Buon compleanno vecchio Toro.
Buon compleanno nonostante tutto e tutti. Nonostante le disgrazie, le tristezze, le furberie e le difficoltà economiche.
Gli auguri li faccio, ce li facciamo noi tifosi ai tifosi, nella speranza di alimentare ancora una fiammella che si sta spegnendo. Una fiamma che deliberatamente e per partito preso, o per semplice incompetenza e incapacità di varie dirigenze, ha perso fulgore e luminosità, persino il calore che tanto aiutava le anime ed i cuori nati dall'altra parte, sulla sponda granata del Po.
Noi che non abbiamo mai avuto santi in paradiso, che abbiamo patito troppe volte il contrappasso della sofferenza ad ogni piccola soddisfazione, noi, che siamo gli ultimi dei romantici, poeti di vita e di lotta, abbiamo forse un piede nel passato e da troppo tempo non vediamo nessuna luce nel futuro, sebbene si viva di speranza.
Molti, troppi, non conoscono la storia della squadra del Toro. Certo la bibliografia è più che completa, il Toro (il Torino per gli altri) è la compagine calcistica che vanta a suo nome la più grande produzione letteraria, ma un po' di cultura sportiva (e anche sociale) a volte non guasta.
A quei tempi, era il 3 dicembre del 1906, il calcio a Torino era ormai affermato. Nato nelle fabbriche, portato dagli inglesi e da un certo signor Bosio, il gioco del football, era entrato nella vita sociale della città. L'Internazionale Torino era stata avversaria della squadra dei Nobili, in cui giocava persino il Duca d'Aosta. Era nata poi la Juventus, dalla crema della borghesia e formata da alcuni allievi dei più prestigiosi licei della città. Ma c'era bisogno di soldi per iniziare a giocare veramente, c'era bisogno del campo, delle camicie della divisa, e questi soldi li stavano mettendo, come sponsor appassionati, alcuni piccoli industriali. Lo svizzero Alfredo Dick, presidente juventino in eterno conflitto con i suoi amici bianconeri, decise di cambiare aria e organizzò, in una fumosa e famosa birreria del centro città, (oggi il Bar Norman in Via Pietro Micca) una riunione simile a quelle carbonare per decidere di fondare una nuova compagine. Nacque il Torino Football Club che giocò due partite in giallo-azzurro per poi modificare il colore delle magliette in granata, colore sanguigno e sinonimo di lotta e vittoria, di passione e gloria.
Da quel momento, per tantissimi anni, la squadra è stata all'avanguardia del calcio, non solo per le vittorie o per le imprese del campo. Il Toro è stata la prima sqadra ad avere un allenatore (Vittorio Pozzo), a fare una tournée in Sud America, conclusa con l'arrivo a Genova del bastimento carico di giocatori felici e subito inguaiati dal precetto militare e partiti immediatamente per il fronte. Il Toro è stata la prima squadra italiana ad avere uno stadio di proprietà (il Campo Torino, detto poi Filadelfia) e forse il primo club che, sotto la presidenza Novo, ha impostato la gestione manageriale dell'evento calcistico.
Certo, le disgrazie hanno falciato molti sogni, la tragedia di Superga su tutte. In quell'aereo non viaggiava solo la squadra forse più forte che abbia mai calcato un campo di calcio, ma c'erano i sogni di tutta l'Italia del dopoguerra, i ragazzi più amati dalle donne e dai tifosi, i giornalisti che stavano insegnando a scrivere di sport a generazioni di colleghi e tutto l'orgoglio di una gran parte della città, quella operaia e povera che si liberava, con le vittorie, dalla sudditanza verso i colori bianconeri, sinonimi da sempre della nobiltà e dell'arroganza del potere. Il Grande Torino (era già detto Grande prima della tragedia) non solo è entrato nella leggenda, è diventato MITO assoluto, ed ancora scalda i cuori ed i rimpianti di molti, tra cui il sottoscritto. 
Poi sono arrivati molti campioni, poche soddisfazioni che sono diventate appigli indelebili, come lo scudetto del 1976 o i cinquanta punti del 77. I ragazzi del Toro, sempre in bilico tra le gioie e la disperazione, sono rimasti nella leggenda. Pulici, Sala, Graziani, Pecci, tutti quelli dello scudetto e quelli prima come Fossati, Cereser, Agroppi, Vieri, Bearzot e tanti, tutti gli altri come Cravero, Benedetti, Martin Vasquez, Scifo, Rizzitelli, Muzzi, Bianchi, il Gallo. Poi c'è Meroni. Gigi, l'idolo beat di tutta una generazione, volato in cielo, letteralmente, in una sera torinese del 67 dopo aver giocato una delle più belle partite della sua brevissima vita.

Insomma. Buon compleanno Toro, nonostante tutti questi anni di buio, di tristezza, di inconsapevolezza, di sotterfugi e di sudditanza psicologica. Buon compleanno Toro, nonostante i derby persi, le sconfitte ingloriose, la mediocrità societaria, le promesse mai mantenute. Ci sono cose che non si possono raccontare, ci sono emozioni che non hanno nemmeno nome, che non possono essere descritte.
Il Toro è questo. Una lacrima di nostalgia ed un guizzo d'orgoglio,
una famiglia che ha bisogno di una guida, ma una famiglia che merita d'essee ascoltata e premiata.
Buon Compleanno Toro.  

Clay Mc Pant's