Il calcio è in tante cose somigliante al
cinema per questo il suo mondo è stato
portato di rado sul grande schermo: parrebbe una ridondanza.
(Javier Marais)

San Pietroburgo è la più astratta e premeditata città del globo terracqueo ha scritto Fedor Dostoevskij in Memorie del sottosuoloLa città dove è bello passeggiare di notte con il cielo chiaro che illumina i fregi del barocco russo.
In questo magico scenario, le cui bellezze architettoniche si specchiano nelle pallide acque della Neva, il regista russo Aleksey German Jr ambientò il film Garpastum, presentato al Festival di Venezia nel  2005. Il titolo del film nasce dalla traslitterazione russa del latino harpastum, palla da gioco. Siamo nel 1914, nei mesi che precedono la Prima Guerra Mondiale che segnerà poi la tragica fine dell’impero russo. Protagonisti della trama quattro amici che hanno in comune una grande passione: il calcio. Acquistano un terreno per realizzare un campo da gioco.
Uno di loro scopre l’amore. Ha una relazione con una donna dell’alta società pietroburghese, che li introduce nel suo salotto frequentato dai personaggi più eminenti della cultura dell'epoca. Ma gli eventi drammatici accaduti tra il 1915 e il 1918 spezzeranno i loro sogni e la loro giovinezza.
Garpastum è un fascinoso racconto intellettuale. La guerra, semplicemente accennata, evocata è il vero innesco narrativo del film. Simboleggia le drammatiche trasformazioni di una società che fatalmente subirà gli esiti del conflitto mondiale, ma diventa anche il preludio alla rivoluzione russa e al collasso dell’impero zarista. 
Il film è uno struggente inno al calcio pionieristico. Le immagini della partita sono commoventi. Le  sequenze del match sono di uno straordinario realismo, grazie alla trovata del regista che ha fatto giocare, ai giovani attori, una vera partita di calcio e ha ripreso il tutto con un lunghissimo piano sequenza (tecnica molto adoperata nel cinema sovietico ndr) solo brevemente interrotto dai cambi di inquadratura. A Venezia, nel 2005, la fine della proiezione fu accolta da una standing ovation.

LA GERMANIA DI FASSBINDER
Rainer Werner Fassbinder
, regista tedesco, morto a soli 37 anni, è stato uno dei maggiori esponenti del Nuovo cinema tedesco degli anni ’70-80. Nel 1978 uscì Il matrimonio di Maria Braun, considerato, dalla critica, il capolavoro di Fassbinder. Fu, in certo senso, il primo capitolo di una trilogia dedicata agli anni ’50. Negli anni seguirono poi La terza generazione (1979) Lili Marlen (1980) e Lola (1981). Il film analizza, senza pietà, i difetti della Repubblica Federale Tedesca quali apparivano agli occhi dei suoi giovani critici.
Maria Braun, interpretata da Hanna Schygulla, riprende la vita tra le macerie della sconfitta, in un paese “dove tutti gli uomini hanno un aspetto malridotto”. Con freddezza, si butta il passato alle spalle, e dice a se stessa “che non è il momento adatto per le emozioni”. Si adegua alla frenesia nazionale: guadagnare soldi e si rivela straordinariamente brava. Misura tutto in denaro contante. Acquista una casa favolosa dotata di tutti i più moderni elettrodomestici. Tutto per accogliere il marito, soldato ancora prigioniero in URSS, al quale è rimasta fedele nonostante la parentesi sentimentale con un soldato americano di colore. Marito e moglie stanno per ritrovarsi ma, a causa di una disattenzione, un rubinetto del gas lasciato aperto, la casa salta in aria con tutti i suoi sofisticati accessori. Nello stesso momento la radio annuncia, con isterico entusiasmo, la vittoria della Germania nella coppa del Mondo di calcio del 1954.

