L’estinzione è la regola. La sopravvivenza è l’eccezione e, sopratutto, a sopravvivere non è sempre il più forte ma chi è disposto a cambiare, cogliendo le opportunità e non arrivandoci per obbligo. Se facciamo i "catastrofici", l'estinzione è ciò cui si avvia il sistema calcio italiano. Era su questa impervia strada prima dell'emergenza COVID-19, lo è sempre di più adesso che grandi contributi economici di sponsor e televisioni rischiano di venir meno.

Quasi dieci sono gli anni che il nostro sistema non riesce ad imporsi a livello internazionale. Non è arrivata nessuna ribalta in Europa League, né in Champions. Abbiamo faticato agli Europei, perso l’accesso all’ultimo Mondiale e non c’è un giocatore italiano che abbia lottato per la conquista del Pallone d’Oro. Non c’è sfortuna in questo ma un'evidente mancanza. L’impressione è che la maggior parte delle società del calcio professionistico italiano non abbia un progetto di vita e stia rendendo la propria esistenza non più di un accidente.

Prendiamo in considerazione la sola Serie A:

  1. A quante squadra basta soltanto permanere nel limbo?  
  2. A quante andrebbe bene retrocedere in Serie B per avvalersi del paracadute?  
  3. Quante possono dire che la prossima stagione sarà una stagione migliore di quella che si concluderà ad ogni modo? 
  4. Quante propongono calcio invece che speculare?
Una veloce panoramica

Sull’ultimo quesito cadrebbero anche i primi, quelli da cui partiamo. Gli ottacampioni sono da escludere, perché, più che carnefici, vittime del sistema. La Juventus è fuori categoria, è l’unica squadra capace di intraprendere la via manageriale, campo e scrivania, risultati sportivi ed economici. Si indebita, ma questo lo fanno le migliori aziende, è chiamato “rischio d’impresa”. I bianconeri sono diventati brand, più che sola società sportiva, e i debiti chi lavora bene può pagarli. La Juve è il solo club italiano di successo e il successo è sempre pianificato, hanno lavorato per anticipare il futuro e ci sono riusciti. Cambierà lo scenario del calcio mondiale e in quello scenario saranno, al momento, l’unica italiana certa. Hanno un problema: il sistema calcio italiano, in generale, nello specifico la Serie A. La Serie A che hanno annichilito, gli si sta ritorcendo contro, perché non ci sono stati avversari almeno fino a questa stagione, quando l’Inter e la Lazio hanno cominciato a fare la voce grossa sentendo gli affanni dovuti al mancato assorbimento dell’ideologia sarrista. Qualcuno è stato fatto fuori negli anni dalla prepotenza bianconera, altri hanno abbandonato i giochi per propria incapacità, non riuscendo a trovare né verve né lucidità di idee e gioco. Strapotere che, allora, la Juve non ha potuto esercitare in Europa, dove il calcio è sport ma soprattutto business e il business non si fa con i soli soldi o con i singoli individui, lo si fa, soprattutto con intelligenza. L’intelligenza coglie le chiavi di volta e alza la competitività, alla quale i bianconeri non sono stati allenati. Ecco che il problema non è stato acquistare o meno un “Cristiano Ronaldo”, aumentare i ricavi e l’appeal. Il problema è stato il non arrivare mai pronti fisicamente e mentalmente a ciò che gli sarebbe toccato in Europa, non farlo perché in Italia tutto ciò non serviva, bastava il minimo indispensabile. La famosa asticella non andava alzata mai, questo è il risultato del sistema. La prova maestra è stata l’ultima eliminazione europea dei primi della classe, la scorsa stagione, per mano di chi ha proposto, di chi non ha avuto paura, di chi era Davide rispetto a Golia ma non si lamentava, né per gli arbitri, né per gli euro, ma trovava un metodo intelligente, eseguito da più di cinquant’anni, conservando tutti gli elementi che mancano a quel sistema di cui stiamo parlando: idee e gioco. Ci arriveremo.

