Il calcio è fatto dai campioni. Per quanto si apprezzino la fatica e il sudore del gregario, ciò che entusiasma il cuore dei tifosi è sempre il gesto tecnico del campione. Una giocata di Ronaldo viene maggiormente enfatizzata rispetto a quella di un pur bravo Rincon. Gli occhi dei tifosi sono sempre attratti dalla bellezza del colpo ad effetto perché il calcio, in quanto arte pedatoria, comunque arte, evoca anziché descrivere. E un Brera o un Mura sono diventati maestri proprio perché hanno saputo riconoscere quella evocazione.

Federica Pellegrini denunciava che “in Italia c'è bisogno di cambiare visione sullo sport: non è solo e sempre calcio, calcio, calcio.Eppure negli anni d'oro del Settebello o del Volley dei Giani, dei Bovolenta, o ancora delle imprese del nuoto e dei sorpassi di Valentino l'animo italiano si è sempre appassionato, perché lì vedeva il campione, il gesto che si eleva a elogio del divino. Quel genio di Kobe Bryant diceva che "per i tifosi di pallone il calcio è più di uno sport, lo vivono in maniera più intensa, sembra più una religione.” Ed è in questo accostamento che c'è tutta la forza del gioco del calcio. Il calcio è quel momento in cui si attende il miracolo, il momento in cui si aspetta il gesto perfetto, quello sognato da piccoli, quello imitato all'oratorio e nei campi di provincia. L'incredibile del sogno è dovuto al fatto che prima o poi su un campo di calcio quell'emozione legata all'inconscio si fa realtà, e quel sogno diventa gesto universale, storia e memoria, confronto e verità. E' il momento in cui lassù sulla vetta della montagna sale la notte; lassù, quando nella valle è già sceso il buio e il sole lentamente abbandona quello spicchio verticale di terra, la notte sembra salire e sale e si fa miracolo. Ecco la forza del gioco del calcio, la luce che nella noia dei novanta minuti si accende per il colpo del campione, e se ne parla per giorni e quel gesto entra nella nostra mente e fuga tutti i pensieri. E' come se il tempo decidesse di fermarsi perché compiuto, perché oltre non c'è più niente se non l'immagine di quel gesto, assurta a compendio di tutte le speranze.

Ma il calcio è anche scienza. Il calcio è intelligenza, intelligenza spaziale ci dicono le neuroscienze. Lo psicologo Howard Garner spiega che grazie all'intelligenza spaziale: "è possibile percepire immagini esterne ed interne, ricrearle, trasformarle o modificarle". Il campione è in grado di fare tutto questo in un lasso di tempo più breve rispetto ad un gregario (da studi effettuati). Pensiamo all'ultimo gol di Ibrahimovic contro il Verona, che a 39 anni e oltre il novantesimo comprende che l'unico modo di fare gol è piegarsi rapidamente e colpire in rovesciata. Chi altro avrebbe scelto quel gesto e anticipato così i difensori?

L'intelligenza spaziale permette al fenomeno di regolare la potenza in base alla distanza, senza calcoli, istintivamente. Totti era maestro in questo, sapeva colpire con forza da qualsiasi posizione, dando alla palla quel giro che regolasse la parabola in base alla distanza. Oppure osservate Dybala quando parte palla al piede, usa esclusivamente il sinistro, e quando sembra perdere la palla, questa è ancora una scarpa davanti al suo piede costringendo il difensore ad un intervento in ritardo. Ebbi la fortuna di pranzare con un nazionale svizzero, un gregario, uno di quelli che faceva della resistenza la sua forza. Gli chiesi se Platini fosse davvero lento. Mi disse che in un'amichevole era destinato a marcarlo nella zona del centrocampo. Uscì pazzo da quella partita, perché ogni volta gli sembrava d'essere attaccato al campione francese, e ogni volta Platini gli sfuggiva là dove la palla finiva. Come se fosse affetto da bilocazione, come se si spostasse per magia.

Ecco la bellezza del gioco del calcio, questa mistura di sport e religione, di gesto normale e miracolo.
Come si può non apprezzarne il valore?