La mia Terra brucia, la gente fugge, il vento impazza, i monti si accendono di luminescente terrore.
Fiamme alte, come rossi giganti mostruosi, lambiscono le case, consumano la natura come fosse cera, cancellano la storia come fosse carta velina.
Brucia la Sicilia, sotto un cielo caliginoso, che ha perduto anche l’ultimo lembo d’azzurro e si arrende a un sole che non splende, infiamma senza pietà.
È tutto rosso. È un tremendo rosseggiare. Rosso di sera, di giorno, di notte, sempre.
È il colore vivido della distruzione. È la tonalità accesissima della nostra rabbia. È il vermiglio spauracchio delle nostre ore lente e inquiete. È tutto rosso, tutt’intorno.
Ma è tutto diverso. Il colore magico dei nostri favolosi tramonti, che riempie gli occhi d’ammirazione e che toglie il fiato, s’è trasformato in un mesto rubicondo scenario che quegli stessi occhi riempie di lacrime e che toglie il respiro. Il rossore emozionato delle nostre gote veraci si è trasformato in un profondo rosso di paura disegnata nei nostri volti.
L'acre odor delle succulente nostre arance sanguinelle si è trasformato nell'olezzo pungente che fulmina le narici e ammorba i polmoni.
Respiriamo cenere. Respiriamo paura. Respiriamo impotenza.
Mentre l’ultimo dei maledetti piromani fugge via in motorino, sotto l’occhio appannato d’una telecamera indiscreta, gli auguriamo ogni male, invochiamo la severità di pene mai troppo severe, soffochiamo l’istinto di vederlo al rogo. E quasi quasi soffochiamo, perché il vento soffia violento, veicolando la violenza della fiamme, che inaliamo sotto forma di fumo e di chissà quali invisibili porcherie.
Brucia la mia terra, avvolta da un’apocalisse di fuoco; un fuoco che forgia lame di fumo; fumo partorito da un crogiolo infernale di sterpaglie e aridità. Aridità che alberga oggi nei nostri cuori, avvinti, piegati, disperati.
E imprechiamo, sì. Non sappiamo a chi o a che cosa, ma imprechiamo.
Perché quelle persone che lasciano le case non concedono alcunché alla ragione. Perché quell’anziana morta per l’impossibilità dei soccorsi non lasciano null’altro che rabbia. Perché quegli ettari di Sicilia bedda divorati non ammettono maniera.
Imprechiamo e alziamo gli occhi lassù, chiedendo a Dio di farlo smettere.
E vediamo stormire uccellacci ferrosi, che portano in grembo l’acqua della strenua resistenza. Sono dalla nostra parte, è vero, ma non ci sono mai piaciuti, il loro volo non presagisce nulla, semplicemente segue alla catastrofe.
Brucia la mia terra. Noi che al fuoco dell’Etna abbiamo sempre dedicato ammirazione. Noi che nel ribollir del nostro sangue abbiamo sempre confidato. Noi che benediciamo la vampa di San Giuseppe come momento di assoluta catarsi spirituale. Noi oggi bruciamo di un fuoco che non ci appartiene e che ci sta mettendo in ginocchio.
Ma ci rialzeremo. Lo abbiamo fatto tante altre volte, lo faremo anche questa volta. Siamo siciliani, siamo un popolo che ha combattuto mille battaglie e ha superato mille sconfitte.
Ps: lo so, tutto questo non ha nulla a che vedere col calcio e con lo sport in generale (e per questo mi scuso con la redazione, coi blogger e coi lettori).
Ma tutto questo c’entra, eccome, con la libertà che VXL ci dà di pensare a voce altissima e condividere sentimenti, passioni, paure, rabbia, principi, valori, appartenenza.
Tutto questo c’entra, eccome, con “l’insensata voglia”, che uno della vostra stessa comunità ha di condividere un momento di vera drammaticità.
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