Alla fine quel che tutti temevano è avvenuto: l'Inter termina la sua avventura in Champions League al terzo posto.
Un risultato prevedibile almeno preliminarmente, visto il maggiore tasso tecnico di Barcelona e Tottenham, dimostratesi superiori alla squadra nerazzurra in ogni reparto e soprattutto a livello psicologico. Verrebbe da giustificare l'Inter: si è fatto il possibile con quel che si aveva, di più era impossibile fare, chiunque avrebbe firmato per una lotta per qualificarsi, anziché ridursi sin da subito al ruolo di sparring partners. Ma nella partita di ieri ci sono state tante, troppe dinamiche decisamente pessime.

1) La mentalità. Con la doverosa precisazione che molti dei titolari di ieri erano al loro debutto nella massima competizione continentale, non ci si può certo aggrappare a questa giustificazione. Politano, ad esempio, ha dimostrato di non soffrire affatto di timore reverenziale, e ha sfoderato l'ennesima convincente prestazione, andando a pennellare un bellissimo cross sul quale l'altro debuttante Icardi ha inzuccato di testa il suo quarto gol in sei partite.
Ma dopo il gol, e alla notizia del pareggio del Tottenham, si è nuovamente vista la solita Inter dei momenti di crisi: timorosa, imballata, spenta. Rimanere per un quarto d'ora circa a giochicchiare con una rete di passaggi paragonabile alla strategia della melina di chi deve conservare il risultato ottenuto, anzichè buttarsi rapidamente a cercare il secondo gol, è stata una scelta deleteria e abbastanza discutibile. Perché in queste partite non conta certo il tasso tecnico, come il PSV ha ampiamente dimostrato, oppure, per restare in tema Inter, la partita col Tottenham all'andata, ma conta solo la determinazione e la voglia di portarla a casa nonostante le avversità. Se i giocatori in campo si fanno condizionare dai risultati di un'altra partita, allora vuol dire che non sono giocatori adatti a questi palcoscenici.

2) Spalletti. Perché va detto chiaro e tondo: Spalletti ieri non ha capito decisamente come la partita dovesse essere impostata. Partito con un 4-3-3 con Candreva mezzala, ruolo nelle corde di quest'ultimo che nacque calcisticamente in quella posizione di campo e a cui ora pare non esservi più avvezzo, ha mostrato subito i primi limiti. Un gioco troppo prevedibile e compassato, si potrebbe dire quasi inglese: palla all'esterno e cross al centro, sempre e comunque. Una strategia divenuta ormai prevedibile e scontata, sia per gli addetti ai lavori che, addirittura, per i tifosi stessi. Per non parlare poi della mancanza di coraggio nel togliere Perisic. Sul croato va aperta una parentesi necessaria: se ieri avesse segnato, staremmo parlando di un Perisic ritrovato, ma sarebbe stato falso. E' un giocatore arrivato alla fine della sua esperienza con l'Inter, come ha ampiamente affermato in diverse apparizioni pubbliche, e sta giocando molto al di sotto del suo talento, e in queste condizioni sostituirlo non sarebbe un delitto, ma per Spalletti non è così. Per il tecnico nerazzurro è stata invece una scelta migliore togliere Politano, di gran lunga il migliore dei suoi assieme a Icardi, per poi in seguito inserire Vrsaljko come esterno, generando una confusione tattica non da poco. Ha da poco ironizzato anche lui sul suo sbagliare i cambi, ma attenzione, perchè spesso nelle battute c'è un fondo di verità, e in questo caso più che di fondo si può parlare di voragine.

3) Asamoah. Se non fosse per le sue eccellenti prestazioni in campo nella prima parte di campionato e la sua professionalità impeccabile, dopo le due pessime partite contro la sua ex squadra Juventus e i quarantacinque minuti di ieri sera oggi sarebbe stato sotto fuoco incrociato da parte di tutti. L'errore di ieri sul gol è stato macroscopico, aggravato poi dal fatto di essere un giocatore abituato a certi livelli e a partite certamente più difficili e dure, invece dopo un'apparente buona prima parte di gara si è spento totalmente, lasciandosi prendere dall'agitazione e dalla frenesia tipiche di chi vuole farsi perdonare un errore grave, nel suo caso addirittura decisivo per l'intera avventura Champions. I nerazzurri avrebbero dovuto mostrare molta più tenacia nelle partite precedenti e a una situazione da "dentro/fuori" non ci si è arrivati per colpa sua, questo è lapalissiano, ma in partite come quella di ieri serve restare concentrati e calmi per tutta la partita, e soprattutto da uno che porta in dote la sua esperienza alla Juventus ci si sarebbe aspettati una prestazione di ben altra caratura.

