Avete presente quando, da adolescenti, vi prendete una cotta fortissima per una persona, al punto da ascoltare canzoni e pensare solo a lei, ricercare solamente i suoi sguardi, approfittare di ogni momento per stare insieme, chiacchierare e ridere? Più lei ride, più vi innamorate. Più lei dice qualcosa, più voi andate in confusione e sentite di non riuscire più a poter fare a meno di questa persona. Sembra una favola, quella che si vive in alcuni momenti, finché non arriva la mazzata: l’interesse non è reciproco. Tutti prima di voi l’hanno affrontata, tutti la vivono e a tutti succederà. La delusione d’amore è qualcosa che ferisce profondamente, perché l’età non consente di metabolizzare che è soltanto un passaggio verso il futuro, e dunque si affronta un periodo più o meno lungo di riflessione, cercando di ripartire. Ecco, parafrasando uno dei classici del periodo giovanile, chi vive il calcio in modo viscerale e passionale (e non superficiale) ha vissuto in questa settimana una sensazione simile. L’idea che il calcio per come lo conosciamo avrebbe conosciuto l’estinzione ha spiazzato gli amanti di questo sport, ferendo i sentimenti di chi ha sempre vissuto questa disciplina come qualcosa in più di un semplice passatempo. Personalmente, non posso negare di aver subito un contraccolpo emotivo. Ero così carico per il tricolore interista che a breve (salvo cataclismi) dovremmo conquistare, ma confesso che questa notizia mi ha leggermente distratto dal bell’obiettivo che stiamo per raggiungere. Come la cotta adolescenziale, è solo questione di tempo. Passerà. E lo farà subito, probabilmente già domenica pomeriggio, quando riassaporeremo il campo e vedremo tutto sotto una luce diversa, dopo le ombre gettate da questa clamorosa idea (fortunatamente) non concretizzata. Premessa necessaria per l’argomento che il pensiero odierno vuole trattare: ci stiamo tutti disaffezionando al calcio, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, ma qualcosa non sta funzionando. Le soluzioni proposte dai vertici sono ovviamente impresentabili, ma di certo non possiamo credere che il calcio sia nel suo momento storico migliore, anzi, a livello sociale sembra aver smarrito quella sua funzione sacra che aveva raggiunto e mantenuto per tantissimo tempo.

Chi studia marketing conosce il ciclo di vita del prodotto. Quando viene lanciato sul mercato, qualsiasi bene o servizio affronta una prima fase di lancio, che richiede un tempo di adattamento da parte dei clienti, che devono testare e prendere confidenza con il nuovo che avanza. Se il test viene superato, il prodotto si sviluppa e comincia a conquistare quote di mercato sempre più alte, mantenendo alti margini per la crescita, fino a raggiungere l’apice, il punto massimo che può toccare un prodotto. Ed è qui che si entra nella fase della maturità e del consolidamento: il prodotto continua a crescere ma a ritmi sempre più lenti, fino a stabilizzarsi e addirittura a calare pericolosamente. La maturità di declino, così la definiscono molti studiosi, è l’anticamera del declino stesso. Dove si trova il calcio in questo momento? Intuitivo: è ancora un prodotto valido, il quale possiede le maggiori quote di mercato nel settore sportivo, ma sta calando l’interesse e l’affetto verso questa meraviglia. Per evitare che si scenda sempre più giù, ogni azienda deve cercare di trovare delle soluzioni per risollevare la sua creatura, a patto che esse siano ponderate e che abbiano un ragionamento che giustifichi alcune scelte, altrimenti il rischio di fallimento si amplifica maggiormente. Forzando un parallelo, è evidente che la scelta di creare un gruppo ristretto aristocratico di partecipanti tagliando fuori tutto il resto non può essere la mossa giusta. Serve ben altro per attrarre i consumatori, in particolar modo i giovani e, se devo riconoscere un solo merito a questo disegno sorto e tramontato nell’arco di 48 ore, è quello di aver finalmente portato alla luce un problema troppo sottovalutato e che invece merita le maggiori attenzioni possibili: i giovani non amano più il calcio.
Su questa piattaforma lessi qualche mese fa l’eccellente scritto sul tema di Alessio Dellinja, rafforzato da quello odierno di Salvatore Zarrillo. Il tema è cruciale, la domanda è banale: come si possono attirare i giovani? Pochi punti cardine, ma assolutamente necessari.

