Ormai se ne parla da mesi: la Lazio di Simone Inzaghi, con una rosa decisamente inferiore, sia per monte ingaggi che numero di talenti a disposizione, sta disputando un campionato eccezionale, ritrovandosi, al momento, al terzo posto in classifica e con una partita da recuperare. Ma a cosa è dovuto questo momento dei biancocelesti? E sopratutto, possiamo parlare di un caso sporadico, oppure c'è qualcosa che accomuna quella che per ora è una delle migliori annate che i tifosi laziali ricordino dagli ultimi dieci anni a questa parte, con i successi di squadre come il Leicester?

La testa e il cuore

Il talento è fondamentale. Non solo nel calcio, avere talento, è una prerogativa imprescindibile per qualsiasi sport, dalla A alla Z. Ma - e fortunatamente, ci verrebbe da aggiungere - non è nemmeno l'unica cosa che conta. Spesso ci siamo sentiti ripetere che per portare a casa dei risultati, per alzare i trofei, bisogna spendere più degli altri. Ma è davvero così? La risposta è una mezza verità. Le statistiche ci hanno insegnato che sì, tendenzialmente chi spende, è destinato nella maggior parte dei casi, a vincere (non ditelo al PSG); ma ci sono state nel corso degli anni, delle eccezioni con la E maiuscola, che ci hanno ricordato che ricchezza e talento, a volte possono passare in secondo piano. Merito del cuore e della testa. Correva l'anno 2015, quando in una rovente giornata estiva, un certo Claudio Ranieri approdava sulla panchina del Leicester, club inglese che nella passata stagione della Premier League era riuscito ad evitare la retrocessione con appena sei punti di vantaggio sulla terzultima piazza della classifica.

Le aspettative insomma non erano certo delle più rosee, o quantomeno ambiziose: prima di firmare il contratto, Ranieri, il suo staff e la dirigenza del club avranno sicuramente parlato di una salvezza tranquilla, di un piazzamento a metà classifica, o nella migliore delle ipotesi, di un biglietto per l'Europa, quella di "serie B": l'Europa League. Insomma, nessuno, allenatore compreso, avrebbe mai immaginato che appena otto mesi più tardi, quello che finora era sempre stato considerato come un modesto club inglese, si sarebbe fatto largo tra le grandi a suon di goal e di vittorie, conquistandosi le simpatie di mezza Europa (sia calcisticamente parlando che non) e alzando un trofeo che di norma, alza solo chi spende e spande. Il classico esempio di Davide che batte Golia. Della testa e del cuore che riescono a sopperire alla mancanza di talento. È vero, non succede spesso, ma ammettiamolo: quando capita, è una goduria pazzesca, un evento di cui è impossibile non innamorarsi. Ma in Serie A, da quando tempo una "piccola" non riesce a trionfare? Troppo, davvero troppo.

Il Verona delle magie, le romane, poi il vuoto

Negli ultimi trent'anni di Serie A, i trionfi di quelle che possiamo definire come "piccole" sono solamente cinque: quello dell'Hellas Verona nella stagione 1984-1985; quello del Napoli nella stagione 1986-1987; quello della Sampdoria nell'annata 1990-1991 e i due trionfi romani, quello della Lazio nel 1999-2000 e quello della Roma appena un anno dopo, nel campionato 2000-2001. Dopodichè si è avviata una vera e propria "dinastia" che ha vinto trionfare solamente tre squadre: il Milan, che si è preso le luci dei riflettori "solamente" due volte (2003-2004 e 2010-2011), e poi Inter e Juventus, due squadre che hanno imposto al calcio italiano il proprio dominio. In particolare, l'Inter nel periodo che va dal 2005 al 2010, e la Juventus dal 2011 a questa parte. Per quindici anni insomma, nessuno è riuscito a spezzare il dominio di due squadre imbottite di talenti. Che la testa e il cuore di un gruppo come quello di Simone Inzaghi possa regalare al mondo intero un miracolo calcistico?