Escludiamo anche l’Inter
. Dopo anni di burrasca ha ritrovato un assetto societario forte, una proprietà capace di intraprendere la via già percorsa sotto la Mole: ci sono soldi, uomini e progetti. Ha avuto per troppo tempo uno spogliatoio nel quale è caduta ogni regola, dunque un estremo bisogno di comandanti affidabili capaci di serrare i ranghi e tirare le brighe. A colmare la lacuna sono bastate le figure di Antonio Conte in panchina, un condottiero, e di Giuseppe Marotta alla scrivania. Napoli, Roma e Lazio potremmo escluderle ma potremmo non farlo. Hanno dei piani conosciuti e unici, definitivi, piatti: vendere per acquistare chi sarà poi venduto ad un prezzo maggiore. Sembra difficile immaginarle meglio di come sono attualmente, trovare lo spirito per colmare il gap. Escludiamo l’Atalanta, forse, la squadra più europea d’Italia, teniamo dentro il Milan un’incognita.

Restano quattordici squadre e non possiamo salvarne nessuna. Quattordici squadre su venti della massima serie hanno come massima aspirazione che il domani sia migliore dell'oggi per grazia di Dio. Qui c’è il declino della Nazionale, l'eredità mai raccolta lasciata dai Totti e i Del Piero, l’ultima Coppa dalle grandi orecchie nel 2010, la buona pace dei tifosi.

L'opportunità nell'emergenza

Se nessuna giornata in cui si è imparato qualcosa è andata persa e viceversa, il calcio italiano ha ancora pochi giorni, che sono aumentati poi grazie al Covid. Esasperiamo. La Serie A come un Eredivisie qualsiasi, fuori dai top campionati, è quello che ci aspetta? Un Eredivisie che, probabilmente, ci è superiore, che ha potuto permettersi di chiudere i battenti con l’arrivo dell’emergenza, perché meno legata ai soldi e più ai progetti, i quali non temono battute d’arresto: riprenderanno automaticamente perché automizzati e collaudati. Qualche certezza, qualche spunto per invertire la rotta possiamo rintracciarlo proprio in Olanda. Potremmo prendere da esempio qualsiasi squadra (qualsiasi!) per avvalorare la nostra tesi, ma ci serviremo dei lancieri, perché sono quelli che conosciamo meglio. Facciamo che i discendenti di Cruijff, che hanno spezzato i sogni di gloria della Juve durante la scorsa stagione, possano riaccendere quelli di un sistema intero, che possa imparare da ciò che ha visto e può continuare a guardare. Imparare non dal bel calcio (intorno ad esso c’è una polemica sterile), non dalle serate indimenticabili di Madrid, Torino e Londra della Champions passata. Un sistema che possa cogliere, invece, ciò che c’è dietro a tutto questo: idee e gioco che partono dal futuro, il futuro che è gioco e idee. Il futuro capace di colmare le distanze tecniche ed economiche, innalzare i livelli, farti sopravvivere non come un lento morire ma come un vivere continuo.

Il futuro, ovvero le idee

Un futuro (il futuro) che in olandese si pronuncia "De Toekomst", più che un verbo, uno spazio, un tempo. "De Toekomst" è il settore giovanile dell’Ajax. Chi è stato all’interno di quelle strutture può confermarvi che quelle stesse strutture non sono ciò che meraviglia: ciò che meraviglia è la maniera in cui sono utilizzate. In Olanda mancano poche cose, una di queste è lo spazio, allora si è nati con la necessità di essere efficienti e di sfruttare le poche risorse a disposizione da valorizzare. Gli olandesi sono quelli che costruiscono sull’acqua. Ma tornando al calcio, lasciando da parte l’edilizia, la prima tappa del processo è lo scouting, ci si concentra su aree limitrofe alla zona di competenza, dunque valorizzazione dei talenti locali. I primi calciatori biancorossi (chiamati figli degli dei) hanno tra i 6 e i 7 anni, sono scelti non per quanti gol o assist fanno ma per quanto si divertono. Il desiderio di giocare è il primo criterio di selezione, non la tecnica, non la tattica: coltivazione di talento. Talenti da far crescere in un sistema che fa da serra, votato alla crescita e basato sul modello TIPS: tecnica, intuizione, personalità e velocità. L’idea è di creare giocatori tecnici adatti a giocare in ogni situazione o posizione del campo, un addestramento che segue in maniera identica la prima squadra: nello stile di gioco, nel 4-3-3 o nelle sue varianti, nel comportamento e nelle regole. In media più del 60% dei ragazzi che completano il percorso raggiungono i massimi livelli, ovvero la prima squadra. Ma attenzione, chi non riesce a sopravvivere nel sistema è rifiutato dal sistema stesso. “Il Futuro” nasce dalla necessità di mantenere la competitività con le maggiori squadre europee nonostante la scarsa levatura del campionato di appartenenza e gli scarsi mezzi economici a disposizione, le stesse necessità lamentate dalla Serie A. “Il Futuro” che è un business. Quei piccoli uomini al momento giusto saranno venduti. Se i soldi stanno rovinando il mondo del calcio questo non vale per l’Ajax. Negli ultimi quattro anni se contiamo solo le cessioni più nemurative (De Ligt 85, De Jong 75, Zyech 40, Sanchez 40, Milik 32, Klaasen 27, Dolberg 20, Kluivert 17, Cillesen 13, Bazoer 12, Wober 10, Riedewald 9) i lancieri hanno incassato 380 milioni a fronte di un totale di 60 spesi per gli stessi elementi: idee.