4) I tifosi. Lo spettacolo offerto dai tifosi al Meazza ieri sera è stato il motivo per cui, affermandolo con un pizzico di cinismo, hanno meritato di vedere l'Inter uscire dalla Champions. Troppo facile essere solidali e caldi quando la squadra va bene, tifosi lo si è soprattutto nei momenti di difficoltà, e nella partita di ieri di difficoltà ce ne sono state una infinità senza che anche i presenti allo stadio contribuissero a crearne di nuove. Certamente partirà il solito, classico leitmotiv del calciatore che prende tanti soldi e il minimo che può fare è giocare bene, ma questo è un discorso che può valere per le partite in trasferta, non per quelle in casa. Creare un ambiente ostile quando si gioca in casa è la cosa più stupida che si può partorire, specie in caso di partite come quella di ieri. I calciatori non sono delle macchine, privi di emozioni, sono persone, e come tali ricevere dei fischi come quelli, vergognosi, che hanno sommerso la squadra alla fine del primo tempo, non vengono certo percepiti come uno sprone, ma come un insulto fine a sè stesso. I tifosi dovrebbero capire che "dodicesimo uomo in campo" non è una espressione coniata apposta per lisciare il pelo ai tifosi, ma è quanto di più vero possa esistere: il tifoso è parte della squadra che scende in campo, la sospinge in avanti con il suo calore ed i suoi incitamenti, ma è altrettanto vero che coi fischi e con i beceri insulti la affossa. Si pensi a un team di lavoro, che per sua natura deve lavorare coeso: cosa accade quando uno dei membri della squadra inizia a provocare, o a insultare gli altri componenti? Migliora la qualità del lavoro svolto? No. Migliora l'armonia del gruppo? Neanche per idea. Si ottengono risultati? No. Perché esattamente come deve avvenire all'interno dello spogliatoio, una squadra deve rimanere coesa sempre e in ogni circostanza, con tutti gli effettivi, dal presidente sino al magazziniere. Essendo i tifosi parte integrante della squadra durante una partita, anche loro devono essere solidali e sostenere la squadra sino alla fine. Ma di tifosi che berciano, che fischiano i propri beniamini (o presunti tali) durante la partita, nessuna squadra di calcio sa che farsene, men che meno l'Inter. Piuttosto che avere 60.000 tifosi che fischiano la squadra in un momento di difficoltà, meglio giocare a porte chiuse. In questo modo magari si potrebbe riuscire anche a fare giocare qualche giovane, lontano dagli ingrati fischi al primo controllo sbagliato.

Insomma, sono tutti a vario titolo colpevoli, non tanto per l'esito, scontato, quanto per come questo sia maturato. Adesso cambia completamente la tabella di marcia dei nerazzurri, che dovranno giocare in scomodi giovedì, ma su una cosa non dovranno esserci dubbi: bisogna provare a vincere l'Europa League. L'obiettivo societario deve necessariamente essere quello di affrontare questa coppa con grinta e determinazione, come se fosse la Champions. Bisogna scrollarsi di dosso quello che ormai è diventata un costume tutto italiano di snobbare la seconda competizione continentale in ordine di importanza. Un trofeo in bacheca in più fa sempre comodo e può trasformare una stagione da compromessa in perfettamente riuscita. E spetterà anche alla società e all'allenatore motivare la squadra per evitare tracolli in campionato ormai tristemente noti. Anche perché la partita di ieri ha insegnato una cosa fondamentale: se vinci avrai tutti dalla tua, al primo gol subito sarà come giocare in trasferta.

Una prospettiva imbarazzante, ma la situazione purtroppo è questa.