Il duro faccia a faccia tra Gigio Donnarumma e gli ultras del Milan, poche ore prima della sfida contro il Benevento, pare proprio essere l'ennesimo punto di non-ritorno nell'ormai annosa vicenda del non-rinnovo contrattuale del portiere col club rossonero. 

IL FATTACCIO - I rappresentanti della tifoseria avrebbero chiesto al calciatore un chiarimento definitivo circa il futuro e, in caso di mancato rinnovo entro la prossima settimana, di evitare di giocare nel big-match, decisivo per la qualificazione in Champions, contro la Juventus (secondo molti, il suo prossimo club). Il giovane portiere non ha promesso nulla, ma avrebbe detto loro di non aver ancora firmato nulla e di essere lui a decidere per il proprio futuro, non Raiola. Secondo indiscrezioni autorevoli, Gigio sarebbe uscito dall'incontro emotivamente scosso, raggiungendo in lacrime la Club House, e si sarebbe sentito tirato per la giacchetta dalla società per accettare un confronto con la tifoseria, del quale avrebbe volentieri fatto a meno. 

Ora, inutile sottolineare che il fatto è da stigmatizzare e che l'intervento a gamba tesa degli ultras rossoneri può solo mettere pressione aggiuntiva sul portiere, proprio alla vigilia di una vera e propria finale per l'accesso alla prossima Champions League. Ma andiamo oltre al fatto ed anche oltre alla qualificazione alla maggiore competizione europea: sia quel che sia. E' del tutto condivisibile la scelta della dirigenza di non avallare le folli richieste d'ingaggio del procuratore (dodici milioni di euro netti a stagione), sia perchè il momento storico non consente follie, sia perchè il bilancio rossonero è ancora gravamente sofferente, sia perchè sottostare a ricatti economici del genere provocherebbe un deleterio effetto domino sugli altri rinnovi. Ed anche perchè, in fondo, nella sua gloriosa storia il Milan ha saputo vincere anche mettendo tra i pali portieri non di primissima fascia.

SUPER-SEBA TRA I FENOMENI - Si pensi, ad esempio, al grande Sebastiano "Seba" Rossi. Arrivato nel grande Milan di Berlusconi e Sacchi nel 1990 per fare il vice di Andrea Pazzagli, Seba scala subito le gerarchie, prendendosi la maglia da titolare senza mollarla, di fatto, mai più. Rossonero fino al 2002, in dodici stagioni conquista cinque scudetti (1991-1992, 1992-1993, 1993-1994, 1995-1996, 1998-1999), tre Supercoppe italiane (1992, 1993, 1994), una Coppa Intercontinentale (1990), due Supercoppe UEFA (1990, 1994) ed una Champions League (1993-1994, perdendo anche due finali), oltre allo storico primato di imbattibilità in Serie A, restando per ben 929 minuti senza subire gol, strappato al mitico Dino Zoff (sarà poi superato di 45' da un altro mito e campione del mondo, tale Gianluigi Buffon, soltanto 22 anni dopo).

Nell'estate del 1994, nonostante il posto da titolare nella squadra più forte del mondo, i titoli di campione d'Italia e d'Europa in carica, nonchè il 5° posto nella classifica dei migliori portieri al Mondo stilata dall'IFFHS, Seba Rossi viene escluso dalle convocazioni per il Mondiale americano: il ct Arrigo Sacchi, suo primo mentore, gli preferisce Pagliuca della Sampdoria, Marchegiani della Lazio e Bucci del Parma. Incredibilmente, il buon Seba non indosserà mai la maglia azzurra, venendo successivamente convocato in due occasioni come vice-Pagliuca, senza scendere in campo. 

"Io la Nazionale la strameritavo, stavo bene, strano poi: a Usa '94 c'era tutta la difesa del Milan (Maldini-Baresi-Costacurta-Tassotti, nda) , il centrocampo del Milan (Donadoni-Evani-Albertini, nda), l’attacco del Milan (Massaro, nda). Perché non il portiere del Milan? Quei rigori contro il Brasile, chissà, magario io li paravo". 

LA FINE DI UN AMORE - Nonostante la delusione, i nuovi arrivi al Milan non riescono a scalzarlo: quando il ciclo del Grande Milan di Sacchi e Capello si chiude, l'emergente Angelo Pagotto nella stagione 1996/97 e Massimo Taibi nel 1997/98 devono farsi da parte al cospetto di Seba. Il portiere diventa un'icona rossonera, anche se il rapporto con i tifosi inizia a incrinarsi: pesano alcune prestazioni non all'altezza, del resto l'età avanza ed i riflessi non sono più quelli di un tempo. Si accentua, d'altro canto, la sua fama di cattivo. Nella stagione 1998/99, con l'arrivo in panchina di Alberto Zaccheroni, la maglia da titolare tra i pali viene assegnata al neo-acquisto Jens Lehmann, ma l'esordio nel calcio italiano del portiere tedesco è disastroso così l'allenatore romagnolo decide di affidarsi nuovamente all'esperto Rossi: un grave fallo di reazione ai danni del perugino Bucchi, nell'ultima giornata del girone d'andata, segna di fatto la fine della sua lunga esperienza rossonera. Cinque giornate di squalifica, viene sostituito dal giovane e sconosciuto Christian Abbiati, che si merita la maglia da titolare conducendo con interventi decisivi il Milan alla conquista del sedicesimo Tricolore. Sarà ancora la riserva di Abbiati nella stagione successiva e, dal 2000-2001, il terzo portiere rossonero, dietro anche al brasiliano Jesus Nelson Dida (pur tornando titolare negli ultimi mesi del campionato). Alla fine della stagione 2001-2002, lascerà definitivamente il Milan per chiudere la carriera proprio al Perugia.

INVESTIRE ALTROVE - Sebastiano Rossi è stato un ottimo portiere, pur non potendo essere iscritto nella lista dei grandi fenomeni del ruolo. Eppure è divenuto un simbolo del Milan più vincente della storia, in un'epoca in cui i portieri italiani facevano scuola nel mondo ed il Milan di Berlusconi avrebbe potuto farne incetta a suon di miliardi: dall'odiato cugino Walter Zenga, passando per il già citato Gianluca Pagliuca, Angelo Peruzzi fino a Francesco Toldo e all'ancora attuale Gianluigi Buffon. Ma il Milan si è affidato "soltanto" a Seba Rossi, vincendo tutto.

Ora, l'obiezione è d'obbligo: Seba aveva davanti a sé la difesa più forte della storia del calcio, il che è indiscutibile. Ma la scelta di fondo resta: il Grande Milan preferiva investire in grandi attaccanti, grandi fantasisti, magari grandi difensori, piuttosto che grandi portieri. E vinceva, molto, sempre, ovunque. Oggi non ci sono i Baresi ed i Maldini, indiscutibile anche questo, ma al Milan odierno non si richiede di vincere in Italia ed in Europa, si richiede appena appena un quarto posto: probabilmente, per questo piccolo-grande obiettivo, sarebbe utile un grande attaccante piuttosto che un portierone da dodici milioni.