L’ennesima brutta figura del Napoli impone una riflessione profonda. A questo punto è doveroso che la proprietà intervenga in prima persona. Visto che i quadri intermedi della dirigenza magari sono affaccendati nella costruzione di un progetto in grado di guardare al futuro. Mentre anche l’Atalanta ha sottolineato brutalmente l’inconsistenza del presente partenopeo.   

In realtà, non tutte le negatività possono essere imputate a Gennaro Gattuso. Ovviamente, dal punto di vista tecnico-tattico, Ringhio sta dimostrando una pochezza di idee davvero disarmante. Ormai è palese che non abbia gli strumenti per trascinare fuori dal guano questa squadra. Tuttavia, sarebbe lecito chiedere al presidente cosa debba fare ancora l’allenatore per essere sollevato dall’incarico.Un provvedimento che probabilmente andava preso già a dicembre. Adesso la stagione è abbondantemente compromessa. Eppure, continuare così equivarrebbe ad accanirsi terapeuticamente su un malato terminale. I calciatori, dal canto loro, non sono affatto esenti da colpe. Anzi, hanno grossissime responsabilità nell’offrire uno spettacolo di infimo livello praticamente ad ogni partita. Da almeno un paio di mesi il Napoli sta vivendo un profondo malessere. Il gioco ristagno e la determinazione latita. Ma se questa involuzione, almeno inizialmente, poteva essere parzialmente giustificata con infortuni vari e assenze assortite, ora sembra che gli azzurri siano passati alla fase successiva. Quella della strafottenza, per alcuni. Per altri, invece, appare evidente il tentativo di salvare se stessi e quel poco di credibilità maturata nei confronti di tifosi e addetti ai lavori. Consapevoli che il loro tempo, all’ombra del Vesuvio stia scadendo inesorabilmente.Nel frattempo che la classifica langue, precipitando in picchiata senza che nessuno riesca a invertire la barra di comando, la sensazione strisciante è che si sia sedimentato nella squadra il concetto per cui quest’anno debba andare inevitabilmente così. Per l’avvenire, poi si vedrà…
Nulla di più sbagliato: la sopravvivenza di questo gruppo per gli anni a venire non può prescindere dal tracciare un percorso funzionale alla immediata risalita. L’obiettivo primario, dunque, passa per rimettere insieme i pezzi di un vaso di cristallo andato letteralmente in frantumi.Un’impresa titanica, tutt’altro che semplice.
Il fallimento di Gattuso è lampante. Il Napoli sta pagando un prezzo altissimo, in termini di punti e credibilità, sull’altare di un allenatore che predica un gioco non aderente alle caratteristiche dei calciatori in organico. Insistere nella costruzione da dietro con difensori dai piedi in ferro battuto, piuttosto che rinunciare per partito preso al pressing intensivo nella metà campo altrui, sono concettualmente macchie indelebili per l’attuale gestione tecnica.Evidentemente, le difficoltà hanno suggerito a Rino una virata estrema verso un calcio attendista e sparagnino. Abiurando princìpi che avevano attecchito profondamente nello spogliatoio nelle annate precedenti. Ovvero, un calcio moderno e propositivo. Dalla chiara vocazione attiva ed offensiva. L’impressione è che per indole, la squadra rifiuti l’idea per cui ogni maledetta partita si debba avere un atteggiamento meramente passivo. Poiché Gattuso ha svenduto la sua filosofia originaria, cercando semplicemente di adattare il piano gara al cospetto di qualsiasi avversario, necessita un cambiamento. Altro che garantirsi una certa continuità attraverso il dominio del possesso.Tornare indietro non è più una scelta avventata. Bensì, improcrastinabile. Soprattutto nel momento in cui si è passati dal dominare il gioco, a limitarsi ad amministrarlo, in  virtù di uno sterile e improduttivo giropalla. Il punto è proprio questo: la società partenopea aveva deciso di sacrificare alcune certezze, affinchè si potessero creare le condizioni per avere un futuro stabile tra le cd. Fab Four.
Consapevole che rispetto al passato il livello competitivo per l’alta classifica si stesse alzando costantemente, non era campata in aria la strategia di acquistare giovani prospetti. Inserire, per esempio, Lozano e Osimhen in un sistema di gioco ben definito, affiancandoli a giocatori che prima o dopo dovranno lasciare, per motivi anagrafici o “mercantili, il Golfo di Partenope.

Ma il domani è lontano, dall’altra parte dell’immaginazione. L’attualità, al contrario, impone a De Laurentiis di porsi un’unica ossessionante domanda. Imbevuta di retorica. Nondimeno, mai come in questa situazione, il luogo comune che suggerisce di cambiare il “manico”, quando i risultati scarseggiano, dovrebbe essere accettato. Non fosse altro che buttare al fiume l’intera squadra è maggiormente complicato.