Com’è cambiato il calcio?!
Una domanda che è nello stesso tempo un’affermazione.

Il calcio è lo sport di tutti, lo sport del popolo. Dopotutto basta avere passione, amore per questo sport e una palla che rotola per giocarci, anche una palla di carta racchiusa nello scotch; per le porte ci si può arrangiare come meglio si crede. Nel calcio, quello giocato, non importa se sei ricco o povero, la differenza sta in chi è capace e chi no. I campionati professionistici sono per chi sa giocare ed ha investito in questo sport per lavoro, con anche una buona dose di fortuna che non guasta mai, superando talvolta le dovute difficoltà. Per gli altri ci sono i tornei studenteschi ed amatoriali o agonistici, per altri ancora le partitelle fra amici.

Nonostante ciò, la chiave evolutiva del calcio è la vil pecunia.

All’inizio si giocava per il piacere di farlo, poi sono arrivati gli ingaggi e infine le squadre han cominciato ad acquistare giocatori in cambio di denaro. Ingaggi e costo del cartellino sono poi andati via via crescendo fino ad arrivare alle cifre esorbitanti di oggi. Ingaggi e costo del cartellino sono il metro di giudizio con cui una squadra da il valore ai propri giocatori: più il giocatore è forte, più ti fa vincere e più costa. Elementare! 

Senza andare troppo indietro col tempo, anche se sarebbe bello e magari chissà un domani farò un pezzo proprio sul remoto calcio di una volta (Coppa Italo-Anglosassone e Mitropa Cup), il calcio ha iniziato a cambiare volto con la sentenza Bosman.

Da quel 1995 il calcio non è più stato lo stesso. Il via al limite degli stranieri ha portato come prima conseguenza un cambio delle valutazioni dei giocatori dei cartellini e degli ingaggi che hanno cominciato a salire senza seguire una logica, o meglio a me questa logica sfugge. Certo i fattori di brand cominciavano a farsi sentire così come i controlli finanziari delle società che erano al limite del nullo, ma vorrei evitare di scrivere un pezzo sull’economia e finanza del calcio e sui suoi risvolti. Quindi...

C’era una volta la Coppa delle Coppe, la Coppa Uefa e la Coppa dei Campioni, tre competizioni che permettevano alle migliori europee di affrontarsi. Nella Coppa delle Coppe trovavamo le squadre che avevano vinto la propria coppa nazionale, nella Coppa Campioni si affrontavano le migliori di ogni campionato (chi vinceva lo scudetto) e nella Coppa Uefa si affrontavano le altre migliori squadre di ogni campionato che occupavano le prime posizioni, eccetto la vincitrice ovviamente. Sempre ovviamente è inutile dire che il livello di difficoltà era più elevato se facciamo un paragone con l’attuale Champions League e la vecchia Coppa dei Campioni o l’attuale Europa League con la vecchia Coppa Uefa; la Coppa delle Coppe è stata semplicemente assorbita dall’Europa League. Oggi ci sono più squadre e anche chi arriva in posizioni di media classifica può aspirare ad un sogno europeo. Fermo restando che per qualificarsi alla fase del finale del torneo ci sono gli anche gli spareggi. Nel caso dell’Europa League, quando ancora si chiamava Coppa Uefa, ci fu un periodo in cui gli spareggi avevano il nome di Coppa Intertoto; un’altra competizione che prevedeva un trofeo a se.

Oggi le due competizioni continentali si chiamano entrambe “League” perché di fatto non si affrontano le migliori, ma un gruppo di migliori e sono di fatto delle vere e proprie leghe.

Ma questo non basta, non oggi. Serve qualcosa a dare la spinta, serve qualcosa da vendere al pubblico, qualcosa di nuovo. Il calcio nel tempo non ha provato neanche una volta a riequilibrare le forze fra le varie squadre e quindi è successo l’inevitabile, salvo eccezioni, le forti son diventate sempre più forti perché sono sempre più ricche e le “deboli” rimaste deboli perché non riescono ad arricchirsi come le forti. Le forti si spartiscono fra loro i titoli e le deboli fanno le comparse. Si è arrivati ad un punto di non ritorno dove solo pochi campionati di prima fascia hanno un gruppetto di forti, mentre in altri a vincere è sempre la stessa e il campionato nazionale ha perso d’interesse e di valore(?).

Ed eccoci ad oggi, con la Superlega. Una competizione dove le più forti, e le squadre con maggior blasone storico, di un continente si riuniscono (la Champions League non basta più evidentemente) e si scannano tra loro. Solo le più forti e blasonate, niente outsider perché per entrare a far parte della “stretta cerchia”, almeno all’inizio, non devi conquistarlo sul campo ma ti basta il nome e il portafoglio.

Questa è la naturale evoluzione di un calcio che sa sempre meno di sport, ma sempre più di show e business.
Forse oggi, ed in futuro, il calcio non sarà più lo sport del popolo, o almeno non più con il significato con cui era nato.