, Breitner e Littbarski.

Alle otto di sera, quando gli azzurri scesero in campo per disputare la finale, la voce amica e familiare di Nando Martellini si dipanava dalle case verso le strade di ogni paese e di ogni città. Le finestre ed i balconi erano aperti, all'epoca il modo per avere un po' di fresco era quello, l'Italia intera era concentrata su una sola voce, quella del telecronista, l'unica a spandersi nell'aria eccitata dal sogno di vittoria.  

Era l'epoca immediatamente successiva alla fase calda del terrorismo, del terremoto, dell'emergenza su tutti i fronti, e delle contestazioni che riguardavano tutto, e che non potevano certo mancare in chiave calcistica, per una Nazionale che ci mise un poco a carburare. Ma la Nazionale di Bearzot, la più bella di tutti i tempi, superò la contestazione, superò se stessa, superò avversarie incredibilmente forti, ed alla fine alzò la coppa al cielo.

Fu quello il momento più alto del calcio romantico vecchia maniera, in cui emergevano prepotentemente passione, carattere, fede calcistica, fantasia. Un calcio che di lì a dieci anni avrebbe lasciato il passo al prevalere dell'atletismo e della potenza fisica.

Le foto dell'epoca ci mostrano calciatori esili, magri, asciutti, ma pur sempre dei giganti, di cuore, di potenza, di fantasia. Le imagini indimenticabili sono tante, a cominciare dall'immenso e in tutti i sensi insuperabile Dino Zoff che alza al coppa al cielo, campione del mondo a quarant'anni, che per premio dopo la vittoria mondiale si concesse una sigaretta insieme all'inseparabile Gaetano Scirea... Raccontano che dopo la vittoria li cercavano per festeggiare, e Scirea era sul letto a leggere un libro...  Che uomini!  
Il grande e indimenticabile Gaetano Scirea, il difensore più elegante mai visto nei nostri campi, che dopo ottanta minuti di finale non si limita a difendere il vantaggio ma lascia la propria area, va a duettare nell'area tedesca e fa segnare a Tardelli la rete che libera l'urlo più potente e più famoso della storia calcistica italiana.
E poi Paolo Rossi, l'asso nella manica, che buca le difese avversarie come un coltello nel burro, e più gli avversari sono grandi, più il coltello diventa tagliente. E Bruno Conti, che coi suoi dribbling irresistibili mandò in visibilio il mondo, e Pelé lo scambio per un brasiliano. E poi tutti gli altri, Giancarlo Antognoni, che con un tocco manda in rete i compagni, e la sfortuna che lo perseguita prima della finale. Antonio Cabrini, bello, elegante e potente, che padroneggia la fasca e col suo sinistro segna e fa segnare, fino al rigore scalciato in finale, il momento di maggior forza di quella squadra epica, che rialzandosi si dimostrò più forte anche del proprio errore.
Ed ancora, la roccia Claudio Gentile, potentissimo e insuperabile, il cui ricordo ancora oggi turba il sonno di gente come Maradona e Zico; lo zio Bergomi, un ventenne coi baffi che fa il mastino coi giganti ed annienta Rumenigge, mentre Collovati, corregionale del CT come di Zoff, presidia le zone alte; Ciccio Graziani, campione di forza e di generosità, e Lele Oriali, la cui duttilità permise a Bearzot di confondere le idee al Brasile più forte del dopo Garrincha.

Ed infine lui, il direttore d'orchestra, il C.T.,  il padre e protettore della compagnia, il mitico Enzo Bearzot. Aveva ereditato da Fulvio Bernardini la predilezione per i piedi buoni, e poi aveva continuato da solo, basando le sue scelte sulla imprescindibilità di alcuni requisiti di carattere, di personalità e di affidabilità. Aveva dato prova di sé al Mondiale del 1978, mettendo in campo una squadra a detta di molti ancor più forte di quella dell'82. Per tener fede alle sue priorità nel '78 aveva mandato in campo un Cabrini poco più che adolescente ed un Paolo Rossi anch'egli giovanissimo, lasciando fuori colonne portanti come Maldera e Graziani, ed anche nell'82 riprese Rossi dopo una lunga squalifica e lasciò fuori il capocannoniere pluridecorato Roberto Pruzzo, al pari del pluriosannato ed invocato Beccalossi.

Ma Enzo Bearzot non era solo un grande gestore di uomini.
La sua grandezza di uomo e di condottiero era pari alla sua abilità tattica. In un'epoca di calcio italiano troppo frettolosamente tacciato come difensivista, Bearzot affrontò il Brasile stellare di Zico, Falcao, Eder, Socrates, con due punte di ruolo come Rossi e Graziani e due fantasisti come Antognoni e Conti.
Non solo! Fissata la marcatura di Gentile su Zico, ebbe una trovata tanto geniale quanto coraggiosa visto il calibro degli avversari: schierò la squadra con il solo Tardelli in mezzo al campo, Oriali e Graziani sulle fasce, Conti e Antognoni fantasisti, e Rossi a fare anche il centravanti di manovra. Praticamente abbiamo fatto possesso palla contro i migliori palleggiatori del mondo. Una cosa incredibile per gli stessi brasiliani. Una cosa simile si era verificata anche con l'Argentina di Maradona, mentre con la Germania Bearzot sorprese ancora tutti, affrontando i corazzieri tedeschi sul loro stesso piano, la fisicità. Dopo aver verificato fino all'ultimo che Antognoni non fosse in grado di rientrare dall'infortunio, non lo sostituì con un pari ruolo, ma con un difensore, l'eccellente Bergomi, che mandò in marcatura fissa su Rumenigge, mentre Gentile prendeva in consegna Littbarski, ed il tenace Oriali andava a rendere più robusto il centrocampo guidato da Tardelli. La forza fisica si dimostrò la carta vincente in quella finale. Raccontano che alla fine del primo tempo la squadra era avvilita per il rigore appena sbagliato da Cabrini, ma si riprese quando qualcuno fece notare che i tedeschi stavano per cedere sul piano fisico, e così fu.

Per chi non lo avesse ancora compreso, la sera dell'11 luglio 1982 fu definitivamente chiaro al mondo che il Vecio aveva ragione in tutto.

Negli anni seguenti Bearzot rivelò uno dei suoi segreti: una grande attenzione, uno studio minuzioso degli avversari, sempre, come la fedeltà alla regola sacrosanta del "prima non prenderle". Segno di umiltà e di grandezza, come la Nazionale forgiata a sua immagine e somiglianza.

L'ultima immagine del mitico e indimenticabile Mundial 82 è quella di Enzo Bearzot che nell'aereo di ritorno dalla Spagna gioca a carte con il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Contro, dall'altra parte del tavolo, ci sono Franco Causio e Dino Zoff, gli uomini più fidati del C.T.. Non so a cosa giocassero, ma a quel tavolo erano seduti i più alti valori del calcio di tutti i tempi, allo stesso livello della massima carica dello Stato. Una cosa del genere non la vedremo più.