Il rivoluzionario della tattica, nel calcio italiano, è, senza dubbio alcuno, quel romagnolo purosangue di nome Arrigo Sacchi. Il Cavalier Berlusconi s'invaghisce perdutamente di quella idea così innovativa, tutta marcatura a zona e pressing asfissiante, da garantire un posto al sole al Vate di Fusignano.
Inizia una nuova stagione per tutto il movimento, risalente alla fine degli anni '80, nella quale l'Italia del pallone si scrolla di dosso quell'etichetta di "patria del catenaccio", assumendo sembianze sempre più olandesi. Non è un caso che, il Milan di Sacchi, pur avendo un'ossatura prevalentemente italiana, lascia che la propria trazione anteriore, possa godere delle giocate di un trio, proveniente proprio dalla terra in cui era nato e cresciuto Johann Cruyff: stiamo parlando di Rijkaard, Gullit e del "cigno" Van Basten. 

Eppure, c'è chi afferma che, nonostante il tecnico di Fusignano venga considerato il profeta di tale rivoluzione, questi abbia guardato con estrema ammirazione ad una squadra, capace di imporre un tipo di gioco assai spumeggiante. Stiamo parlando del Bologna di Luigi ("Gigi") Maifredi, 1987-1990, artefice di una promozione dalla B alla A, una salvezza e una qualificazione in Coppa UEFA, in un triennio di "calcio champagne", così denominato perché frizzante e per la professione del tecnico, rappresentante per un'azienda di spumanti, prima di dedicarsi alla panchina. 

La reputazione dell'allenatore dei felsinei non passa inosservata, infatti, a casa Maifredi, il telefono squilla e dall'altra parte della cornetta c'è un certo Giampiero Boniperti. La signora Bruna, moglie del tecnico, riattacca, pensando si trattasse di uno scherzo telefonico. La Juve è un treno su cui salire alla prima fermata e così fu anche per Maifredi. A Torino, tuttavia, non troverà Boniperti, per il resto della stagione, quale principale riferimento societario, vista la rivoluzione attuata dalla famiglia Agnelli. L'Avvocato Chiusano è il nuovo Presidente, ma è Luca Cordero di Montezemolo, in veste di vicepresidente esecutivo, a mandare avanti la baracca.

Anche la Signora, mettendo da parte l'antidivo Zoff, ha il suo guru del calcio spettacolo. Dopo l'addio di Platini, sotto la Mole sta tornando l'entusiasmo di qualche anno prima, lasciando ipotizzare, dunque, il termine dell'epopea berlusconiana. Arriva Roberto Baggio, nuovo proprietario della 10, sottratto al seno di sua madre (calcistica), in riva all'Arno, scatenando la rabbia dei tifosi viola. Oltre al Codino, giungono in bianconero Di Canio, Julio Cesar e Hassler. Il parco attaccanti è completato da Schillaci, eroe delle "notti magiche" e da Pigi Casiraghi, già juventini da un anno, in un reparto composto da giovani e talentuosissimi terminali.

Qualche mese dopo le famigerate "notti magiche", si assiste al preludio delle "notti tragiche" dell'era-Maifredi. Prima uscita stagionale al "San Paolo", valevole per la Supercoppa Italiana e primi segnali negativi: 5-1 a favore dei partenopei e capitan Tacconi che supplica D1eg0 Maradona di placare la furia agonistica dei propri compagni. Eppure in campionato si intravedono sprazzi di buon calcio e la Juve tiene il passo delle big, mantenendo un andamento da alta classifica. Girone d'andata più che positivo e vittorie roboanti su Inter (4-2) e Roma (5-0). Le diverse goleade della stagione '90-'91 sono una magra consolazione per quello che, in fin dei conti, sarà l'esito finale dell'annata: settimo posto ed esclusione dalle coppe europee. Incoraggiante, invece, il cammino in Coppa delle Coppe, con la Signora eliminata solo in semifinale dal Barcellona di Cruyff (3-1 a Barcellona, per i blaugrana e 1-0 a Torino, condito dall'inutile punizione di Roby Baggio). 

Alla base di questo fallimento c'è, senz'altro, un'idea di calcio più spregiudicata e meno equilibrata, se rapportata ai dettami sacchiani. Una società come quella bianconera, per puro spirito di emulazione, nei confronti del cannibalismo berlusconiano, rinnegò il proprio atavico modus operandi, improntato sulla sobrietà e sulla vittoria ad ogni costo. Sacchi ha costituito, in termini matematici, un'equazione perfetta, riuscendo a far collimare calcio propositivo e trofei conquistati; Gigi Maifredi, contrariamente, entra a pieno titolo, in quella categoria di allenatori, devota al bel gioco, ma allergica a titoli e coppette varie. Zeman, Galeone, Orrico, solo per citarne alcuni, affiancano il profeta del calcio champagne in questo filone.

Il tecnico bresciano dimostrò, nell'anno a Torino e nei successivi decenni, di non avere le stimmate del grande allenatore, vedendo, a poco a poco, declinare le sue fortune calcistiche. Farà anche "mea culpa", il buon Gigi, dandosi dell'asino, in occasione di un'intervista, rilasciata al "Corriere dello Sport". Presunzione, infortuni e rendimenti al di sotto delle aspettative, di alcuni giocatori e ribaltoni societari hanno minato le fondamenta del  Maifredi-pensiero sotto la Mole. Di sicuro, secondo quanto disse Tacconi, non fu il presunto "interismo" a ostacolare l'ascesa del presuntuoso Gigi, sulla panchina bianconera.

I tifosi della Juve, all'argomento Maifredi, impallidiscono e sviano il discorso ricordando solo quel gran pezzo di fenomeno, col Codino e con la 10 sulla schiena. Non è un caso che, il più sobrio Zoff prima e il martello Trap, di ritorno a Torino, successivamente, riportarono qualche coppetta (1 Coppa Italia e 2 Coppe Uefa) nella bacheca juventina, in anni, tendenzialmente, di vacche magre. 

Per lo spettacolo, insegnamento inciso nella storia zebrata, rivolgersi altrove, magari teatri o circhi. Allegri, tuttora, docet. Ma non ditelo ai Sarristi...