Una squadra che diverte e sa divertirsi. Una prerogativa spesso cercata da ogni allenatore ma che, nello specifico, non viene curata così nei minimi dettagli portandola ad una subdola variante con il risultato del campo a fare da padrone. Si perché i presidenti, soprattutto in Serie A, sommano i punti come unico specchio del lavoro di un tecnico ignorando molto spesso quello che quest'ultimo ha potuto o sta dando alla squadra in termini di crescita individuale e di collettivo.
Serve pazienza cari presidenti. La storia insegna che anche tra i più vulcanici sono state fatte delle eccezioni e, se così non fosse stato, ora non saremmo qui a parlare di tattica e spiccata bravura nella gestione del gruppo che un allenatore come Massimiliano Allegri è riuscito a sviluppare negli anni milanisti prima e juventini poi. Lui che era sull'orlo del licenziamento dopo le prime cinque sconfitte sulla prima panchina in Serie A con il Cagliari ed il presidente Cellino, personaggio tutt'altro che tenero con i propri dipendenti, ha saputo intuire.
Il curriculum nella vita ha sì un ruolo importante, ma non è tutto. Spesso le grandi si affidano ad allenatori che hanno avuto una spiccata carriera da giocatore o che godono di un credito su passate panchine dopo avevano dimostrato delle buoni doti relazionali e di risultati. Ma il calcio è cambiato. I ragazzi di oggi hanno più bisogno rispetto alle passate generazioni di essere assecondate ed entrare piano piano nelle loro teste per rendere ad assimilare concetti che li porteranno a migliorarsi come giocatori e come uomini.
I dictat di ieri non saranno mai più ascoltati con la stessa dedizione. In tutto ciò un manager come Mourinho sta clamorosamente pagando dazio e fallendo il suo lavoro con lo United. Serve rinnovarsi. Serve avere idee precise ma non solo. Bisogna saperle trasmettere con eccellente efficacia e passione. Solo così i giocatori di oggi, seppur con minori capacità tecniche rispetto al passato, riusciranno a tirare fuori il meglio di loro stessi ed sviluppare la loro carriera in linea con il blasone del loro club di appartenenza.
Ed allora serve un allenatore che sappia coniare al meglio bel gioco, ma soprattutto passione unita ad una preparazione nei dettagli sfrenata per il proprio lavoro.
E Roberto De Zerbi è già l'uomo giusto per tutto questo. L'ascesa di questo tecnico non è casuale. La sua idea di calcio è ben precisa ma nello stesso tempo camaleontica in base all'avversario. Già a tempi del Foggia e del Palermo si era intuito che fosse un mister diverso dagli altri ma è con il fanalino di coda Benevento nella passata stagione che ottenne il massimo da un gruppo praticamente già retrocesso.
Nonostante essere subentrato a campionato già compromesso, ha manifestato una spiccata empatia con giocatori già praticamente quasi certi della retrocessione. Un lavoro che fortunatamente non è passato inosservato al Sassuolo che lo ingaggia e fa benissimo. Dopo 16 giornate di campionato i neroverdi sono in zona Europa League ma ciò che balza all'occhio e che, nonostante i cambi di modulo e di interpreti, lo sviluppo dell'azione è sempre fluido e feroce nell'atteggiamento. E anche cinico come accaduto ieri nella trasferta di Frosinone.
Come ogni lavoro c'è bisogno di gavetta certo, ma le qualità mostrate da questo giovane tecnico si abbinano perfettamente con il momento storico tecnico e psicologico degli interpreti in campo. E allora perché aspettare? Soprattutto se le guide tecniche delle grandi, Juventus e Napoli a parte, non hanno dimostrato queste peculiarità. Serve ritornare ad insegnare calcio e chi è portato a farlo deve essere premiato.
Anche l'altezzosa Premier League non si è ritenuta esente dal farlo.
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