Inutile dare troppe opinioni. Parliamo di fatti: in 11 anni alla presidenza del Toro, Cairo ne ha fatti passare quattro in B alla squadra e in un caso è riuscito ad arrivare ottavo nella serie cadetta, peggior risultato dei 110 anni di storia della compagine granata. Il top, in termini di risultati, è stato raggiunto con il settimo posto dell'anno di Cerci-Immobile, ma anche quello non è stato un punto di partenza, anzi è ricominciata la discesa verso posizioni più consone agli investimenti fatti, cioè pochi. Quando la squadra non è retrocessa, in questi undici anni da quando l'attuale presidente Urbano Cairo ha rilevato gratuitamente la società dai "lodisti" che l'avevano salvata dal fallimento, spesso il Torino si è piazzato quindicesimo o sedicesimo nella massima serie. L'anno scorso, lanciando Ventura a fare il Ct, il piazzamento è stato al dodicesimo posto. Come dire: i giocatori erano talmente scarsi che soltanto un buon allenatore - tanto da meritare la nazionale - è riuscito a evitare i patemi della retrocessione. Insomma, malgrado tutto Cairo continua a non crescere. Resta corto come le braccia che tanti tifosi scherzosamente gli attribuiscono. Galleggia tra i guadagni (sostanziosi) e le classifiche (deficitarie), trattando il Torino fc come un'azienda e non come una società sportiva, dove i conti sono sì importanti, ma dove anche i risultati dovrebbero interessare. Dopo questa campagna acquisti condita dai vari Carlao e Iturbe, serpeggia un po' di malcontento. Ma non troppo e non troppo gridato: c'è sempre qualcuno che per non perdere il lavoro accetta di farsi schiavizzare dal padrone. E anche di farsi maltrattare. Qui c'è ancora qualcuno scottato dal fallimento e dalla volontà di alcuni poteri forti cittadini di far sparire definitivamente una delle due squadre torinesi. Quindi accettano di farsi maltrattare da chi comunque a loro avviso è l'unico in grado di tenere in vita la società. In realtà è invece altamente probabile che il Toro sarebbe appetibile per molti investitori, sia italiani, sia stranieri e per la sua storia, la sua tifoseria, le sue tradizioni, l'attaccamento viscerale della sua gente che incarna i valori di sacrificio, umiltà, grinta, sarebbe una squadra che se gestita con moderni criteri di marketing, potrebbe essere nel medio periodo un ottimo affare per chi intendesse rilanciarla. In fondo Davide piace sempre più di Golia, il problema è che nel mondo di oggi tutti conoscono Golia, mentre di Davide nemmeno sanno l'esistenza.