Qualità, qualità, qualità. Basta. Adesso basta. Fino a qualche anno fa conoscevo a memoria tutti i calciatori di tutte le rose della Serie A e buonissima parte di quelle di Serie B. Ora, non si capisce più nulla. Troppi calciatori, troppi prestiti e, soprattutto, troppe partite. Come può interessarsi al campionato un ragazzo la cui squadra per cui potrebbe tenere è già da mesi senza stimoli? Penso al Bologna o al Verona: che cosa possono provare questi tifosi, se il torneo ha già smesso di offrire spunti di classifica? Non se ne può più: la riduzione immediata del numero di squadre partecipanti è qualcosa che non può più essere rimandata. Meno partite, ma di maggior qualità. Lungi da me la Superlega, ma non si può imbottire il massimo campionato di squadre che arrivano a metà della stagione sapendo già come terminerà. Se si mantiene alto l’interesse, i ragazzi potrebbero essere invogliati a seguire una partita, altrimenti perché sabato sera dovrebbero guardare Sassuolo-Sampdoria? Inoltre, visto che si è parlato di nuovi competitor quali gaming e intrattenimento, pensiamo proprio a questi ultimi prodotti. Le serie TV, piuttosto che le saghe cinematografiche, tirano fuori una stagione o un film all’anno circa. Ovviamente è un altro mondo, ci sono altri tempi e tutto quello che volete, ma il successo delle serie TV e dei franchising dipende dal fatto che gli episodi escono a distanza di almeno 12 mesi. In quel periodo, si alimenta la curiosità, si crea attesa. Stesso dicasi per i tour dei cantanti: quante date propongono i big della musica? Poche, perché devono alimentare la voglia di vivere quel giorno. Ecco, il calcio deve farsi desiderare: questo deve orientare le scelte dall’alto.

Spezzatino, anche no! I giovani non possono stare tutti i giorni a guardare partite di calcio. Fanno altro. In tempi normali, si esce con la propria compagnia di amici, si organizzano cene, si va al cinema, al teatro, si gioca, si viaggia, si organizzano pic-nic e scampagnate. E, durante la settimana, si studia e/o si lavora. Volete attrarre i giovani? Non potete mettere partite a tutte le ore, perché non le seguiranno mai. I migliori youtuber (naturalmente seguiti da una fetta larghissima di ragazze e ragazzi) cercano di dare regolarità ai loro contenuti, spesso pubblicando in precisi giorni della settimana e in specifici orari. Questo perché si vuole puntare sulla fidelizzazione, consentendo al follower di contare su di loro perché a quell’ora e in quella data loro ci saranno. Il mondo del pallone deve fare questo: finirla di spalmare partite a tutto spiano e stabilire un piano serio una volta per tutte. Due anticipi al sabato, partita di mezzogiorno e posticipo domenicale. Tutto il resto alle 15: no a voli pindarici e al calendario fitto!

Stadio e non solo. Quando l’emergenza sanitaria sarà alle spalle, sarà opportuno riportare la gente sugli spalti. Già sarà complicato per chi lo ha sempre vissuto, figuriamoci per gli adolescenti. Il modello di stadio deve essere quello paventato da sempre ma mai realizzato a parte rare eccezioni: ristoranti, cinema, sale giochi, negozi. Bisogna creare un tessuto sociale che permetta all’adolescente o al giovane di godere dell’incontro, ma sapendo che prima e dopo potrà svolgere altre attività. E, soprattutto, ricreare l’atmosfera della domenica e no, non parlo di romanticismo e altre robe simili. Dico solo che il calcio ha avuto il periodo di massimo splendore proprio quando era divenuto un pilastro della giornata libera per eccellenza. Non è questione di spiccia nostalgia, ma di praticità: se non comprendiamo che si deve giocare di domenica, abbiamo già perso in partenza.

Vivere la partita. Uno dei nodi è la durata delle partite, considerata eccessiva: è ovvio che sia questa la percezione, perché i ragazzi non si sentono coinvolti. Perché non approfittare di ogni singolo incontro per trasformarlo in un piccolo evento? Prima delle partite, fateli suonare, fateli esibire, organizzate tornei di gaming, invitate personaggi noti che possano attrarre interesse. Non richiede uno sforzo enorme, le società avrebbero i mezzi per poter connettersi al mondo giovanile e ci sarebbe un avvicinamento a questo sport che in molti vedono sempre più lontano. Di certo, è inammissibile a mio avviso anche solo pensare di non disputare 90 minuti. Sembra che gli highlights abbiano successo solamente adesso, ma avete dimenticato 90° Minuto piuttosto che Controcampo? Vi chiedete il motivo per cui si preferisce guardare cinque minuti di azioni salienti? Semplice: per il motivo di cui sopra. Non si possono guardare tutte le partite. È inconcepibile. Ecco perché molti ragazzi rinunciano proprio a vederle, perché sanno di non avere il tempo da spendere per guardarsi tutto il cartellone. Ma possibile che nessuno riesca a ricordare quanto era bello vivere una sola partita al giorno e poi godersi le scene migliori degli altri match? Ma veramente qualcuno riesce a stare una giornata intera a guardare partite? Fosse un addetto ai lavori, un giornalista, un dirigente, si potrebbe comprendere perché trattasi di lavoro, ma un utente medio come potrebbe trascorrere un fine settimana a guardarsi sette-otto partite diverse? Ma scherziamo?

Basta tatticismi. Infine, ma non per importanza, bisogna far divertire i ragazzi. Devono giocare, appassionarsi, sperimentare. Le scuole calcio devono dare questo. Non è più tollerabile seguire dettami lontani dal piacere della sana competizione. Bisogna dare la libertà di esprimersi, di poter vivere lo spogliatoio e il campo senza sentire il peso di non dover sbagliare un passaggio.

Dobbiamo tornare a vivere il calcio come una cosa bella.
Perché lo è: ragazze e ragazzi, credetemi!

 

Indaco32