Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Antonio Zugarelli, Nicola Pietrangeli, Mario Belardinelli. 
Questi sono i nomi di sei uomini che hanno scritto una pagina indelebile e, ad oggi, irripetibile della storia del tennis italiano. 
Ho avuto la fortuna di poter vedere la docu-serie Sky dove i protagonisti hanno potuto parlare e raccontare senza riserve, di quella squadra, di quel mondo di quel tennis in maniera sincera e senza pensare al classico politicamente corretto.
Uomini che con i loro pregi tecnicamente parlando ma anche con molte debolezze e difficoltà, hanno dato vita ad un periodo per l’Italia dove la squadra di tennis italiana impegnata nella coppa Davis, aveva scavalcato anche l’interesse per il calcio italiano.
Quando l’Italia giocava in quella competizione, l’Italia tutta si fermava. Erano gli anni tra il '70 e l’'80 e la coppa Davis per i tennisti era considerata l’evento più importante e atteso. Anche per le federazioni e per il paese era un appuntamento importantissimo, dove in campo non ci si contendeva solamente il pregio sportivo, ma in palio c’era molto altro, dalla politica all’economia. Basti pensare a ciò che successe nel 1976, quando l’Italia aveva raggiunto la finale, che si sarebbe dovuta giocare a Santiago del Cile, ma che essendo un paese sotto il regime  di Augusto Pinochet. Insorse una polemica politica incredibile dove, soprattutto la sinistra di quel tempo, voleva a tutti i costi impedire alla squadra italiana di andare a giocarsi la finale, vedendo in questo caso come un riconoscimento del regime dittatoriale cileno. Altro che i giorni nostri dove importiamo le nostre finali di coppa in qualsiasi posto in barba alle culture del posto, basta ci paghino. 

Erano tempi diversi, il tennis era diverso. Fisicamente i giocatori non avevano quasi una preparazione atletica. Bertolucci disse “noi eravamo tennisti non atleti, noi giocavamo a tennis non come ora” bastava guardarlo per capire cosa intendeva. Oggi uno così non scenderebbe nemmeno in campo, eppure è stato un doppista dei più forti al mondo.
Esisteva il circolo federale di Formia dove i giocatori ogni tanto prima dì qualche appuntamento importante andavano in una sorta di ritiro per prepararsi, ma era più che altro un ritiro mentale e psicologico. Il centro era gestito da Mario Belardinelli. Un secondo padre per questi ragazzi. Un uomo di uno spessore umano incredibile che sotto la sua ala tenne tutti quei ragazzi come se fossero i loro figli. Ha dato vita ad una generazione di tennisti che hanno messo il tennis in un posto sociale dove tutti potevano giocare, non più uno sport per pochi illustri in pullover. I tennisti in quei tempi vivevano il tennis in maniera diversa, quasi distaccata. La squadra messa insieme insieme in quegli anni era divisa, grosso modo, in due. Da una parte Panatta e Bertolucci, amici da bambini, dall’altra Barazzutti e Zugarelli, già con famiglia sulle spalle. I primi due una sorta di coppia in campo e fuori, un po’ Sandra e Raimondo, con vita mondana e notturna, gli altri due totalmente diversi. Non c’era molta amicizia tra i primi due e gli altri due. Non legavano molto tra di loro, ma la stima reciproca non mancava mai. Panatta era il leader carismatico della squadra. Bello, alto, forte ma con un carattere non facile. Geniale in campo e come tutti i geni, imprevedibile. Capace di battere chiunque esibendo un tennis sublime, ma anche in grado dì buttare via dei match per puro puntiglio. Panatta disse “ forse il mio più grande limite è stata la continuità, ma la continuità la trovo noiosa”. Lui era così giocava per il piacere di giocare e se non aveva voglia o non ci stava con la testa, lo si notava subito. Erano umani non macchine. 
A completare l’opera c’era il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli. Altra benzina sul fuoco. Carattere focoso, egocentrico, polemico, che spesso entrava in rotta di collisione con la squadra, ma ha avuto un grande merito. Nel '76, nella polemica per non far partire la squadra italiana per il Cile, lui si spese totalmente alla causa, partecipando anche a delle trasmissioni televisive politiche e alla fine la vinse lui, e l’Italia andò in Cile a vincere la coppa Davis. Poco dopo però i dissapori con la squadra si resero insanabile e tra mille polemiche lo allontanarono dal posto di capitano. 

L’Italia dopo la vittoria in Cile raggiunse la finale altre tre volte. E tutte le finali l’Italia le ha dovute giocare in casa degli avversari. Nel '77 in Australia, nel '79 negli USA, e nel '80 in Cecoslovacchia. L’ultima in Cecoslovacchia fu proprio un vero furto in campo e fuori. La federazione Ceca sotto il controllo Russo, mise in campo una serie di “trucchi” che resero impossibile per l’Italia una finale ad armi pari. Ci furono perquisizioni in albergo alle tre di notte il giorno prima degli incontri, spogliatoi degli azzurri senza riscaldamento con una temperatura di zero gradi, e perfino una sorta di sequestro e violenza di un delegato azzurro che protestava con l’arbitro in campo. Si perché anche in campo se ne sono viste di tutti i colori. Avversari che prendevano la palla anche dopo due rimbalzi, ogni ace azzurro fermato da un puntualissimo “Net” chiamato dal giudice di rete, ecc…
Oltre alla coppa Davis, c’erano i tornei del grande Slam, e qualche altro torneo internazionale, ma non c’erano tanti tornei come oggi, e così in quel periodo andavano molto di moda le esibizioni, dove gli atleti andavano a guadagnare parecchio.
Quegli incontri e quelle esperienze sono pieni di aneddoti. Quando Panatta dopo una serata in un disco pub portò di peso in stanza un Borg ubriaco alle tre di notte e il giorno dopo lo svedese gli rifilò un 6-0 6-1.
O quando Bertolucci per curarsi il mal di schiena con delle punture ebbe un serio problema di... erezione prolungata che non gli permise di giocare.
O quando lo stesso Panatta insieme a Bertolucci pagò di tasca sua un aereo privato per portarli a Parigi per una notte con “amiche” prima di un incontro importante mentre Zugarelli e Barazzutti andarono direttamente a casa con l’aereo di linea.

Insomma... un altro mondo e un altro tennis, lontano anni luce dal presente e atleti ancor più distanti dai robot di oggi. Oggi i tennisti e gli atleti in generale sono delle macchine quasi perfette, dove la longevità è la base di tutto. Non è importante vincere e divertirsi ma rivincere rivincere e rivincere sempre anno dopo anno torneo dopo torneo.
Senza un attimo di pace, senza distrazioni, senza debolezze.
Che noia!