Il gioco

Poi c'è il gioco. Il Gioco che sopperisce la minore caratura tecnica. Si può dominare lo spazio o il possesso, l’Ajax sceglie da sempre il secondo per prendersi il primo, per sfruttare al massimo le caratteristiche dei propri giocatori e per ridurre i momenti in cui ci si difende, quando le carenze vengono fuori. Tutto si concentra, allora, sulla fase offensiva, ove si costruiscono le combinazioni e si prepara la disposizione atta per la riaggressione e la rinconquista immediata della palla, negando agli avversari il tempo necessario per organizzare le transizioni offensive. Quel gioco che rende i giocatori affamati, entusiasti, brillanti. Quel gioco che abbiamo visto negli anni mettere in difficoltà le più grandi big europee. Il gioco che alza la competitività, che ti porta vicino ai migliori non essendolo. Il gioco quello dell’Ajax che è un continuo equilibrio tra ordine e caos, dove è possibile rintracciare un senso di libertà unico: ciò che Sarri non riesce a fare in Italia per un’ossessione personale d’applicazione pedissequa del sistema. Gli olandesi permettono agli undici elementi in campo di vivere al cavallo del sistema, di applicarlo e di metterlo in secondo piano trovando vantaggio dal disordine portato dal potere creativo. Potere troppo spesso castrato ai giovani nostrani, che non sanno più saltare l’uomo, non sanno creare la superiorità numerica perché non coltivati nella tecnica e nella tattica individuale. L'ultimo vero 10 italiano è stato Cassano, che conta la sua ultima presenza in Nazionale nel 2014. Non lo sono Chiesa e Bernardeschi, a cui è stato insegnato che il fisico e il dispendio di energie per il bene supremo della squadra contano più della libertà, più dello stesso gioco.

Un gioco e delle idee che non sono un “unicum”, che non devono essere sempre le stesse. Ognuno può avere la propria idea di calcio, così come la propria idea di gioco. Non parliamo di scimiottare, ma di cogliere gli elementi di un sistema e adattarli, come ci pare, ad un contesto. Non ci salverà la bellezza ma il gioco e le idee, se sapremo coglierle Il gioco e le idee sono da intendere come fattori costituenti di soluzioni intelligenti rispetto al nulla a disposizione, al tirare al campare e alle lamentele che fanno del “questi sono i mezzi e queste le possibilità” il tutto, potevano dirlo anche ad Amsterdam, nell’Olanda tutta, ma non l’hanno fatto mai. Gioco e idee, con pazienza, valgono, questa è la certezza, il futuro del nostro sistema calcio. Valgono la rinascita dopo l’emergenza, una sana sopravvivenza. Valgono un’insegnamento importante quanto la Champions. Il calcio che sarà, sarà un calcio diverso, votato verso la sostenibilità. Sopravvivere senza idee e gioco diventerà impossibile, sperare non sarà più concesso.