Ci sono nel calcio dei momenti che sono
esclusivamente poetici: si tratta dei momenti
del gol. Ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre
una sovversione del codice:ogni gol è ineluttabilità,
folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come
la parola poetica.
(Pier Paolo Pasolini)

Potrà sembrare eccessivo o, forse, addirittura, arbitrario ricorrere a Roland Barthessaggista e semiologo francese, tra i maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista per provare a spiegare il difficile e incerto rapporto tra calcio e grande schermo. Probabile che, nell’approfondire l’evoluzione di  questi due grandi seduttori, siamo stati colti da una specie di hybris, ovvero una sorta di tracotanza intellettuale che, ci auguriamo, non venga punita dagli dei come accadeva nella Grecia di Eschilo.
Riprendiamo il filo del discorso. Barthes, negli anni ’60, analizzò il modo di significare del cinema: Provò ad elaborare un metodo di scomposizione e ricomposizione del film per arrivare alla descrizione delle modalità specifiche di produzione di senso. Il cinema non è per Barthes un linguaggio vero e proprio per il rapporto analogico fra significante e significato, come nella fotografia. C’è uno scarto tra i sogni prospettati dallo schermo e la realtà materiale della vita, ma non si può ignorare il fatto che questi sogni alimentino l’immaginazione collettiva. Attraverso questi sogni poi si realizza la fusione tra i desideri degli spettatori e i corpi dello schermo che Roland Barthes ha esaminato nel suo, forse, più famoso saggio: Frammenti di un discorso amoroso. Su una delle più grandi dive del cinema - la Divina Greta Garbo -  sicuramente l’icona di un’era cinematografica indimenticabile, Barthes disse: “La Garbo appartiene ancora a quel momento del cinema in cui la sola cattura del volto umano provocava nelle folle il massimo turbamento, in cui ci si perdeva letteralmente in un'immagine umana come in un filtro, in cui il viso costituiva una specie di stato assoluto della carne, che non si poteva raggiungere né abbandonare.”

UNO SGUARDO DISTRATTO
Ad oggi non è ancora stato realizzato un film che racconti, nei suoi molteplici aspetti, la variegata fenomenologia del calcio. Il cinema italiano ha sempre fatto ricorso al calcio come chiave di lettura per raccontare un’epoca o un particolare ambiente e non sempre c’è riuscito. Il mondo del pallone  sul grande schermo è stato narrato con una certa riluttanza; pochissime volte, è stato oggetto di una vera profondità di sguardo. Ne sono venute fuori trame infarcite di luoghi comuni e da Bar Sport.
Certo, va detto anche, ad onor del vero, che registi e sceneggiatori patiscono il grande ostacolo della impossibile riproduzione della parte agonistica, ma, in altre nazioni, molti film, di ambientazione sportiva, diventano spunto per la narrazione, di vicende umane, anche di un certo spessore suggestivo, o legate alla storia del paese. In Italia, negli anni ’30, il fascismo ritenne più conveniente importare cinema che produrlo. Il regime non voleva correre il rischio di fornire una copertura finanziaria a un’industria che si trovava in agonia ed era priva di strutture. Ma, nel 1935, tutta una serie di avvenimenti condusse a un mutamento di strategia. Il più imporrante e decisivo di questi eventi fu il varo del progetto Cinecittà. Un complesso produttivo, assai avanzato, capace di fornire prodotti in grado di competere con la migliore produzione internazionale. Il 29 gennaio dello stesso anno Mussolini pose, nel corso di una solenne cerimonia, la prima pietra della futura città del cinema con allegata pergamena con la scritta Urbis condendae ed effigiendas per cinemaotgraphi artem, immagine semoventes solemnitur positus.

CALCIO, CINEMA E… REGIMI
“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”. L’aforisma è di Winston Churchill che, com’è noto, diceva quel che pensava e pensava quel che diceva. Lo statista inglese aveva visto giusto. La passione per il calcio, nel nostro paese, è sempre stata fortissima. Con la squadra del cuore si stabilisce un rapporto fideistico. Se il tifo, in Italia, fosse una religione o un’ideologia politica, avrebbe milioni di seguaci. Surclasserebbe qualsiasi altra confessione religiosa o partito politico. E’ sempre stato così.
Questo aspetto lo intuì Mussolini, che inizialmente non stravedeva per il calcio. Le sue discipline sportive preferite erano la boxe o la scherma. Il regime, dunque, per compiacere il cosiddetto uomo della provvidenza si adeguò e il calcio venne piuttosto snobbato. Ma, al Duce la scaltrezza non faceva difetto e capì che il sentimento delle masse era riposto nelle emozioni che scaturivano  dalle traiettorie di una sfera di cuoio quando, ben calciata, va a gonfiare la rete come la vela di un vascello. Il suo istinto politico gli suggerì di cambiare strategia. Ordinò la costruzione di nuovi grandi stadi e brigò, tantissimo, per farsi assegnare, l’organizzazione del Campionato Mondiale del 1934 vinto poi dall’Italia. Segui il successo alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Due  anni dopo, a Parigi, la nazionale di Pozzo si aggiudicò di nuovo il trofeo mondiale. Vittoria particolarmente apprezzata dal Duce per ragioni meramente politiche. Il 1938 fu un anno cruciale caratterizzato da eventi come la Conferenza di Monaco e, purtroppo, dall’introduzione delle leggi razziali. Dei successi sportivi della squadra italiana il cinema dell’epoca non ne trasse ispirazione e, nei film di allora, di quegli eventi, celebrati dal regime, se ne trovano tracce poco significative.

