Agli albori degli anni '70 Gianni Rivera teneva una rubrica di posta sul MERA o Messaggero dei Ragazzi, emanazione per la gioventù del Messaggero di Sant'Antonio. Ricordo che una ragazza scrisse per chiedere consigli su come mettere in piedi una squadra di calcio femminile e Rivera, pur rispondendo con la cortesia che lo ha sempre contraddistinto, manifestò qualche perplessità sulla convenienza che le donne giocassero al calcio, ritenendo che ci fossero altri sport più consoni. E' stata la prima volta che ho sentito parlare del rapporto fra calcio e donne.

Nello spesso periodo mi capitò di leggere che alcuni medici sportivi sovietici avevano ipotizzato che uno stop di petto potesse provocare danni e traumi al seno, per cui avevano perplessità simili a quelle di Rivera sulla convenienza che le donne praticassero il football.

In seguito, nel mettere insieme una squadra per giocare fra amici, capitava che qualcuno si proponesse e il buontempone di turno commentasse "Tu no, il calcio non è sport per femmine". Era una battuta imparentata con quella che puntualmente veniva buttata lì, quando qualcuno si lamentava perché i giocatori della propria squadra non erano stati convocati in nazionale: "Mica è la nazionale delle femmine oh!". Del resto, se non si fosse un po' goliardi nella verde età, quando lo si sarebbe mai?

Fin qui, tuttavia, si è parlato delle donne come calciatrici, ma una certa diffidenza è sempre esistita anche nei confronti delle donne tifose, giornaliste o, comunque, commentatrici del calcio. Io stesso, quando nella mia vita ho voluto zittire tifose interiste e juventine dopo i successi delle loro squadre, le ho mandate a fare la calza, quando non ho propinato loro il proverbio (credo spagnolo, ma non sono sicuro) che le donne sono come le padelle ovvero stanno bene in cucina. Erano frasi dettate dalla necessità di sopravvivere in un ambiente ostile, quella giungla in cui qualsiasi tifoso rischia di perire, nei momenti in cui la propria squadra va male e le avversarie storiche vanno invece a gonfie vele.

Tutto ciò premesso, per usare una formula da atto giudiziario, mi chiedo se abbia un qualche fondamento lo sfogo di Collovati contro le donne che parlano di calcio e che gli sta costando tanti guai. Uno sfogo che ha dei risvolti umoristici, se vogliamo, visto che Collovati ha una moglie che di calcio ne capisce eccome e che ha pure un carattere mica da ridere, anche se nello specifico ha difeso a spada tratta il consorte (lo fa anche mia moglie in pubblico, però poi mi fa un mazzo grande quanto una casa in privato...).

Personalmente credo che, nel parlare di calcio, non entri in gioco, come nel caso delle professioni intellettuali, quella necessità di proteggere coloro che ricorrono alle prestazioni di un libero professionista, per cui l'attività è riservata, ex art. 2229 c.c., ai soggetti abilitati e iscritti a un ordine. Per tale ragione penso che il calcio possa essere commentato da chiunque, donna o uomo. E in questo, forse, sono un po' Cicero pro domo sua, ma non nel senso che sto cambiando sesso, bensì perché se di calcio potessero parlare solo gli addetti ai lavori o gli iscritti all'Ordine dei Giornalisti, non potrebbe dilettarsi neanche il sottoscritto, visto che non rientra nelle predette categorie.

L'uscita di Collovati ha però posto il problema del rapporto fra donne e mondo del calcio. Si tratta di un rapporto fecondo o sterile? Credo che la risposta al quesito vada fornita dimenticando il politically correct, affrontando invece l'argomento con assunzione del rischio di dire cose sgradite.

Ora, mi viene in mente che, se c'è una persona in circolazione come Carolina Morace, la risposta è scontata: "Le donne hanno le stesse probabilità di capirne di calcio degli uomini". Qualcuno, però, potrebbe obiettare che la Morace è la classica eccezione che conferma la regola. Approfondiamo quindi l'argomento.

Mi viene quindi in mente che, quando negli anni '90 ero abbonato a San Siro, prendevo spesso il treno che da Vigevano scaricava i tifosi rossoneri della Lomellina in quel di Milano San Cristoforo. E c'era una gentilissima signora sulla settantina che viaggiava con un amico suo coetaneo e, tanto all'andata che al ritorno, parlava parlava parlava solo del Milan, dei giocatori, dell'allenatore, delle tattiche, del mercato ecc. Ora, per quanto non sempre condividessi quello che diceva, non mi sembrava che sproloquiasse. C'era anzi una competenza di fondo che derivava dall'attenzione a tutti gli aspetti del football che solo i veri appassionati possono avere. Be' poi era milanista e la cosa dice tutto no? Se non ne avesse capito nulla di calcio, avrebbe tifato Juventus o Inter, giusto?

Ecco, questo è il punto. La sciùra era appunto una sciùra, una persona che conosceva il calcio, perché lo amava, non qualcuno che utilizzava l'evento calcistico per mettersi in mostra. Nei programmi televisivi ci sono, tuttavia, molte persone che utilizzano l'evento come passerella (e non mi sto riferendo alla destinataria degli strali di Collovati), cosa legittima in se, ma che può irritare chi il calcio lo prende sul serio perché gli piace. Queste persone non sono sempre donne, ma spesso lo sono, e questo genera uno scetticismo ingiustificato sulla competenza calcistica del sesso femminile.  E' facile, in sostanza, estendere a tutto il genere femminile la spudorata ignoranza di qualche sua esponente in cerca di agevole gloria.

Eppure... eppure... se in televisione parlassero signore come quella che viaggiava con me, saremmo noi uomini a rischiare una figura barbina, altro che storie!