Trieste, l'asburgica, Trieste la città che deve tutto quello che ha al porto, Carlo VI, ricordato sulla colonna, ai più anonima nell'attuale piazza Unità d'Italia, già piazza Grande/san Pietro, ha dato il là per trasformare un villaggio di pescatori in un porto di rilevanza mondiale. Trieste senza il suo porto non è. È stato addormentato, per poi decidere la città di riprenderselo ed alzare la testa. C'è chi ha sempre voluto il male del porto di Trieste, per invidia, per gelosia, per fastidio. Il porto. E l'importanza di questo porto è stata riscoperta, oggi, nel peggior dei modi. Trieste è una città che ha avuto oltre 700 morti per il coronavirus. Una strage. Trieste è tante cose, un concentrato di paradossi e contraddizioni incredibili e soprattutto al centro dell'interesse nazionale per ragioni geopolitiche di gran rilievo. Anche lo sport non ne passò immune, come ben ricorda la storia della triestina e la sua permanenza in SerieA.
Il lungo serpentone degli 8 mila indipendentisti  che proprio sulle questioni geopolitiche portò Trieste alla ribalta nazionale, è ancora nell'aria. E anche visibile. Nell'attuale piazza della Borsa si possono ancora vedere delle bandiere sventolare con le quali si invoca il ritorno degli inglesi e degli americani a Trieste. Come se non fossero stati loro a voler la consegna di Trieste all'Italia. Paradossi, appunto.
Era da allora, dal 2015 che non si vedevano così tante presenze per un corteo in città. Neanche quello nazionale contro casapound aveva mosso così tanto e per così tanto. Da oltre un mese Trieste è in stato d'agitazione. Una minoranza rumorosa eterogenea, in rivolta, che in parte ricorda lo spirito che aveva animato le proteste indipendentiste triestine, che dice no al greenpass.
L'Italia è stato il Paese più severo dell'Occidente a regolamentare il greenpass. L'ha detto anche il NYTimes. Eravamo la Wuhan d'Europa. Siam passati dagli applausi ai medici, alla dittatura sanitaria. Dall'andrà tutto bene e volemose bene, con tanto di baci e abbracci dai balconi, all'assalto fascista del più importante sindacato italiano. Migliaia di persone, una minoranza, a cui la democrazia, e non la fantomatica dittatura sanitaria che non c'è, consente di protestare, manifestare, secondo le regole, che da decenni esistono in Italia, tra no vax e no greenpass, portano la città alla ribalta nazionale.

Trieste diventa un caso, non a caso, o per caso? Perchè proprio Trieste? Generalizzare è sbagliato. Si è parlato dei portuali, indistintamente, tutti, per semplicismo l'abbiamo fatto. Ma erano alcuni portuali che hanno protestato e scioperato, non i portuali. Alcuni portuali. Si son spaccati, l'autorità portuale, che ha salvato il porto di Trieste è stata costretta a minacciare le sue dimissioni. Per la seconda volta. E lo Stato, alla fine, ha usato la forza. La forza dell'idrante, dei lacrimogeni, del manganello per disperdere chi aveva deciso di assediare quella zona strategica per la vita economica della città. Non ha vinto nessuno. La lotta al greenpass, strumento pessimo, ma necessario per tanti, che non è una tessera fascista e neanche di partito, in un Paese che ha il privilegio di poter vaccinare tutti, un privilegio che dovrebbe essere un diritto universale, ma non lo è, diviene pretesto per contestare il sistema.
Il porto che c'entra in tutto ciò? Poco. È la vetrina del momento. Passerà. Trieste. Città dall'anima mitteleruopea, che non può essere chiamata Trst, che cerca di riscoprire lo spirito di una classe operaia che non esiste più se non nei romanzi. Non sarà la lotta al greenpass a far rinascere l'anima proletaria di una città imborghesita a cui quasi tutti ci siamo adattati, ma è la lotta al greenpass che sta mettendo in evidenza un sistema che rischia il cortocircuito sociale.
Le rivolte, le proteste, nelle piazze, sono state sempre sollevate dalla minoranze. Non è una novità. La forza della democrazia è data da ciò. Riconoscere l'agibilità politica alle minoranze. Ma quando lo Stato usa i muscoli contro una minoranza, per quanto rumorosa questa sia, o essere dalla parte del torto o della propria ragione, altro non fa che danneggiare la stessa democrazia e fare il gioco di chi altro non vuole che questo.
Non è una pagina nera quella della Trieste di questi giorni, non è una pagina rossa, ma grigia a cui prima di tutto bisogna dare una risposta. Perchè  la rivolta di Trieste? Perchè tutto ciò è successo proprio a Trieste? Nessuno ha ancora una risposta, eppure bisogna cercarla per non cadere nella banalità dell'ovvietà.

L'unica certezza è che la piazza di Trieste non è il popolo, ma un piccola fetta in rivolta in una situazione di pandemia che nel mondo ha cagionato milioni di morti e migliaia in Italia che dal periodo buio ne è uscita con le ossa rotte. Come certo è che Trieste dovrà ancora sorbirsi per i prossimi anni quella orribile statua nazionalista di D'Annunzio simbolo di una politica che va avanti con il passo del gambero e che in questa città, mentre il mondo guarda al futuro e al progresso, continua politicamente ed elettoralmente ad essere premiata.
Sarebbe un pò come pretendere di giocare con il pallone di cuoio, divise dell'800 e in campi di patate, il calcio di oggi.