MONETA DI SOGNO
Marguerite Youcernar
in Moneta di sogno, un romanzo ambientato nell’Italia degli anni 30, ha scritto la frase – si legge nel saggio Il cinema italiano di regime di Gian Piero Brunetta – che meglio fissa la misura di scala con cui molti spettatori sentono di doversi confrontare: “La sala come un tunnel si apri all’universo.” Il film “ Cinque a zero”del 1932 diretto da Mario Bonnard è un reperto storico. Esiste oggi solo qualche frame. Ed è un vero peccato perché l’intreccio narrativo contiene tutti gli elementi che caratterizzeranno le pellicole future dedicate all’argomento. Il film s’ispira alla partita Roma –Juventus  disputata ,al Testaccio,  il 15 marzo del 1931. Vinsero i giallorossi per 5 a 0. Bonnard, regista importante, uno dei protagonisti del genere cinematografico  che passerà alla storia come “ il cinema dei telefoni bianchi”  , sviluppò una trama dove apparivano temi sociali, come l’eterna disputa tra il  Nord ricco , simboleggiato dalla squadra degli industriali torinesi e il Sud povero rappresentato dagli orgogliosi romanisti, ma anche toni spensierati  e sentimentali  grazie ad attori come Osvaldo Valenti (che pagherà poi con la vita la sua adesione alla Decima Mas. Venne fucilato, dai partigiani il 30 aprile 1945, insieme alla compagna Luisa Ferida, diva del cinema di quegli anni n.d.r) Altri attori furono Angelo Musco e Carolina Mignone detta Milly, la quale avrà una carriera eccellente tra cinema, musica, teatro e televisione. Altro aspetto curioso è che presero parte al film anche alcuni giocatori della Roma.

ARTI E REALISMO SOCIALISTA
Dall’alto di certi edifici, a Mosca, nelle notti rischiarate dalla luna, guardando giù verso la Moscova è possibile intravedere le vistose cupole, a forma di cipolla, di San Basilio e il Cremlino. Sessantanove acri di palazzi color ocra con i tetti smeraldo, le merlature rosso sangue, le cupole dorate e i cortili lastricati. Qui, in un edificio triangolare, Sovnarkom, con il tetto verde a cupola lavorava dall’aprile 1922 Iosif Vissarionovič Džugašvili che la storia ha consegnato alla memoria del mondo con il nome di Stalin. Il dittatore georgiano impose alle arti la corrente chiamata Realismo Socialista. L’arte, in tutte le sue sfaccettature, vale a dire pittura, scultura, letteratura, teatro e cinema, doveva accostarsi alla cultura delle classi proletarie e celebrare il progresso socialista. Per Lenin il cinema è l’arte più importante, per Stalin invece era l’arte più di massa. I contenuti del Realismo Socialista erano storia del movimento operaio, lotta di classe, la vita quotidiana dei lavoratori. Nemici assoluti da combattere, soprattutto con il cinema e l’arte , erano  i valori della borghesia europea capitalista e razzista. Il Realismo Socialista, in sostanza, non fu altro che uno strumento di mera propaganda politica.

IL FUTBOL AL CINEMA
Nonostante le rigide limitazioni, che la nuova ideologia staliniana impose alla creatività artistica in tutte le sue declinazioni, l’arte, nella Russia post-rivoluzionaria, trasse momenti di intensa  ispirazione dal mondo dello sport. Il calcio aveva raggiunto l’acme della popolarità e divenne uno dei temi dominanti della produzione destinata al pubblico utilizzata come strumento di educazione collettiva. Nel 1937, uscì nelle sale cinematografiche sovietiche , il film Il portiere tratto dal romanzo di Lev Kassil contemporaneamente pubblicato a puntate sulla rivista Krasnaia Nov . “La formula –  si legge nel libro Sostakovic di Mario Alessandro Curletto e Romano Lupi – che combinava i tradizionali ingredienti della commedia staliniana ( trama elementare , bei paesaggi costantemente baciati dal sole , così come i volti abbronzati e i corpi armonici e  muscolosi di una magnifica gioventù sovietica)con la forza attrattiva di uno sport in quegli anni assurto a fenomeno di costume , si rivelò vincente.” Il portiere entusiasmò il pubblico sovietico. L’eroico portiere che difende la porta sovietica è una metafora del difensore della patria, estremo baluardo difensivo del suolo patrio. Nella partita, scena finale del film, gli avversari che i coraggiosi calciatori sovietici fronteggiano, ovviamente con forte spirito patriottico, sono  i Bufali Neri, brutali e aggressivi, i quali, sia per l’aspetto che per l’inequivocabile saluto nazista rivolto al pubblico, riportano alla mente la gioventù hitleriana esaltata dalle immagini fotografiche e cinematografiche delle Olimpiadi di Berlino del 1936.

La storia  - se ci è consentito un disincantato commento - ha talvolta una fantasia perversa.
La pellicola patriottica uscì nel 1937. Due anni dopo il 23 agosto del 1939, a Mosca, la Russia e la Germania nazista firmavano il patto di non belligeranza.

(SEGUE)

clicca qui per la prima parte