Il SEGRETO DEI SUOI OCCHI
Il segreto dei suoi occhi è un film argentino del 2009 diretto da Juan Josè Campanella.Nel 2010 ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. E’ tratto dal romanzo La pregunta de sus ojos di Eduardo Sacheri. E’ un film ipnotico,girato con tecnica magistrale, con un cast di eccelsa bravura. Una storia avvincente- ambientata alla fine degli anni’90 in Argentina  -  che ha come protagonista principale  un ex-assistente in pensione del Pubblico Ministero – Benjamin Esposito - che decide di scrivere un libro su un fatto di cronaca risalente agli anni ’70. L’omicidio di una giovane donna il cui assassino non è mai stato scoperto.  Per raccontare l’accaduto incontra il marito della vittima rassegnato a un’esistenza di solitudine e rimpianto. Ma, è solo apparenza, in realtà è tormentato da un’insopprimibile ansia di vendetta .Per scrivere il suo libro Benjamin chiede al Pubblico Ministero, il permesso di esaminare gli incartamenti depositati in cancelleria, dove rinviene una foto della vittima e dove compare anche  un uomo che la fissa con insistenza. Si tratta di un certo Gomez, presumibilmente invaghito della donna, nonostante fosse sposata.  Il  vero scopo di Benjamin  è quello di scoprire il colpevole. E’ mosso da  un irrefrenabile desiderio  di giustizia che lo tormenta da anni.  Lo affianca nelle indagini, il suo collaboratore  di un tempo, Sandoval, che  indulge nell’alcol,  e, soprattutto, la cancelliera del Tribunale Irene Menendez-Hasting di cui è segretamente innamorato. Benjamin e Sandoval entrano in possesso di alcune lettere dell’uomo, fortemente indiziato del brutale omicidio. L’ex assistente di Benjamin,  nell’esaminare le lettere,scopre che i nomi citati, nelle missive, sono di calciatori che giocano nel Racing Club de Avellaneda. I due capiscono che Gomez  è un tifoso del Racing,. Cominciano, dunque, a frequentare lo Stadio Tomas Adolfo Ducò quando gioca il Racing e riescono, alla fine, a individuarlo tra la folla, ma Gomez sfrutta  il caos, seguito ad un goal,per darsi alla fuga. Dopo un inseguimento viene finalmente catturato, con l'aiuto della polizia, quando invade, accidentalmente, il terreno di gioco. In un audace interrogatorio Irene ed Esposito riescono a farlo confessare, premendo sul suo orgoglio maschile. La scena dello stadio è da antologia della tecnica cinematografica. Grazie alla talentuosa fotografia del brasiliano Felix Monti. Campanella gira un lunghissimo piano sequenza di oltre 5 minuti  in stile Birdman. E’ una scena che lascia attonito lo spettatore, come impietrito. Un piano sequenza dettagliatissimo e ben coreografato. Oscar strameritato!

FEBBRE A 90°
Qualcuno ha scritto che vedere Febbre a 90° forse serve più alla fidanzata che ad un tifoso di calcio, per comprendere e capire perché a volte ci si dimentica dell’altra metà del cuore.
Il film è tratto dall’omonimo libro di Nick Hornby, autore anche della sceneggiatura. David Evans è un regista televisivo che, a nostro avviso, si è molto giovato, nella realizzazione del film, di questo suo know how e ne ha tratto una storia avvincente e affrescato il miglior ritratto di un vero tifoso di calcio, mai portato sul grande schermo.
Paul, interpretato da Colin Firth, è un insegnante di letteratura, acceso tifoso dell’Arsenal. Acceso è dire poco. Paul è ossessionato dal tifo per la squadra del cuore fino al punto di incrinare il rapporto sentimentale che lo lega alla dolce e remissiva Sarah.
Sono tante le frasi cult che caratterizzano la trama e danno spessore e consistenza alla narrazione. Ci piace citarne una in particolare. La riportiamo testualmente. A pronunciarla è Paul: ”Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo un po’ ti si mescola tutto in testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa. Sono andato a vedere troppe partite, ho speso troppi soldi, mi sono incazzato per l’Arsenal quando avrei dovuto incazzarmi per altre cose, ho preteso troppo dalla gente che amo.”

ULTIMO MINUTO
Ultimo minuto di Pupi Avati, del 1987, è sicuramente il più bel film italiano sul calcio. E’ stato scritto dai fratelli Pupi e Antonio Avati con Italo Cucci e Michele Plastino, giornalisti sportivi, il regista bolognese scelse un ‘taglio’ diverso, rispetto a una filmografia calcistica che mette sempre al centro della storia il goleador che segna goal a valanga o il supertifoso che compie sacrifici immani per seguire la squadra del cuore. Avati realizzò un film sullo sport più amato dagli italiani ponendo al centro della trama la figura di un anziano manager, di una squadra di calcio dai risultati deprimenti, interpretata da un grande, anzi grandissimo Ugo Tognazzi.
Il dirigente Walter Fabbroni, interpretato appunto da un monumentale Tognazzi, è stato appena silurato dal presidente, personaggio rampante, ottimamente reso da Lino Capolicchio, perché non gradisce certe sue disinvolte manovre, che non esita a definire piccoli  intrallazzi, ma che hanno consentito alla squadra di non retrocedere nelle stagioni passate. Ora, però, la retrocessione incombe. I risultati senza il vecchio dirigente sono disastrosi. Viene dunque richiamato Fabbroni, che, per prima cosa, manda via l’allenatore. La formazione la farà lui. Nella partita decisiva gli avversari corrompono Boschi, un attaccante che è l’amante di sua figlia (Elena Sofia Ricci), ma Fabbroni intuisce l’inghippo. Toglie dalla formazione l’attaccante fedifrago e manda in campo un esordiente che gli è stato  segnalato da uno scout (Diego Abatantuono).
Il film racconta il mondo del calcio e i suoi retroscena con un realismo critico che gli altri media evitano con cura e interessata prudenza.